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Il Modernismo e lo stile Liberty
 tra rivisitazione di motivi floreali e di stilemi orientali

"Lo stile Liberty - con il quale generalmente si suole definire l'intera produzione eseguita nell'arco compreso tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e i primi vent'anni del Novecento -  in Francia assunse il nome di Art Nouveau, in Austria di Secession Art, in Germania di Jugendstil, in Inghilterra di Modern Style, in Spagna di Arte Joven, in Italia di Floreale, mutuando questa denominazione da un negozio aperto a Londra verso la fine dell'Ottocento, specializzato nella produzione di stoffe e tessuti, la cui produzione era caratterizzata da disegni stravaganti e d'avanguardia. L'insegna "Liberty" di questa ditta divenne ben presto sinonimo di bizzarro, curioso, anticonvenzionale, e per estensione questo concetto fu poi utilizzato per designare tutto quel periodo artistico, in senso piuttosto dispregiativo. 
 



Liberty a Bruxelles
 

Liberty a Vienna


● Il Modernismo e i processi creativi della linea in natura

Nel maggio 1902 venne inaugurata a Torino la prima Esposizione internazionale d'arte decorativa moderna allestita al parco del Valentino. L'avvenimento, che presentava al pubblico italiano il meglio della produzione internazionale nel campo dell'architettura, dell'arredamento e delle arti applicate, era frutto del lavoro entusiasta di un gruppo di artisti e architetti torinesi e rappresentò il momento di maggiore successo della breve vicenda del Modernismo italiano legato all'ampio ampio movimento di rinnovamento artistico che si era affermato e diffuso in tutta Europa negli ultimi decenni dell'Ottocento  ( Art Nouveau, Modern Style, Jugendstil, Secession Stil ), ove l'accento batte significativamente sul concetto di stile e sulla suggestiva indicazione di una aspirazione al nuovo, al moderno, allo slancio giovanile. Trovava così espressione simbolica quell'attesa febbrile, quella fiducia nel progresso e nella modernità, quell'entusiasmo creativo che sembravano percorrere il mondo agli inizi del XX secolo.

Il  movimento modernista trovò uno dei suoi punti teorici maggiormente qualificanti nella lotta aperta contro l'accademismo e l'eclettismo ottocenteschi. Il «nuovo stile» — così fu spesso chiamato in Italia - respinse ogni riferimento agli stili storici del passato per attingere le sue fonti di ispirazione direttamente dalla natura; ciò si espresse anche nella creazione di un affascinante e ricchissimo repertorio di immagini e motivi decorativi tratti dal mondo vegetale e animale, ma soprattutto — a un livello teoricamente più impegnato — nell'indagine acuta dei processi creativi e formativi degli elementi naturali.
«La linea è una forza» ebbe a dire il grande architetto belga Henri van de Velde   la linea scattante e dinamica degli steli dei rampicanti, la linea avvolgente e sinuosa del guscio delle conchiglie diventava l'elemento generatore, la matrice strutturale della progettazione. Molte opere di architetti modernisti francesi, belgi, spagnoli esprimono un'inquietante forza metamorfica: sono aperte, asimmetriche, mobili, come in un'interna mimesi del
la vitalità e motilità delle forme naturali.
 



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Liberty milanese, Casa Guazzoni, via Malpighi 12, balcone liberty
http://www.msacerdoti.it/edifici.htm#Palazzina
 


Balcone liberty a Milano
 

Altro punto di forza della teoria del Modernismo — espresso appunto nella nozione di «stile» — fu il concetto dell'unità progettuale: gli architetti modernisti affermarono nell'architettura la continuità tra interno ed esterno e nell'arredo la coerenza di ogni elemento con il disegno dell'edificio.

