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Cavour a confronto con le scelte agronomiche europee.


Tenuta di Leri - A) Stralcio del tipo 1821, prima delle opere ordinate dal Conte di Cavour -
  da O. Mattirolo - Il Conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino - Torino 1931



Tenuta di Leri - B) Stralcio del tipo del 1915, illustrante le opere ordinate ed eseguite sotto la direzione del Conte di Cavour - ( Dott. Rossi )
 da O. Mattirolo - Il Conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino - Torino 1931

 

Gli obiettivi dell'attività agricola del Conte Cavour

Nella sua attività di agricoltore Cavour portò certamente idee, cultura e ambizioni più larghe di quelle che avevano guidato il padre negli anni precedenti: ma sarebbe erroneo ritenere ch'egli si proponesse subito quei programmi di radicale rinnovamento che caratterizzano la sua opera, specialmente a Leri, in una fase successiva, a partire soprattutto dal 1843-45.  Già l'obbiettivo che lo aveva condotto a darsi alla vita di agricoltore era di natura troppo pratica e immediata perché egli potesse farsi sedurre allora da schemi di miglioramento agrario non traducibili in solleciti utili di gestione.  L'idea di procurarsi, « par l'administration de la fortune paternelle, de Lery en particulier, un sort indépendant »  che lo aveva guidato fin dall'inizio, restò ancora per parecchi anni al centro dei suoi progetti personali.
Un intento tutto pratico e concreto egli difendeva in tono di vivace polemica contro altre e più ambiziose visioni dell'attività agricola:
 « mon but - dichiarava allo stesso De la Rive" - est de retirer la plus grande somme possible de la terre; celu
i de vos compatriotes au contraire a toujours été de faire rendre à la terre le produit brut le plus considérable, sans égard pour les dépenses de culture.  Aussi je crois que la plupart de vos agronomes ont recueilli plus de belles paroles que de bons écus. je travaille dans un sens contraire, et je tâche de me procurer le plus grand nombre d'écus, sans m'inquiéter des mémoires des sociétés agricoles et des utopies des fermes modèles ». Non era questo l'atteggiamento che poteva spingerlo a imbarcarsi in grosse imprese di trasformazione agraria.  E a ciò si aggiungeva la limitatezza dei mezzi a sua disposizione, che si riducevano al capitale circolante anticipatogli nel contratto di affitto, mentre la sua posizione negli affari era ancora troppo modesta per consentirgli quel largo accesso al credito su cui potrà contare più tardi. Questa visione dell'attività agricola come attività d'impresa, inserita nel mercato e legata a rigidi criteri di economicità, resterà anche in seguito come criterio di orientamento delle iniziative agricole del Conte, e varrà a salvaguardarlo da molti rischi e da inutili perdite.  Ma essa conteneva anche il pericolo di indurlo non tanto a identificare il progresso agricolo con l'ammontare della rendita fondiaria e del profitto dell'agricoltore ( che nella prospettiva di un proprietario imprenditore, quale egli era o si avviava ad essere, era un'esigenza certo legittima ) quanto a rischiare una sostanziale contraddizione tra la tendenza a un progresso tecnico-agricolo vasto e generalizzato e l'incremento di quei redditi.
 


La palazzina di Leri dove abitava il Conte Camillo di Cavour
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Tratto da O. Mattirolo - Il Conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino - Torino 1931 >
 

