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La famiglia contadina piemontese nelle campagne dell'800



 

I nuovi indirizzi produttivi affermatisi nelle campagne forniscono un’ulteriore conferma dell’ascesa delle piccole imprese coltivatrici. Le superfici vengono anche e maggiormente coltivate a vite, trasformando in tal modo certi vecchi tratti del paesaggio agrario piemontese. Nei primi due decenni dell’Ottocento la vigna aveva guadagnato sempre più terreno: nell’alto Monferrato, nell’Astigiano, nel Cuneese e nella provincia di Torino. Un po’ dovunque si cercava di assicurare ulteriore sfogo ai vigneti e all’alteno e si faceva posto con la zappa e la vanga anche al piccolo seminativo.

Un nuovo, folto, ceto di piccoli produttori agricoli era pertanto emerso in Piemonte alla svolta di metà Ottocento dal dissolvimento dei vecchi ordinamenti agrari e dal nuovo corso liberista fatto valere dai moderati. L’espansione della proprietà contadina continuava ad essere uno dei punti fondamentali dei programmi della Destra subalpina. Nell’ampliamento del ceto dei piccoli possidenti essa vedeva inoltre la possibilità di accrescere la produzione agricola e il numero dei contribuenti al gettito delle imposte erariali.

I mutamenti avvenuti nella distribuzione della proprietà  terriera a vantaggio dei piccoli coltivatori avevano modificato in parte gli antichi equilibri della società piemontese, ma non giunsero a scuotere l’egemonia dei grandi proprietari fondiari, detentori di cospicue rendite e della maggior parte delle cariche amministrative. Nonostante l’introduzione in periodo cavouriano di nuove imposte dirette e un sensibile aumento di quelle sui trasferimenti, l’imposta sui terreni rimase sostanzialmente stabile. Dall’altra parte gli esponenti liberali  si batterono per un alleggerimento delle imposte sulle industrie e sulle professioni, dal momento che la loro base elettorale era composta per la maggior parte da medici, avvocati, ingegneri, artigiani, piccoli fabbricanti e bottegai.

Lo sviluppo di forme di coltura intensiva contribuì all’incremento della produzione specializzata e al consolidarsi dei rapporti dell’economia subalpina con le aree di mercato più progredite. Il collocamento all’estero di riso, sete, vini e pelle di concia, continuava ad alimentare dopo il 1861 le correnti di scambio più importanti del sistema produttivo piemontese.

La crescente espansione di piccoli e medi produttori, si rivelò intorno agli anni ’80 un fattore di rallentamento nei tempi e nel processo di sviluppo mercantile delle campagne e nell’incremento  degli investimenti. Infatti, la terra non rappresentava tanto un investimento quanto piuttosto il mezzo migliore di occupare i componenti della famiglia, e la produzione era proporzionata alle necessità di ogni giorno per sopravvivere in qualche modo, di consentire il mantenimento del proprio status sociale.
Le relazioni parentali costituivano, anche, il perno fondamentale dell’attività produttiva.
Il forte spirito di compattezza e di coesione della famiglia contadina era sinonimo di autosufficienza più che di incremento delle risorse, pur nella ricerca di accessi diretti o di più ampi spazi di mercato.
 


Fonti bibliografiche:
-  Valerio Castronovo, Storia delle regioni - Il Piemonte, Einaudi 1977;  pp. 22 - 28
 

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