Un'allegoria neoplatonica, rivisitazione del mito dell'età dell'oro


Sandro Botticelli, La Primavera, 1482
 


Descrizione dell'allegoria

A destra il vento Zefiro afferra Clori e con il suo soffio la feconda trasformandola in Flora, generatrice di fiori e Dea della Primavera. Gli alberi carichi di frutta si piegano all'arrivo del vento; i fiori che escono dalla bocca della ninfa Clori si mescolano a quelli che crescono nel prato, riprodotti con meticolose attenzioni. Al centro, davanti al cespuglio di Mirto, pianta a lei sacra, la solenne figura di Venere. Sopra di lei il figlio Cupido, bendato, sta per scoccare una delle sue fatali frecce. A sinistra si svolge un ritmo lento e melodioso, la danza delle Grazie, splendide creature coperte di veli trasparenti che paganamente simboleggiano l'amore che si dona, si riceve, si restituisce; a chiudere la composizione Mercurio che, con il caduceo, sfiora le nuvole: forse allude alla presenza divina oppure tiene il maltempo lontano dal giardino. Lo sfondo è costituito dagli alberi del boschetto, oltre ai quali dopo il restauro del 1983 è apparso un luminoso paesaggio che ha restituito profondità alla scena.
 

I temi neoplatonici

La Primavera  è un'allegoria mitologica. Sul finire del '400 nasce a Firenze l'Accademia neoplatonica, dove operano i filosofi Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
Botticelli
si misura con un concetto nuovo di arte immateriale e spiritualizzante, individuato dal Ficino soprattutto nella musica, come mezzo di elevazione dell'Anima a Dio e riproduzione dell'Armonia superiore che attraversa l'intero universo.
L'opera è ricostruzione  raffinata e del tutto personale del mito della nascita della Primavera ( personificazione delle forze naturali che si ridestano a nuova vita ). Il tema può apparire superficialmente di carattere profano; invece è connotato da allegorie morali e religiose, legate al neoplatonismo cristianizzato della Firenze medicea.
Il tema, tratto da Orazio e Lucrezio sarà ripreso dal Poliziano nelle Stanze . Venere al centro è simbolo dell'Humanitas ( riconducibile ad un emblema, ad una personificazione di tutto ciò che innalza la natura umana ad un livello superiore di civiltà e cultura. A destra Flora è inseguita da Zefiro, che la feconda e la trasforma in Primavera ( figura con la veste trapunta di fiori, dispensatrice di rose ). Le Grazie, allegoricamente Castità, Bellezza e Amore sono unite in un ritmico abbraccio, mentre Mercurio tiene lontana ogni minaccia che proviene dal cielo.
Non si tratta di semplice personificazione pagana del rifiorire dell'eterna Primavera, ma della celebrazione simbolica di valori più astratti e più alti, moralizzati dalla spiritualità cristiana attraverso la celebrazione delle virtù della castità, della purezza, e dell'armonia del creato. Il ritmo mosso delle immagini, la delicatezza dei panneggi e dei gesti offrono quell'equilibrio e quell'armonia di forme, che riconducono idealmente alla dolcezza del locus amoenus ( luogo di perfetta serenità ripreso dal Paradiso terrestre nell'immaginario cristiano e dall'età dell'oro nel mondo pagano).
 

Angelo Poliziano, Le Stanze per la giostra - Il regno di Venere
 

Il poema, iniziato da Poliziano nel gennaio 1475 per celebrare la vittoria appena conseguita da Giuliano de' Medici in una giostra cavalleresca, fu interrotto nell'aprile 1478 alla stanza 26 del secondo libro, a seguito della morte di Giuliano, caduto nella congiura dei Pazzi ( 1478 ).
Le Stanze appartengono alla tradizione cavalleresca al cui centro è il binomio tra armi e amore e al quale rimanda esplicitamente l'adozione dell'ottava, tipica della tradizione incentrata su storie di cortesia e cavalleria. Poliziano lascia però cadere gli aspetti legati ai temi delle armi, della giostra e del torneo, per spostarsi sul valore simbolico della prova e sui significati filosofici che le si possono sovrapporre. Ne consegue l'abbandono  degli stereotipi descrittivi tipici di quella produzione; la trama del poema è esile e risolta piuttosto in una serie di quadri legati tra loro da un filo simbolico, secondo uno schema che mette in gioco, attraverso il corredo mitologico, un sistema complesso di allegorie che ricorda i Trionfi di Petrarca.