Fiducia nella moderna cultura economica: i viaggi all'estero

Se nella prospettiva iniziale del Cavour agricoltore non rientravano vaste opere di miglioramento agricolo, ciò non significa ch'egli si sia mai posto davanti all'agricoltura in un atteggiamento conservatore e routinier.  La sua fiducia nella moderna cultura economica e scientifica e soprattutto la passione per l'operare e per l'attivo intervento sulle cose e sulle situazioni concrete, dovevano farne assai presto un propulsore instancabile di innovazioni e di esperimenti, un creatore di sempre nuove prospettive e possibilità destinate a rimuovere profondamente l'ambiente e la pratica ordinata che da decenni presiedeva alla vita delle grandi risaie vercellesi.  Quel che importa tuttavia è di intendere i criteri che hanno guidato questa operosità e i caratteri da essa assunti nei primi sette o otto anni dell'attività di Cavour agricoltore, senza sovrapporvi indebitamente quelli del periodo successivo, che si delineerà, come si è detto, soprattutto a partire dal 1843.
Nel suo nuovo campo di azione il conte portò anzitutto un bagaglio di conoscenze teoriche e di letture che si sforzò di aggiornare e arricchire continuamente seguendo í principali periodici agricoli e la produzione libraria più recente ed autorevole d'Europa.  Nei suoi scritti sono assai frequenti i riferimenti ad autori ed opere che mostrano una sicura conoscenza di quel che il pensiero agronomico aveva prodotto negli ultimi decenni, da Chaptal a Davy a Tháer a Dombasle a Liebig a JohnstonI molti viaggi ch'egli ebbe a compiere in Francia in questo periodo gli diedero modo di osservare e comparare tecniche e situazioni piemontesi con quelle in vigore nel Delfinato, nella Franca Contea, nella regione di Bordeaux, per non parlare di molti cantoni elvetici, a cominciare, naturalmente, da quello di Ginevra,

Un nuovo viaggio in Inghilterra nella primavera-estate del 1843 gli consentì di realizzare il progetto, concepito già da qualche anno, di studiare in loco l'agricoltura di alcune contee inglesi: dal Cheshire e dal Norfolk, al Worcestershire.  Sulle modalità di utilizzazione delle pratiche agronomiche studiate in Europa, si legge opportunamente quest'indicazione nel suo necrologio del conte Cavour: "d'abord il étudia l'agriculture des pays les mieux cultivés de l'Europe, ensuite il tácha d'introduire dans son domaine celles des méthodes perfectionnées qui convenaient le mieux aux circonstances particulières où il se trouvait placé  "

Un'attenzione non minore il conte infatti dedicò a rendersi padrone delle tecniche e delle condizioni locali nelle varie zone dove si trovavano i vasti possedimenti che egli era chiamato ad amministrare; e di essa si hanno prove numerose nei lunghi soggiorni a Leri, nella testimonianza di tutti gli osservatori, nelle ricche corrispondenze indirizzategli dai suoi collaboratori, nei cenni precisi che si colgono anche in alcune sue lettere ed appunti di quest'epoca, anche prima che si inizi quel carteggio con Giacinto Corio, che costituisce il maggiore monumento alla gloria di Cavour coltivatore della terra piemontese.  Cavour veniva acquistando una reale competenza - riconosciutagli anche dal marchese Michele - sulla coltivazione del riso. Di tale competenza iniziò a dare qualche saggio pubblicando, fra il 1839 ed il 1841, un paio di articoli su periodici specializzati intorno ad una nuova presunta varietà di riso e ai vantaggi sociali più che economici del metodo lombardo di allevamento del baco da seta, rispetto all'allevamento industriale su grande scala.

