La parodia delle debolezze umane nel personaggio di
Don Abbondio -
A. Manzoni, I promessi sposi, capitolo I


Perpetua tenta di consigliare Don Abbondio

Di che cosa è fatta la comicità manzoniana attorno alla figura di Don Abbondio?

La comicità si sviluppa sempre dall'evidenza di una certa contraddizione rispetto a quanto ci si attende dall'osservazione della realtà. La forza di tale contraddizione può produrre effetti diversi: può orientare verso la critica di un vizio o di una passione ( satira ), può evidenziare una debolezza abitualmente diffusa ( ironia ) e talora spostare la nostra attenzione sui risvolti amari della contraddizione stessa ( umorismo pirandelliano ).

Il compito di Manzoni è leggermente diverso. Le debolezze di Don Abbondio sono in qualche modo legate al suo tempo, sono
causa di condizionamenti storici a cui è difficile sottrarsi. Eppure il suo personaggio è caricato da una serie di eccessi che non possono essere accettati e quindi rendono umanamente comica la figura. E' il confronto con personaggi inseriti del suo stesso contesto sociale < ma culturalmente inferiori > che evidenzia soprattutto tali eccessi. Perpetua in particolare, che è capace di trovare soluzioni plausibili ai problemi che angosciano il prete, ma anche i personaggi che lo affiancano abitualmente negli episodi del romanzo. Dunque comicità da sproporzione tra le cause e gli effetti dei fenomeni, tra una realtà difficile da affrontare - ma in sostanza decodificabile - ed il codice d'azione del religioso, povero di prospettive e di strategie, che impedisce a Don Abbondio di uscire dai vincoli posti dalla sua indole.
La particolare comicità manzoniana ( sorta di parodia delle debolezze umane ) non è fine a se stessa comunque e si fa strumento di critica. Don Abbondio, verso il quale nutriamo in fondo sentimenti di comprensione e di sostanziale simpatia, è un personaggio negativo dei Promessi sposi in quanto male incarna i valori cristiani.
 

L'incontro con i bravi



L'incontro di Don Abbondio con i bravi.


Diede un'occhiata, al di sopra del muricciolo, ne' campi: nessuno; un'altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi.
Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell'incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.

- Signor curato, - disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.

- Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.

- Lei ha intenzione, - proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!

- Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.

- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.
 

I dubbi e le incertezze sulla condotta da tenere. I consigli di Perpetua.


- Oh vedete, - disse don Abbondio, con voce stizzosa: -
vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farò, come farò; quasi fosse lei nell'impiccio, e toccasse a me di levarnela.

- Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...

- Ma poi, sentiamo.

- Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il nostro arcivescovo è un sant'uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando può fare star a dovere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente...

- Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un pover'uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe?

- Eh! le schioppettate non si dànno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perché lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a...

- Volete tacere?



Don Abbondio e Perpetua



La solitudine di Don Abbondio

- Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s'accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...

- Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggianate?

- Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.

- Ci penserò io, - rispose, brontolando, don Abbondio: - sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare - E s'alzò, continuando: - non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per l'appunto a me.

- Mandi almen giù quest'altro gocciolo, - disse Perpetua, mescendo. - Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.

- Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro. Così dicendo prese il lume, e, brontolando sempre: - una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com'andrà? - e altre simili lamentazioni, s'avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne : - per amor del cielo! -, e disparve.


Il carattere di Don Abbondio si delinea fin dalle prime pagine dei Promessi Sposi, vale a dire fin dalla scena dell' incontro con i bravi: la
paura che prova, le speranze di vedere qualcuno nei campi circostanti a cui chiedere aiuto, il desiderio di fuggire, il fatto di affrettarsi a raggiungere i bravi pur di abbreviare l' angoscia che provava nel vederli e nell'aver capito che i due stavano aspettando proprio lui, rivelano il suo carattere vile e pavido. Il timore di Don Abbondio si può capire poi anche dai dialoghi, dove il curato si limita a balbettare o a far ricadere la colpa su qualcun' altro ( nel 1° capitolo, ad esempio, la colpa viene attribuita a Renzo e a Lucia, ai quali era passato per la testa di sposarsi). Non una minima parola che riveli un poco di coraggio, anche se il fatto di essere un curato gli avrebbe dovuto garantire una certa protezione da parte della Chiesa. Il Manzoni spiega inoltre il motivo fondamentale che aveva spinto Don Abbondio a diventare prete: l' assoluta mancanza nel '600 di leggi che proteggessero  i deboli dai prepotenti e dai malvagi. Così Don Abbondio, che non era certo nato con un cuore da leone, si era presto accorto di essere nella società in cui viveva " come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro ". Il curato aveva pertanto deciso di diventare sacerdote, cosa che gli avrebbe permesso di trascorrere una vita quieta e comoda, lontano dai disagi e dai problemi. E se era stato stato obbligato a prendere  posizioni tra due contendenti, non aveva mai esitato a stare dalla parte del più forte e da sempre aveva ritenuto che per evitare ogni specie di guai fosse necessario non immischiarsi nelle faccende altrui.

Comico è soprattutto il dialogo tra Perpetua ( la domestica ) e Don Abbondio, in cui si rivela ancora il carattere schivo e pauroso del prete, che è esattamente l' opposto di quello della sua domestica. Perpetua era dotata di una dose di determinazione, dote che certo mancava al curato.

Anche in altri due capitoli viene messo in evidenza il carattere vile di Don Abbondio: nel primo si descrive il ritorno di Lucia a casa, accompagnata dal prete che è costantemente in preda della paura che la mula su cui viaggiava cadesse in un burrone; oltre a questo c'è la paura dei bravi dell' Innominato che si potessero vendicare sul curato per l' improvvisa conversione del loro signore. Paura anche di Don Rodrigo perché la sua malvagia impresa era fallita.

Nel XXIX capitolo si descrive il terrore di Don Abbondio all' arrivo dei Lanzichenecchi: anche in questo caso, il prete vede in ogni avvenimento un motivo di terrore: terrore dei soldati, terrore verso i bravi dell' Innominato, terrore per il fatto che si era radunata tanta gente. Anche in questo caso si nota il solito litigio tra Don Abbondio e Perpetua che come al solito si dimostra più coraggiosa e decisa del sacerdote.
 

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