La trama è quella di una favola mitologica, ispirata dall'amore di Giuliano per Simonetta Cattaneo , moglie di Marco Vespucci, cantata da Lorenzo de' Medici nelle sue rime, in onore della quale Giuliano aveva corso la giostra. Il giovane Iulo, che adombra Giuliano, dedito agli esercizi virili e alla caccia, trascura l'amore, finché Cupido, sdegnato dall'atteggiamento sprezzante del giovane, un giorno gli fa apparire l'immagine di una candida cerva, che Iulo insegue per la selva fino a un prato fiorito. Qui la cerva si trasforma in una splendida ninfa (Simonetta) alla cui vista Iulo rimane estatico, ciò dà modo a Cupido di colpirlo con uno strale e il giovane si innamora della fanciulla, che scompare ai suoi occhi. Mentre Iulo torna turbato tra gli amici, Cupido vola a Cipro per narrare il suo trionfo alla madre Venere, sorpresa in un voluttuoso amplesso con Marte che simboleggia il dominio della voluptas ("piacere sensuale") sull'orrore militare e guerriero. Il primo libro si conclude con un'ampia descrizione della reggia e del giardino della dea collocati su un monte.

http://www.italica.rai.it/rinascimento/cento_opere/poliziano_stanze.htm
 


S. Botticelli, Venere e Marte, 1483


69

Or canta meco un po' del dolce regno,
Erato bella, che 'l nome hai d'amore;
tu sola, benché casta, puoi nel regno
secura entrar di Venere e d'Amore;
tu de' versi amorosi hai sola il regno,
teco sovente a cantar viensi Amore;
e, posta giù dagli omer la faretra,
tenta le corde di tua bella cetra.


70
Vagheggia Cipri un dilettoso monte,
che del gran Nilo e sette corni vede
e 'l primo rosseggiar dell'orizonte,
ove poggiar non lice al mortal piede.
Nel giogo un verde colle alza la fronte,
sotto esso aprico un lieto pratel siede,
u' scherzando tra' fior lascive aurette
fan dolcemente tremolar l'erbette.


71
Corona un muro d'or l'estreme sponde
con valle ombrosa di schietti arbuscelli,
ove in su' rami fra novelle fronde
cantano i loro amor soavi augelli.
Sentesi un grato mormorio dell'onde,
che fan duo freschi e lucidi ruscelli,
versando dolce con amar liquore,
ove arma l'oro de' suoi strali Amore.


72
Né mai le chiome del giardino eterno
tenera brina o fresca neve imbianca;
ivi non osa entrar ghiacciato verno,
non vento o l'erbe o li arbuscelli stanca;
ivi non volgon gli anni il lor quaderno,
ma lieta Primavera mai non manca,
ch'e suoi crin biondi e crespi all'aura spiega,
e mille fiori in ghirlandetta lega.


73
Lungo le rive e frati di Cupido,
che solo uson ferir la plebe ignota,
con alte voci e fanciullesco grido
aguzzon lor saette ad una cota.
Piacere e Insidia, posati in sul lido,
volgono il perno alla sanguigna rota,
e 'l fallace Sperar col van Disio
spargon nel sasso l'acqua del bel rio.

74
Dolce Paura e timido Diletto,
dolce Ire e dolce Pace insieme vanno;
le Lacrime si lavon tutto il petto
e 'l fiumicello amaro crescer fanno;
Pallore smorto e paventoso Affetto
con Magreza si duole e con Affanno;
vigil Sospetto ogni sentiero spia,
Letizia balla in mezo della via.


75
Voluttà con Belleza si gavazza,
va fuggendo il Contento e siede Angoscia,
el ceco Errore or qua or là svolazza,
percuotesi il Furor con man la coscia;
la Penitenzia misera stramazza,
che del passato error s'è accorta poscia,
nel sangue Crudeltà lieta si ficca,
e la Desperazion se stessa impicca.