Ma già in questo scritto veniva avanzato, a proposito dei caratteri generali dell'economia agraria piemontese in relazione a quelli dei paesi più noti per i loro progressi agrari, un giudizio che aiuta a intendere come le esperienze particolari fatte da Cavour nella sua attività di privato agricoltore si fossero via via allargate a una visione più ampia, che investiva tutta l'economia del paese; e come a sua volta tale visione contribuisse a determinare in notevole misura i criteri direttivi della sua condotta nella amministrazione dei poderi di Leri, di Grinzane e di Santena.
A Cavour non sfuggiva certamente l'importanza della rivoluzione agricola operatasi nelle regioni dell'Europa nord-occidentale: nel 1845 egli dedicherà anzi alla rivoluzione agraria inglese alcune pagine vigorose che ne tratteggiavano gli aspetti principali, dalle nuove rotazioni alle pratiche per il miglioramento e la più ricca fertilizzazione dei terreni, ai progressi della chimica e della meccanica agraria, a quelli dell'allevamento.  Tuttavia, egli aveva iniziato la sua esperienza agricola nella convinzione, assai diffusa tra i seguaci delle più moderne teorie agronomiche, che "i coltivatori piemontesi fossero troppo tradizionalisti ed abitudinari nelle pratiche agricole per sostenere il confronto con quelli dei paesi più avanzati ", ed aveva dunque ritenuto, con ogni probabilità, che sensibili miglioramenti delle pratiche vigenti potessero essere ottenuti senza troppo sforzo da un coltivatore abbastanza coraggioso e illuminato.  A questa convinzione è forse da riportare il tentativo che quasi subito, come vedremo, egli intraprese di acclimatare a Leri e a Grinzane la barbabietola da zucchero, nella speranza di potervi collegare di lì a qualche tempo uno zuccherificio.  Ma l'esperienza accumulata dopo qualche anno fece maturare in lui un convincimento diverso che così si può riassumere. Nonostante la grande varietà delle regioni e dei prodotti agricoli del Piemonte, ci sono dei caratteri comuni a tutto il nostro sistema agricolo, che lo differenziano da quello delle altre nazioni europee: il ruolo centrale che gioca il mais nelle rotazioni e la presenza dei prati permanenti. Il primo è coltivato nelle zone irrigue come in quelle asciutte e in fondo alle vallate. Così pure i prati permanenti forniscono da soli il foraggio per il numeroso bestiame delle nostre campagne. Cavour obiettava :
" quasi tutti gli agronomi europei combattono i prati permanenti, ponendoli ben al di sotto di quelli artificiali, consigliando di inserirli in un sistema di rotazioni come tutte le altre colture. Benché questi argomenti siano plausibili, non mi sembrano applicabili nelle nostre zone". 

Il rispetto della tradizione agronomica piemontese

Il contrasto tra l'insegnamento teorico e la realtà piemontese da motivo di critica della realtà locale diventava stimolo ad un assai più cauto atteggiamento davanti alle novità suggerite dai teorici.
« La nostra agricoltura - proseguiva - è basata sui prati stabili ed irrigatori, e sulla coltura del grano turco eseguita in grande.  In grazia di questi due fatti le nostre rotazioni sono affatto semplici.  In quasi tutto il Piemonte il frumento succede al granoturco, e questo a quello senza altra interruzione, tranne quella dei trifogli di tempo in tempo coltivati come raccolta sottratta.  A primo aspetto questo sistema sembra molto difettoso, e di tale natura da distruggere la fecondità del nostro suolo: l'esperienza tuttavia dimostra il contrario.  Coi nostri prati secolari, e col nostro formentone alternante di continuo coi nostri grani, le terre ci somministrano a pari estensione una massa di prodotti più ragguardevole forse che le terre di tutte le altre contrade d'Europa, il solo Belgio eccettuato ».
Prova di ciò il livello degli affitti, che raggiungono i 100 franchi l'ettaro e in talune zone più fertili, per es. quella di Pinerolo, i 200: il che significa che in Piemonte « il prodotto netto della terra » è più elevato forse che in ogni altro paese.  Il sistema agrario che assicura questi risultati, concludeva Cavour, « nello stato attuale della scienza agronomica... è il migliore pel nostro paese » . Due anni dopo, nel 1843, queste convinzioni saranno alla base della polemica cavouriana contro i poderi-modello, destinata a suscitare tante e così aspre reazioni.
 



