E. Montale - Gli emblemi simbolici dell'animo, i correlativi
oggettivi
di sensazioni e condizioni esistenziali.


Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.

Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace — uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.

Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordigno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.

Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.

Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.

Il tuo delirio sale agli astri ormai.
 




 


Nella dimensione del paesaggio montaliano il mare è senza dubbio uno dei correlativi a più forte valenza.
L' incessante energia delle onde, l'agitarsi perpetuo delle acque mosse dai venti, il rifrangersi impetuoso del frangente sulla scogliera…si identificano perfettamente con la
forza invincibile del tempo che consuma ogni cosa, rende relativi valori e speranze, annienta e disarticola l'esistenza umana discontinuamente mossa tra il momentaneo recupero di una verità e la permanente negatività data dalla ragione. Il mare è cantato come lezione di vita vera ed autentica, come termine positivo, che il poeta ha ansia di raggiungere e che pure ha consapevolezza di non poter raggiungere. Egli lucidamente sa di essere " della razza " di chi rimane a terra".  L'osso di seppia, l'albero rugoso sono gli emblemi di una natura corrosa dalla forza del mare, in fondo gli emblemi di una sconfitta, come lo è la vita dell'uomo, segnata dal continuo rifluire  tempo.
 

Meriggiare pallido e assorto. 

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d' orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.  

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch' ora si rompono ed ora s' intrecciano
a sommo di minuscole biche. 

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi. 

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 


Il paesaggio di un assolato pomeriggio estivo è correlativo oggettivo della condizione esistenziale desolata e svuotata di ogni slancio vitale. L'ora pomeridiana invita alla meditazione. Le cose vivono in se stesse in una concreto  porsi  all'uomo  nella loro scabra durezza e , nello stesso tempo, in una loro essenza quasi metafisica. Esse incarnano perfettamente, emblematizzandola,  l'irrazionale e incomprensibile fatica del vivere quotidiano. La prima parte della poesia si regge su allitterazioni, consonanze e ritmi di sillabe "storte e secche"… che riflettono la percezione travagliata e dolorosa di una natura quasi sofferente. ( rovente muro d'orto, pruni, sterpi, schiocchi, frusci, tremuli scricchi, calvi picchi…)

Il sole non è luminosità rischiarante ma è  metafora dell'accecamento, è luce abbagliante che nasconde anziché evidenziare, che opprime anziché rinfrancare. Questa luce non lascia  intuire alcun possibile rapporto tra l'uomo e la natura, non fa trapelare alcuno  scopo nell'esistenza umana. Consumare giorno per giorno  la propria vita -"mistero inconoscibile"- è  percorso obbligato, segnato dall'ostacolo sovrastante di un muro invalicabile ed irto, vera prigione esistenziale, che preclude verità e pienezza di valori rassicuranti.

 


In questi versi è sospeso il seguitare a vivere per inerzia, totalmente privato di uno slancio vitale; di quest’inerzia si fa carico l’ambientazione, arida, la luce, al contempo piena ed insensata. E’ evidente la dimensione metafisica in cui dobbiamo calarci, che ricorda in modo impeccabile le atmosfere inconcludenti della pittura surrealista; le immagini così semplici, nella loro indifferenza, creano il dubbio dell’esistenza di qualcosa di inconoscibile, che getta nello sconforto; l’inconoscibilità di quel qualcosa che pure siamo costretti a cercare è sostenuta dal muro, inteso come una muraglia, che ai nostri occhi, non ha né inizio né termine, e che a difesa della propria irraggiungibilità è sovrastata da cocci di bottiglia, che feriscono chi cerca di travalicare quello che è a noi dato. Lo sconcerto della inconoscibilità porta ancora di più ad abbracciare l’idea di mondo come rappresentazione, ed in questa ottica è molto importante un’altra poesia contenuta negli Ossi:
 

Forse un mattino andando in un’aria di vetro. 

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida,rivolgendomi vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco. 

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

 


G.De Chirico - L'enigma di una giornata - 1914


La ricostruzione del mondo avviene come su uno schermo, è quasi ombra di una pellicola che si stende  su una  tela bianca. L'enumerazione di alberi …case… colli… evoca la rapidità  delle immagini , il movimento implicito nella loro successione. L'illusione, "l'inganno consueto " consiste nello  scaturire  spontaneo delle forme dallo spazio vuoto di un immaginario, virtuale schermo o  specchio, strumento deformante e fantasmatico del reale.
C'è dunque la mente che intuisce e il mondo che scorre, inafferrabile nella sua presunta concretezza.
Capire , se non conoscere,  è una giravolta vertiginosa su se stessi intuendo il mistero , l'essenza metafisica di un "fotogramma" impossibile da isolare veramente. E' questa la meditazione del poeta, nell'andatura assorta e sospesa nell'aria del mattino, nel silenzio che custodisce un segreto carpito da un fulmineo moto intuitivo. Un'analogia sostanziale unisce l'"andare zitto" al NULLA, al VUOTO che è origine e fine del tutto, e all'ARIA DI VETRO, ARIDA che ne è la parvenza interiore meno ingannevole.


In questa poesia è affrontata un’esperienza non rarissima, che può trovare numerosi riscontri filosofici e letterari, perché questa forma di allucinazione psichica ha luogo in un’antropologia dell’immaginazione comune, in particolare è da notare l’affinità con un alcune righe dei Racconti autobiografici di Tolstoj: "immaginavo che fuori di me nessuno e nulla esistesse in tutto il mondo, che gli oggetti non fossero oggetti, ma immagini, le quali mi apparivano solo quando vi fissavo l'attenzione, e che appena cessavo di pensarci quelle immagini subito svanissero. In una parola mi trovavo d'accordo con Schelling nel ritenere che esistono non gli oggetti, ma il nostro rapporto con essi [...] rapidamente mi voltavo dalla parte opposta, sperando di sorprendere il nulla, là dove io non ero". L’accorgersi dell’inesistenza del mondo soprasensibile è per Montale un’esperienza sfuggente, il miracolo che tanto cerca oltre il muro è osservare il vuoto, che dona “un terrore di ubriaco”; in realtà il realizzarsi del miracolo è anche qui negato dal “forse” che apre la poesia, e ancor più è inconoscibile agli uomini che camminano senza badare per la loro vita.

http://www.biblio-net.com/filosofia/l'inconscio.htm
 

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