La Parigi di Baudelaire



Manet - soggetti femminili



Monet, Rue Montorgueil imbandierata, 1878

Le vecchine
I
Nelle pieghe sinuose delle vecchie capitali,
dove tutto, anche l’orrore, ha un suo incanto,
spio, fedele ai miei umori fatali,
esseri decrepiti, bizzarri e affascinanti.


Quei mostri un tempo erano donne,
Eponina o Laide! sgangherate, ingobbite,
contorte, amiamole! sono ancora anime.

Sotto lacere gonne e freddi tessuti

arrancano, flagellate da raffiche inique,
fremono al chiasso delle carrozze pubbliche
stringendo al fianco, come reliquie,
borsette a fiori o a trame enigmatiche;


trottano, in tutto simili a marionette;
a volte si trascinano come bestie ferite,
o senza volerlo ballano, povere campanelle
cui s’attacca un Demone crudele! Sfinite,

pure hanno occhi come succhielli,
lucenti come pozze dove l’acqua dorme;
hanno gli occhi divini della fanciulla
che si stupisce e ride d’ogni cosa che brilla.


- Avete notato che spesso la bara d’una vecchia
è piccola quasi come quella d’un bimbo?
È un segno d’un gusto intrigante e strambo
quello che la saggia Morte mette in siffatte bare,

e quando intravedo un fantasma gracile
attraversare il brulicante quadro di Parigi,
sempre penso che quell’essere fragile
verso una nuova culla s’incammini adagio;

a meno che, guardando quelle membra discordi
e usando la geometria, non mi metta a calcolare,
quante volte l’operaio debba cambiare
la forma della cassa che conterrà quei corpi.

- Quegli occhi son pozzi di lacrime a milioni,
crogiuoli che un metallo raffreddato screziò...
Occhi misteriosi dagli invincibili fascini
per colui che l’austera Sventura allattò!


II


Del defunto Frascati Vestale innamorata;
sacerdotessa di Talia, di cui un suggeritore
interrato, ahimè! sa il nome; famosa svaporata
che il Tivoli ombreggiò quand’era in fiore,

tutte m’inebriano! ma fra questi esseri fragili
c’è chi, facendo un miele del suo dolore,
ha detto alla Devozione che offriva le sue ali:
possente Ippogrifo, portami con te nell’etere!


L’una addestrata alla sventura dalla sua patria,
l’altra, oppressa di dolori dal marito,
l’altra ancora, Madonna trafitta dal figlio,
avrebbero fatto un fiume con il loro pianto!


III


Di queste vecchine quante ne ho seguite!
una, fra le altre, nell’ora in cui il sole declina
straziando il cielo di vermiglie ferite,
in disparte, pensosa, su una panchina,

ascoltava una di quelle sonore fanfare
di cui i soldati a volte inondano i giardini,
e che, nelle sere d’oro in cui ci si sente ravvivare,
versano un po’ d’eroismo nel cuore dei cittadini.


Ancora diritta, fiera e seguendo il ritmo,
assorbiva avida quel canto vivo e guerriero;
talvolta apriva l’occhio come una vecchia aquila;
la sua fronte di marmo sembrava fatta per l’alloro!

 

IV


Così, stoiche e senza lamenti, ve ne andate
attraverso il caos delle città eccitate,

madri dal cuore trafitto, sante o baldracche,
il cui nome un tempo era su tutte le bocche.

Ora nessuno vi riconosce, voi che foste
la grazia e la gloria! un rude ubriacone
passando v’irride con amorose proposte;
dietro di voi saltella un piccolo mascalzone.


Vergognose d’esistere, ombre rattratte,
timorose, la schiena curva e rasente i muri;
nessuno più vi saluta, strani destini!
Rottami d’umanità per l’eterno maturi!


Ma io, che da lontano teneramente sorveglio,
inquieto, il vostro incerto cammino,
come se fossi vostro padre, o meraviglia!
a vostra insaputa gusto un piacere clandestino:

vedo sbocciare le vostre passioni novizie;
vivo, cupi o raggianti, i vostri giorni perduti;

il mio cuore moltiplicato gode ogni vostro vizio!
Il mio spirito risplende d’ogni vostra virtù!