Scorcio di campagna vercellese a coltura risicola


La coltura del mais


« L'agricoltura del nostro paese riposa sopra basi direttamente opposte a quelle dell'agricoltura settentrionale d'Europa.  Noi non abbiamo che prati permanenti e regolarmente irrigati; la meliga poi è quasi l'unica nostra  coltura sarchiata.  Gli autori francesi, inglesi e tedeschi condannano ambedue queste pratiche.  Ora qual è l'uomo, io chieggo, alquanto giudizioso che ardirebbe indurre uno de' nostri buoni coltivatori a rompere i suoi prati per seminarvi la medica, ed a rimpiazzare la meliga colla barbabietola o col napo?  Qual è l'uomo di buona fede, il quale incaricato della direzione di un podere qualunque, sito in una delle parti meglio coltivate del Piemonte, per esempio nella provincia di Pinerolo, possa lusingarsi di trarre dal terreno, coll'aiuto eziandio di pratici stranieri sommamente abili, una rendita maggiore di quella ottenuta dai nostri più bravi agricoltori?" Nelle pratiche in uso nelle diverse zone v'erano infatti « beaucoup de bonnes choses » e la loro raccolta avrebbe giovato al progresso agricolo più di tanti studi teorici.  In effetti, il sistema agrario al quale si dovevano « le belle campagne della ridente vallata del Po » non poteva essere in alcun modo equiparato all'agricoltura semibarbara e sprovvista di mezzi e di capitali che Cavour riteneva avesse dominato in gran parte d'Europa sino alla rivoluzione agraria: esso era invece il frutto di una elaborazione secolare, nel corso della quale capitali e intelligenza si erano dati la mano ad innalzare l'edificio: « da lungo tempo vistosi capitali stanno accumulandosi sui nostri terreni; abili ed intelligenti persone s'occupano della coltura di quelli, sicché considerati complessivamente, dir si potrebbe senza presunzione ch'essi sono tanto ben coltivati, e tanto produttivi quanto i terreni de' paesi più civilizzati d'Europa, eccettuansi solamente una parte della Scozia e qualche distretto delle Fiandre".

Egli sosteneva che "per far progredire la nostra agricoltura, non si tratta di introdurre nel paese sistemi belli e fatti, ma di aprirle una via affatto diversa da quella tracciata dai classici autori dell'Europa settentrionale". Possibilità, questa, che egli non escludeva affatto, nel quadro della sua non mai smentita fiducia nel progresso e nella scienza moderna e la avrebbe accolta con ogni favore, « qualora i nostri sapienti agronomi pervenissero a scoprire un nuovo sistema di coltivazione; qualora io li vedessi adoperare attrezzi di gran lunga migliori dei nostri attuali; qualora eziandio soltanto coltivassero estesamente e con profitto una pianta non usitata tra noi e capace di modificare i nostri avvicendamenti »

Ma « nello stato attuale della scienza agraria », e cioè in mancanza di una nuova teoria agronomica rispondente alle particolari esigenze dell'agricoltura padana, « non havvi un solo dei principi essenziali sui quali riposa il nostro sistema di coltivazione che possa essere radicalmente modificato senza gravi inconvenienti..."   Saranno bensì possibili « alcuni perfezionamenti di dettaglio »: ma anche nell'adozione di essi converrà procedere con ogni prudenza.  Occorre persuadersi che « il est nécessaire, avant d'apporter le moindre changement au système agricole d'un pays, d'en étudier soigneusement toutes les parties.  Cette étude fera infailliblement découvrir quelques pratiques, quelques principes utiles fondés sur la nature particulière du sol qu'on doit exploiter.  C'est à développer ces principes et à étendre ces pratiques que devra surtout s'attacher l'agronome améliorateur », in quanto essi nascono dalla concreta e particolare esperienza del paese, garantita da secoli di prove e di vicende agricole.   Era questa, a suo giudizio, la via migliore e, anzi, la sola che fosse aperta a chi volesse davvero far progredire l'agricoltura in un paese come il Piemonte.
 


  Fonti bibliografiche: Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, Laterza 1969 ( vol.1°) - L'attività agricola e i suoi problemi, pp 627- 640
 

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