La dimensione metaforica del mare
nella produzione poetica di Leopardi.

 Nell’ambito dell’importanza dell’elemento della natura nella produzione leopardiana, sia poetica che prosastica, vorrei suggerire uno spunto di riflessione, utile agli alunni per evidenziare i connotati reali e metaforici che l’elemento-mare può assumere nelle opere letterarie.

In tal senso è utile partire da una riflessione, tratta dallo Zibaldone:

A quello che altrove ho detto dell'effetto che fa  nell'uomo la vista del cielo, si può aggiungere e paragonare quello del mare, delle egloghe piscatorie, e d'ogni sorta d'immagine presa dalla navigazione ec. Le idee relative al *mare* sono vaste, e piacevoli per questo motivo, ma non durevolmente, perchè mancano di due qualità, la varietà, e l'esser proprie e vicine alla nostra vita quotidiana, agli oggetti che ci circondano, alle nostre assuefazioni rimembranze ec. (dico di chi non è marinaio ec. di professione) ed anche alle nostre cognizioni pratiche; giacchè la cognizione pratica, almeno in grosso, l'uso, l'esperienza, una tal quale familiarità con ciò che il poeta ha per le mani, è necessaria all'effetto delle immagini e sentimenti poetici ec.; ed è per questo che piace soprattutto nella poesia ciò che spetta al cuore umano (che è la cosa della quale abbiamo più cognizione pratica), siccome nella pittura, scultura, ec. l'imitazione dell'uomo, delle sue passioni ec. (3. Ott. 1821.).

 Tale passo risulta quasi sorprendente nelle sue considerazioni, dal momento che l’idea del mare viene vista dall’autore come un’immagine utile sul piano estetico ( Le idee relative al *mare* sono vaste, e piacevoli ) , ma non durevole, poichè non presenta molte variabili di rappresentazione né è vicina alla vita quotidiana di molti uomini. Effettivamente nella produzione poetica leopardiana non emergono rimandi testuali di argomento specificamente marittimo, in relazione alla preferenza per paesaggi rurali-collinari, che dessero una sensazione di maggior definitezza e sicurezza, di prossimità esistenziale. D’altro canto l’elemento-mare è presente con un’aggettivazione che insiste su i tradizionali caratteri della vastità,

 Il nocchier fatichevole che corre
 Su veloce naviglio il vasto *mare*,
 Se campar brama dai sonanti flutti
 E la morte 

 Inno a Nettuno.6

 della profondità,

e per gli eccelsi monti
 Ed il profondo *mare* errando già
 L'eco romoreggiante. Udirla il Cielo

 
Inno a Nettuno.39

Vediamo inoltre l’elemento dell’orrore associato al mare, ma non nella accezione reale, bensì in quella metaforica di ampia distesa, come risulta dalla canzone Sopra il monumento di Dante, dove l’iperbato di neve orrido mare, ha la funzione di distribuire la categoria dell’orribile all’ampiezza della distesa di neve in cui morirono i soldati italiani nella sfortunata campagna di Russia al seguito di Napoleone:

      Così vennero al passo,
E i negletti cadaveri all'aperto
Su per quello di neve orrido *mare*
Dilaceràr le belve

 Il mare è poi legato, in maniera tradizionale, agli altri elementi primordiali, quali cielo  e terra

 L'etra sonante e l'alma terra e il *mare*
 Al fanciullin, che non al saggio, appare. 

 Ad Angelo Mai.89

o alle stelle, in un’ideale topos panistico che comprenda l’intero pianeta     

 

Ma tua vita era allor con gli astri e il *mare*,
 Ligure ardita prole,
Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti
 Cui /strider l'onde all'attuffar del sole
Parve udir su la sera, agl'infiniti
 Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo;  

 Ad Angelo Mai.76 sgg.