Rovine! mia famiglia! o cervelli congeneri!
io vi do ogni sera un solenne addio!
dove sarete domani, Eve ottuagenarie,
su cui pesa il tremendo artiglio di Dio?
 


Voltando le spalle al mondo della natura ( che non popola stabilmente l'immaginario poetico di Baudelaire ) il poeta incontra la città, la Parigi delle ristrutturazioni di Haussmann, che la fanno diventare una città moderna, a tratti irriconoscibile. Un numero considerevole di composizioni dei Fiori del male hanno come tema la città: la raccolta presenta l'intera sezione Tableaux parisiens ( Quadri parigini ) imperniata sul rapporto tra la città e il poeta. E' Parigi con i suoi originali emblemi di vita, malamente ancorati ai paesaggi della modernità, che ci fa intuire a quali aspetti della vita urbana Baudelaire si interessi. Non si rivolge tanto a ciò che la città mostra, ma a quanto essa è intenta a celare scrupolosamente ( miseria, degrado, bassezza morale, prostituzione ). Parigi è rivissuta in modo contraddittorio nelle menti e nei cuori di soggetti apparentemente marginali, rigorosamente recuperati dalla poesia come preziosi emblemi di vita. Le vecchine, i ciechi, la passante sono altrettanti elementi di questo indistinto e brulicante consorzio umano, che la città include nelle sue strutture urbane, ormai disumanizzanti.
L'attenzione del poeta per questi soggetti è spontanea, non semplicemente curiosa: essi incarnano - un po' misteriosamente - la tensione verso l'amore, il rifiuto della piattezza quotidiana del vivere, la costante interrogazione sul senso delle cose. E Baudelaire li osserva, li scruta amorosamente, li ama, li canta come i veri interpreti dell'unica bellezza che la città sa riservare al poeta.

" Baudelaire pare non dimenticare mai la comunità degli uomini. Essa si trova sempre là, nella sua indistinta totalità - mentre "un'oscura atmosfera avviluppa la città" - e gli esseri si differenziano, pur restando parte di un'anonima collettività. Anche se "agli uni <la città> porta la pace, agli altri pensieri e turbamenti". Una certa forma di solidarietà agisce al di sopra degli individui, attraversando le masse anonime. Così i ciechi possono passare senza sapere che il poeta è legato a loro da una comune inquietudine metafisica: questa solidarietà non di meno è effettiva. Baudelaire ha avuto l'acuto sentimento di tale implicita forma di solidarietà e di relazionalità che accomuna - seppur fragilmente - gli abitanti della città. Esprime il concetto esplicitamente nella poesia A una passante. Due esseri si incrociano, non si rivedranno più, se non nell'eternità. Due destini si incontrano per un momento, anonimi ma non del tutto indipendenti l'uno dall'altro ( Poichè non so dove fuggi, tu non sai dove vado,/  o tu che avrei amata, o tu che l'hai saputo! )

da G.Bonneville "Les fleurs du mal" - Profil d'une œuvre - Hatier pp.38-39
 



Bonnard - Une passante



Pissarro - Il Boulevard Montmartre, 1897

A una passante

La via assordante attorno a me urlava.
Alta, sottile, in lutto, dolore maestoso
una donna passò
con la mano fastosa
sollevando orlo e balza, facendoli oscillare;

agile e aristocratica, con la sua gamba di statua.
Io, io contratto come un maniaco, bevevo
dai suoi occhi, cielo livido gonfio di bufera,
la dolcezza che affascina e il piacere mortale.

Un lampo... poi la notte! - Fuggitiva beltà
il cui sguardo in un attimo mi ha risuscitato,
ti rivedrò soltanto nell'eternità?

Lontano, chissà dove! troppo tardi! forse mai più!
Poiché non so dove fuggi, tu non sai dove vado,
o tu che avrei amata, o tu che l'hai saputo!