Inoltre si affermò una nuova dignità e qualità per la produzione di oggetti d'uso, respingendo l'incoerente e affastellato collezionismo degli interni ottocenteschi. Questo principio della progettazione globale, dal piano dell'urbanistica fino a  quello del soprammobile, è all'ordine della vicenda  moderna dell'architettura e di quello che sarà chiamato l'industriai design (cioè progettazione per la produzione industriale).
Il Modernismo, nel suo slancio progressista, credeva nell'ideale utopico di portare la «bellezza» in ogni aspetto della vita quotidiana a livello di tutti gli strati sociali, servendosi dei nuovi materiali e delle nuove tecniche costruttive in architettura, della produzione in serie per gli oggetti d'arredo. L'alleanza arte-industria divenne una parola d'ordine e infatti il Modernismo si sviluppò rigoglioso in aree di industrializzazione avanzata. Anche in Italia il  breve momento di gloria del Modernismo coincise con quella fase storica che fu chiamata l'«età giolittiana»: il primo decennio del secolo, quando la politica di riformismo democratico di Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio dal 1903 al 1914, produsse il massimo sforzo per dare concretezza al decollo industriale dell'Italia in vista del suo adeguamento al livello europeo.  In Italia I'ondata modernista giunse in ritardo e sotto un'etichetta spuria, quella di Liberty.
Il ritardo fu meno sensibile per quegli aspetti considerati marginali nella gerarchia accademica, che offrivano maggiore libertà e possibilità di innovazione: l'illustrazione del libro e dei periodici, la grafica pubblicitaria, le arti applicate. I risultati più allineati ai princIpi del Modernismo si ebbero comunque nella decorazione di interni — ancora una volta quindi un campo di arte «applicata» — quando essa riuscì a integrarsi coerentemente alle linee progettuali dell'architettura.
In questi campi già a partire dal 1895 circa l'attività degli italiani — disegnatori, grafici, mobilieri, ceramisti — si affianca con dignità e spesso con originalità alla produzione straniera. In questi campi l'esposizione del 1902 appare il punto di arrivo di un processo scandito da alcuni episodi significativi: l'uscita di «Emporium» (1895), prima rivista italiana modellata sugli esempi inglesi e americani; la fondazione a Bologna della società di arti e mestieri «Aemilia Ars» (1898 ); la presenza all'esposizione del 1898, ancora a Torino, della produzione del mobiliere Eugenio Quarti e della manifattura di ceramica di Galileo Chini. 
 


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Galleria Vittorio Emanuele I, Milano
 


Alessandro Mazzucotelli, cancello delle farfalle, nella casa
di via Ausonio 3 a Milano, ferro battuto, 1904.





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Alessandro Mazzucotelli, Strutture decorate in ferro battuto

 

Silvio Gambini, Decorazioni in ferro battuto

http://www.dibaio.com/home.htm
http://www.provincia.va.it/varliber/biograf.htm
 

Diverso e più complesso discorso meritano gli sviluppi in campo architettonico. Occorreva la conferma ufficiale dell'Esposizione di Torino per dar fiato ai tentativi sporadici di rinnovamento dell'architettura che stavano emergendo alla fine del secolo. I festosi e coloratissimi padiglioni disegnati da Raimondo D'Aronco con estrosa fantasia  erano un invito a tentare la via della libertà e dell'originalità. Proprio in coincidenza con l'avvenimento torinese venivano compiute alcune opere che possono utilmente servire da esempio per valutare risultati e limiti dell'architettura modernista in Italia: si tratta della casa realizzata per se stesso da Pietro Fenoglio a Torino (1903), del villino Florio all'Olivuzza a Palermo opera di Ernesto Basile (1899-1902) e del palazzo Castiglioni a Milano di Giuseppe Sommaruga (1900-903).
Casa Fenoglio è un caso raro in Italia di intelligente adesione ai modelli dell'ArT Nouveau franco-belga: posta all'angolo di due vie, la costruzione enfatizza l'elemento di raccordo angolare - una sorta di torre percorsa da uno scattante bow-window (corpo sporgente chiuso da finestre) — che serve a imprimere dinamismo allo sviluppo dei due prospetti. Una linea sinuosa e scattante disegna le aperture dei finestroni, modella i profili dei balconi, anima i curiosi coronamenti plastici del tetto. Fedele al principio della progettazione globale, Fenoglio ha disegnato ogni particolare, dalle inferriate dei balconi e delle scale alle vetrate, dalle splendide porte a vetri agli infissi in noce intagliato, fino alle maniglie in ottone delle porte.

A confronto il villino Florio di Basile sembra appartenere non solo a un altro linguaggio, ma persino a un altro momento culturale. Di primo acchito si potrebbe scambiarlo per un'esercitazione di disinibito eclettismo, poiché i singoli elementi - torrette, frontoni, porticati, scale esterne, lo stesso paramento in pietra a vista — appartengono al repertorio architettonico tradizionale; tuttavia l'assemblaggio apparentemente eterogeneo è percorso da un fremito dinamico - come se un nucleo generatore interno tendesse a far esplodere tutt'attorno i singoli elementi — e insieme è governato da un magistrale controllo che riconduce, con una certa ironia, il tema fantasioso del castello entro i limiti proporzionali e spaziali del villino borghese.

( da E. Bairati, A. Finocchi, L'arte in Italia, Vol 3, Loescher, 1985, p 517 - 523 )

 


Pietro Fenoglio, Casa Fenoglio, Torino, 1903

Ernesto Basile, Hotel Villa Igea, Palermo, 1899-1903


● Elementi decorativi del liberty siciliano
 


Palermo, Villa Igiea, salone De Maria: dettaglio di parete dipinta
www.isideweb.com/ palermo/arte/pg_arte.html

Villa Tasca d'Almerita, Mondello: vetrata policroma
www.isideweb.com/ palermo/arte/pg_arte.htmL


Negli anni di Belle Epoque, la borghesia era quanto mai incline ad accogliere nuove forme d'arte e d'arredo che finalmente emancipassero il quotidiano da quelle espressioni stucchevoli e per certi versi lugubri che avevano invece contraddistinto la produzione eclettica.