Nelle riflessioni delle Operette morali Leopardi pone poi in evidenza il valore esplorativo che la distesa marina acquisisce, per chi, come Cristoforo Colombo, da un punto di vista filosofico, considera il viaggio su superfici inesplorate come un disperato tentativo di vincere la noia, immergendosi in realtà sconosciute, rese ancor più inaccessibili - a livello conoscitivo - dalla distesa degli spazi resi inaccessibili e lontani dalla percezione umana.

Dalle Operette morali,
Dalogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez

Colombo. Parlando schiettamente, e come si può con persona amica e segreta, confesso che sono entrato un poco in forse: tanto più che nel viaggio parecchi segni che mi avevano dato speranza grande, mi sono riusciti vani; come fu quel degli uccelli che ci passarono sopra, venendo da ponente, pochi dì poi che fummo partiti da Gomera, e che io stimai fossero indizio di terra poco lontana. Similmente, ho veduto di giorno in giorno che l'effetto non ha corrisposto a più di una congettura e più di un pronostico fatto da me innanzi che ci ponessimo in mare, circa a diverse cose che ci sarebbero occorse, credeva io, nel viaggio. Però vengo discorrendo, che come questi pronostici mi hanno ingannato, con tutto che mi paressero quasi certi; così potrebbe essere che mi riuscisse anche vana la congettura principale, cioè dell'avere a trovar terra di là dall'Oceano. Bene è vero che ella ha fondamenti tali, che se pure e falsa, mi parrebbe da un canto che non si potesse aver fede a nessun giudizio umano, eccetto che esso non consista del tutto in cose che si veggano presentemente e si tocchino. Ma da altro canto, considero che la pratica si discorda spesso, anzi il più delle volte, dalla speculazione: e anche dico fra me: che puoi tu sapere che ciascuna parte del mondo si rassomigli alle altre in modo, che essendo l'emisfero d'oriente occupato parte dalla terra e parte dall'acqua, seguiti che anche l'occidentale debba essere diviso tra questa e quella? che puoi sapere che non sia tutto occupato da un mare unico e immenso? o che in vece di terra, o anco di terra e d'acqua, non contenga qualche altro elemento? Dato che abbia terre e mari come l'altro, non potrebbe essere che fosse inabitato? anzi inabitabile?

 
Facciamo che non sia meno abitato del nostro: che certezza hai tu che vi abbia creature razionali, come in questo? e quando pure ve ne abbia, come ti assicuri che sieno uomini, e non qualche altro genere di animali intellettivi? ed essendo uomini; che non sieno differentissimi da quelli che tu conosci? ponghiamo caso, molti maggiori di corpo, più gagliardi, più destri; dotati naturalmente di molto maggiore ingegno e spirito; anche, assai meglio inciviliti, e ricchi di molta più scienza ed arte? Queste cose vengo pensando fra me stesso. E per verità, la natura si vede essere fornita di tanta potenza, e gli effetti di quella essere così vari e moltiplici, che non solamente non si può fare giudizio certo di quel che ella abbia operato ed operi in parti lontanissime e del tutto incognite al mondo nostro, ma possiamo anche dubitare che uno s'inganni di gran lunga argomentando da questo a quelle, e non sarebbe contrario alla verisimilitudine l'immaginare che le cose del mondo ignoto, o tutte o in parte, fossero maravigliose e strane a rispetto nostro.

Ecco che voi veggiamo cogli occhi propri che l'ago in questi mari declina dalla stella per non piccolo spazio verso ponente: cosa novissima, e insino adesso inaudita a tutti i navigatori; della quale, per molto fantasticarne, io non so pensare una ragione che mi contenti. Non dico per tutto questo, che si abbia a prestare orecchio alle favole degli antichi circa alle maraviglie del mondo sconosciuto, e di questo Oceano; come, per esempio, alla favola dei paesi narrati da Annone, che la notte erano pieni di fiamme, e dei torrenti di fuoco che di là sboccavano nel mare: anzi veggiamo quanto sieno stati vani fin qui tutti i timori di miracoli e di novità spaventevoli, avuti dalla nostra gente in questo viaggio; come quando, al vedere quella quantità di alghe, che pareva facessero della marina quasi un prato, e c'impedivano alquanto l'andare innanzi, pensarono essere in sugli ultimi confini del mar navigabile. Ma voglio solamente inferire, rispondendo alla tua richiesta, che quantunque la mia congettura sia fondata in argomenti probabilissimi, non solo a giudizio mio, ma di molti geografi, astronomi e navigatori eccellenti, coi quali ne ho conferito, come sai, nella Spagna, nell'Italia e nel Portogallo; nondimeno potrebbe succedere che fallasse: perché, torno a dire, veggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsi, non reggono all'esperienza; e questo interviene più che mai, quando elle appartengono a cose intorno alle quali si ha pochissimo lume.