 

Alcune poesie affrontano il particolare rapporto tra l'artista, la sua attività creativa ( la poesia ) e la città. A livello simbolico Parigi diviene la prigione da cui bisogna evadere con l'immaginazione poetica, che è sempre atto di elevazione dal basso, dal fermo e condizionato universo delle cose. L'albatros e Il cigno sono le metafore che esprimono il bisogno di distacco fisico dalla bassezza dell'universo umano, in uno slancio verticale, ideale verso la purezza del cielo della creazione. Ma le due composizioni sono  accomunate anche dal persistere dei vincoli che negano questa liberazione; o perlomeno dalla definizione del disagio a misurarsi con gli uomini della nuova città, insensibili all'arte, che popolano Parigi, ormai segnata dal progresso industriale, dove il cigno non ritrova più il suo bel lago natale ma solo un secco rivolo, mentre bagna le sue ali nella polvere. Queste immagini restituiscono tutta la fisicità del disagio a convivere con una città, dove la folla fa sentire ancor più solo il poeta, dove la solitudine del resto è cercata come unico modo per ricrearsi un vero spazio creativo. In Paesaggio Parigi è vista dall'alto di una soffitta, come essenza lontana, decantata delle sue impurità, idealmente rinata a fonte di ispirazione. La città del lavoro e dei fumi si trasforma magicamente nell'immaginario poetico , diviene paesaggio evanescente che permette di ribaltare facilmente i suoi ritmi monotoni con quelli della natura, facendo sognare primavere, estati ed autunni favolosi.
 


Les Halles di Parigi

Panorama de l'île de la Cité


  Léon Spilliaert - Cigni

Séebeerger - Montmartre a Parigi
Il cigno
 

I
Andromaca, è a te che penso! Quel fiume,
misero e triste specchio ove un tempo brillò
limmensa maestà della tua pena di vedova,
quel falso Simoenta che il tuo pianto ingrossò,

dun tratto ha fecondato la mia memoria ferace,
mentre attraversavo il nuovo
Carrousel.
La vecchia Parigi è scomparsa (ahimè, più veloce
d’un cuore cambia l’aspetto d’una città);


solo in spirito vedo quel campo di baracche,
erbe, blocchi inverditi da acque stagnanti,
capitelli appena sbozzati e colonne a mucchi,
e confuse cianfrusaglie in vetrine luccicanti.


Là c’era un serraglio; là un mattino,
nell’ora in cui il Lavoro si ridesta
e sotto un freddo e chiaro cielo lo spazzino,
nell’aria silente, alza una cupa tempesta,


vidi un cigno fuggito dalla sua gabbia;
 sfregando con i piedi palmati l’arido selciato,
trascinava le bianche piume sul suolo accidentato.
Presso un secco rivolo la bestia, aprendo il becco,

bagnava nervosamente le ali nella polvere,
e diceva, il cuore colmo del suo bel lago natale:
«Acqua, quando scenderai? Quando tuonerai, folgore?»
Rivedo quell’infelice, mito strano e fatale,

tendere la sua testa sul collo agitato,
talvolta verso il cielo, come
l’uomo d’Ovidio,
verso il cielo ironico, d’un azzurro spietato,
come a rivolgere il suo rimprovero a Dio!


II


Parigi cambia! Ma niente nella mia malinconia
s’è mosso! blocchi, impalcature, nuovi palazzi,
vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria,
e i miei cari ricordi son più grevi dei macigni.


Così davanti a questo Louvre una visione m’opprime:
penso al mio grande cigno, ai suoi folli gesti,
che, come un esule, lo rendeva ridicolo, sublime,

divorato da un desiderio eterno! e penso a te,

Andromaca, come vile animale strappata
a un grande sposo e piegata al superbo Pirro,
curva nell’estasi sopra una tomba vuota;
vedova d’Ettore, ahimè! e moglie d’Eleno!

Penso alla negra, smagrita e tisica,
che, con l’occhio torvo e i piedi nella melma,
cerca le palme assenti della maestosa Africa
dietro il muro immenso della bruma;

a chiunque ha perduto ciò che mai si ritrova,
mai, mai più! e s’abbevera con i suoi pianti
e succhia il Dolore come una buona lupa!
ai magri orfanelli simili a fiori appassiti!