 In Francia l'Art Nouveau prese dunque il suo nome dall'insegna del negozio che aprì Samuel Bing nel 1895 a Parigi, intorno a questa curiosa figura di imprenditore, si radunarono artisti del calibro di Bonnard, Pissarro, Seurat, Toulouse-Lautrec e nella grande Esposizione Universale di Parigi del 1900 la ditta Bing registrò un successo a dir poco strepitoso. Samuel Bing
così si espresse: “l’Art Noveau combatterà per eliminare il grigiore e la pretenziosità della vita quotidiana, introducendo al loro posto il buon gusto e l’eleganza della semplicità anche nel caso dei più quotidiani tra gli oggetti d’uso”.
In controtendenza al naturalismo floreale perorato da Gallé, l'atelier di Bing spicca per un estremo rigore lineare, in cui ogni compiacenza decorativa viene ridotta, e si perviene a un'eleganza tanto incisiva quanto spoglia. Con Alexandre Charpentier e il suo gruppo L'Art dans Tout l'arredo si delinea secondo orientamenti formali che inneggiano all'astrattismo e ormai preludono all'Art Déco, una tendenza che trova consensi e conferme anche nella produzione a secca geometria lineare di Plumet. 

Altre nazioni parteciparono attivamente alla creazione di fermenti Liberty, si pensi agli stati tedeschi con personalità di punta come Bernhard Pankok, August Endell o Joseph Hoffmann, al Belgio con Gustave Seurrier-Bovy o con un gigante come l'architetto-designer Henry Van de Velde, capace di inventare arredi che ancor oggi sono di una modernità più che attuale, la Spagna trovò in Antonio Gaudì il suo interprete più controverso e fantasioso."

http://web.tiscali.it/restauroantico/liberty.htm

 


Parigi, Ingresso della metropolitana
 
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Parigi, Altro ingresso della metropolitana

 


Parigi, Palazzo liberty ( architetto Guimard )
 

G. Bossi, Piazza Galimberti a Milano, 1902
 

"Verso la fine del secolo si registra, quasi improvvisa, una generale protesta contro l'accademismo eclettico imperante, deridendo i goffi plagi degli stili del passato e la produzione di massa, contribuendo a diffondere i primi germi di una nuova estetica. Artisti in ogni campo ora plaudono alla creazione di oggetti semplici e funzionali, originali e logici nel modulo costruttivo e nel contempo di raffinata esecuzione. 
In Francia, in Inghilterra, in Germania e in Scozia pulsioni verso questa nuova concezione di vivere l'arte sorsero quasi all'unisono, seppure indipendenti. Tuttavia fu a Monaco che venne la nuova estetica assunse importanza di primo piano. Il periodico Die Jugendstil fondato da Georg Hirth fu il battistrada che indicò per primo il Modern Style o Stile Giovinezza, che nei fatti anticipa la grande stagione del Liberty. In Inghilterra trovò facili radici nel movimento Arts and Craft con particolare vocazione a esaltare le tradizioni artigianali sopravvissute all'industrializzazione massificante. Altro centro di primario interesse per la codificazione del nuovo spirito moderno fu Vienna, con Klimt e Olbrich che nel 1897 vararono la Secession Art.. 

http://web.tiscali.it/restauroantico/liberty.htm

 


Victor Horta, Casa Solvay,Bruxelles, 1895-1900.
 



Victor Horta, Hall central de la maison van Eetvelde à Bruxelles, 1899


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Victor Horta, Maison du peuple, 1895 -  1899






Victor Horta, La sale a manger du Maison Horta


Victor Horta, architetto belga (1861-1947), figlio di un falegname, a 17 anni, contro la volontà del padre , andò a studiare a Parigi. Tornato a Gand , completò gli studi presso l'accademia di Belle Arti di Bruxelles (1881), entrando poi a studiare nello studio di A. Balat, architetto di formazione neoclassica. Negli anni fino alla prima guerra mondiale Horta produsse una serie di importanti edifici ( Casa Solvay, 1895-1900 ; Casa Horta 1898 ) e soprattutto l'opera considerata il suo capolavoro, la Maison du Peuple (1896-99), ora distrutta , nella quale a una maggiore castigatezza decorativa corrispondeva lo slancio di un' impostazione volumetrica spinta a negare la massa muraria non solo con la struttura di ferro e le trasparenze superficiali delle vetrate continue, ma anche con l'ondulazione del vasto prospetto e con la moltiplicazione delle sfuggenti prospettive .Ormai famoso in campo internazionale, Horta ripiegò successivamente su posizioni più tradizionali, realizzando opere come il Palais des  Beaux-Arts a Bruxelles (1922-28).
 

 

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