Gutierrez. Di modo che tu, in sostanza, hai posto la tua vita, e quella de' tuoi compagni, in sul fondamento di una semplice opinione speculativa.

Colombo. Così è: non posso negare. Ma, lasciando da parte che gli uomini tutto giorno si mettono a pericolo della vita con fondamenti più deboli di gran lunga, e per cose di piccolissimo conto, o anche senza pensarlo; considera un poco. Se al presente tu, ed io, e tutti i nostri compagni, non fossimo in su queste navi, in mezzo di questo mare, in questa solitudine incognita, in istato incerto e rischioso quanto si voglia; in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? in che saremmo occupati? in che modo passeremmo questi giorni? Forse più lietamente? o non saremmo anzi in qualche maggior travaglio o sollecitudine, ovvero pieni di noia? Che vuol dire uno stato libero da incertezza e pericolo? se contento e felice, quello è da preferire a qualunque altro; se tedioso e misero, non veggo a quale altro stato non sia da posporre.

L’elemento metaforico infine emerge in due testi apparentemente diversi, ma in realtà legati da una profonda riflessione su quei valori della vita che non abbandonò mai il poeta.

Si tratta del Pensiero 39:

 Però parmi che i vecchi siano alla condizion di quelli che partendosi dal porto tengon gli occhi in terra, e par loro che la nave stia ferma e la riva si parta; e pur è il contrario, che il porto, e medesimamente il tempo e i piaceri, restano nel suo stato, e noi con la nave della mortalità fuggendo, n'andiamo l'un dopo l'altro per quel procelloso *mare* che ogni cosa assorbe e divora; né mai più ripigliar terra ci è concesso, anzi, sempre da contrari venti combattuti, al fine in qualche scoglio la nave rompemo. Per esser adunque l'animo senile subietto disproporzionato a molti piaceri, gustar non gli può; e come ai febbricitanti, quando dai vapori corrotti hanno il palato guasto, paiono tutti i vini amarissimi, benché preziosi e delicati siano, così ai vecchi per la loro indisposizione, alla qual però non manca il desiderio, paion i piaceri insipidi e freddi e molto differenti da quelli che già provati aver si ricordano, benché i piaceri in sé siano i medesimi. Però, sentendosene privi, si dolgono, e biasimano il tempo presente come malo; non discernendo che quella mutazione da sé e non dal tempo procede. E, per contrario, recandosi a memoria i passati piaceri, si arrecano ancor il tempo nel quale avuti gli hanno; e però lo laudano come buono; perché pare che seco porti un odore di quello che in esso sentiano quando era presente.

 e dei più celebri versi dell’Infinito:

 (....)
Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo *mare*.

Sono due luoghi letterari che, se hanno in comune una valenza traslata dell’elemento mare, ne sottolineano due aspetti molto diversi: nel Pensiero emerge l’idea di mare-esistenza che porta lontano dalla ingenuità e freschezza giovanile, riprendendo il topos dell’età fiorita come unico momento degno di essere vissuto appieno. Nella poesia si insiste sul concetto di mare come distesa immaginifica in cui i pensieri possano liberamente correre, senza nessuna limitazione di sorta, quasi a evidenziare una libertà poetica, priva di “gabbie” retorico-poetiche, tipica di una sensibilità romantica.

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