Così nella foresta il mio spirito s’esilia,
un antico Ricordo suona il corno con forza!
Penso ai marinai dimenticati su un’isola,
ai prigionieri, ai vinti!... e a molti altri ancora!
 


È con Hölderlin che il cigno, inteso come metafora della poesia, non riesce più a svolgere la propria funzione (o le proprie funzioni):con la crisi dell’idealismo tedesco, o meglio, si potrebbe dire dell’idealismo occidentale, la poesia appare irrimediabilmente inconciliabile. Una delle poesie più famose di Hölderlin tra le più difficili  di tutta la letteratura tedesca, intitolata Hälfte des Lebens, il poeta svevo esprime l’isolamento del poeta-cigno e la volontà di  annullamento dell’estetica romantica. Con Hälfte des Lebens l’identificazione metaforica dei cigni con l’esistenza del poeta si realizza come perdita del centro, come allontanamento definitivo del poeta (cigno tra i cigni) da una condizione originaria di vita armoniosa e conciliata con la natura, in cui dominano felicità e perfezione.
Charles Baudelaire (Le Cygne, 1860 ) si assume il compito di trasportare il cigno sull’asfalto della metropoli. L’animale cammina lentamente, in modo goffo e grottesco, su un terreno inadatto e non liquido: «le pavé sec». Il soggetto poetico moderno si trova così efficacemente rappresentato da Baudelaire nella sua dimensione orizzontale e metropolitana. Il cigno infatti non possiede più la capacità di volare né può in alcun modo ambire ad alcuna forma di verticalizzazione: esso appare del tutto prigioniero dello spazio urbano. Il povero animale non è più legato, neppure dal ricordo di un volo icarico, a spazi non terrestri come cielo ed acqua. Si aggira prigioniero e mercificato («évadé de son cage») nello spazio della metropoli moderna nella sua incommensurabilità ed anonimità. Il cigno di Baudelaire ci appare come una visione traumatica che allude all’ingresso del soggetto poetico nella modernità con tutto il suo carico di malinconia. Il centro è ormai un conglomerato urbano instabile e privo di forme definitive, in cui dominano alienazione, schiavitù e reificazione. Il soggetto poetico (lo spirito, l’immaginazione lirica) può sopravvivere solo come antinomia al mondo materializzato e reificat
o.

da http://www.dllc.unicas.it/riviste/Trame/trame_vol2/bontempelli2.pdf



Matisse - Vaso con pesci rossi
 

Puvis de Chavannes, L'estate, 1873

Paesaggio
 

Voglio, per comporre in castità le mie egloghe,
dormire accanto al cielo, come gli astrologhi,
e, vicino alle campane, ascoltare sognante
i loro inni solenni portati dal vento.
Dall’alto della soffitta, le mani sotto il mento,
vedrò l’officina che chiacchiera e canta;
i comignoli e i campanili, alberi di città,
e grandi cieli che fanno sognare d’eternità.


Com’è dolce veder nascere tra le brume
la stella nell’azzurro, alla finestra il lume,
i fiumi di carbone salire al firmamento
e la luna versare il suo vago incantamento.

Vedrò le primavere, le estati, gli autunni
e quando verrà l’inverno e le sue monotone nevi,
dappertutto chiuderò tende e imposte,
per costruire nella notte i miei palazzi fatati.

Mi abbandonerò al sogno di orizzonti bluastri,
di giardini, di zampilli piangenti in alabastri,
di baci, d’uccelli che cantano mattino e sera,
e tutto quello che di più infantile c’è nell’Idillio.
La Sommossa, battendo invano sul vetro,
non riuscirà a farmi alzare la fronte dal leggìo;
perché sarò immerso in quella voluttà
di evocare la Primavera con la mia volontà,
di tirar fuori un sole dal mio cuore e di fare
dei miei ardenti pensieri un tiepido aere.
 

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