76
Tacito Inganno e simulato Riso
con Cenni astuti messaggier de' cori,
e fissi Sguardi, con pietoso viso,
tendon lacciuoli a Gioventù tra' fiori.
Stassi, col volto in sulla palma assiso,
el Pianto in compagnia de' suo' Dolori;
e quinci e quindi vola sanza modo
Licenzia non ristretta in alcun nodo.


77
Con tal milizia e tuoi figli accompagna
Venere bella, madre delli Amori.
Zefiro il prato di rugiada bagna,
spargendolo di mille vaghi odori:
ovunque vola, veste la campagna
di rose, gigli, violette e fiori;
l'erba di sue belleze ha maraviglia:
bianca, cilestra, pallida e vermiglia.


78
Trema la mammoletta verginella
con occhi bassi, onesta e vergognosa;
ma vie più lieta, più ridente e bella,
ardisce aprire il seno al sol la rosa:
questa di verde gemma s'incappella,
quella si mostra allo sportel vezosa,
l'altra, che 'n dolce foco ardea pur ora,
languida cade e 'l bel pratello infiora.


79
L'alba nutrica d'amoroso nembo
gialle, sanguigne e candide viole;
descritto ha 'l suo dolor Iacinto in grembo,
Narcisso al rio si specchia come suole;
in bianca vesta con purpureo lembo
si gira Clizia palidetta al sole;
Adon rinfresca a Venere il suo pianto,
tre lingue mostra Croco, e ride Acanto.


80
Mai rivestì di tante gemme l'erba
la novella stagion che 'l mondo aviva.
Sovresso il verde colle alza superba
l'ombrosa chioma u' el sol mai non arriva;
e sotto vel di spessi rami serba
fresca e gelata una fontana viva,
con sì pura, tranquilla e chiara vena,
che gli occhi non offesi al fondo mena.


81
L'acqua da viva pomice zampilla,
che con suo arco il bel monte sospende;
e, per fiorito solco indi tranquilla
pingendo ogni sua orma, al fonte scende:
dalle cui labra un grato umor distilla,
che 'l premio di lor ombre alli arbor rende;
ciascun si pasce a mensa non avara,
e par che l'un dell'altro cresca a gara.


82
Cresce l'abeto schietto e sanza nocchi
da spander l'ale a Borea in mezo l'onde;
l'elce che par di mèl tutta trabocchi,
e 'l laur che tanto fa bramar suo fronde;
bagna Cipresso ancor pel cervio gli occhi
con chiome or aspre, e già distese e bionde;
ma l'alber, che già tanto ad Ercol piacque,
col platan si trastulla intorno all'acque.


83
Surge robusto el cerro, et alto el faggio,
nodoso el cornio, e 'l salcio umido e lento;
l'olmo fronzuto, e 'l frassin pur selvaggio;
el pino alletta con suoi fischi il vento.
L'avorniol tesse ghirlandette al maggio,
ma l'acer d'un color non è contento;
la lenta palma serba pregio a' forti,
l'ellera va carpon co' piè distorti.


84
Mostronsi adorne le vite novelle
d'abiti varie e con diversa faccia:
questa gonfiando fa crepar la pelle,
questa racquista le già perse braccia;
quella tessendo vaghe e liete ombrelle,
pur con pampinee fronde Apollo scaccia;
quella ancor monca piange a capo chino,
spargendo or acqua per versar poi vino.


85
El chiuso e crespo bosso al vento ondeggia,
e fa la piaggia di verdura adorna;
el mirto, che sua dea sempre vagheggia,
di bianchi fiori e verdi capelli orna.
Ivi ogni fera per amor vaneggia,
l'un ver l'altro i montoni armon le corna,
l'un l'altro cozza, l'un l'altro martella,
davanti all'amorosa pecorella.


86
E mughianti giovenchi a piè del colle
fan vie più cruda e dispietata guerra,
col collo e il petto insanguinato e molle,
spargendo al ciel co' piè l'erbosa terra.
Pien di sanguigna schiuma el cinghial bolle,
le larghe zanne arruota e il grifo serra,
e rugghia e raspa e, per più armar sue forze,
frega il calloso cuoio a dure scorze.


87
Pruovon lor punga e daini paurosi,
e per l'amata druda arditi fansi;
ma con pelle vergata, aspri e rabbiosi,
e tigri infuriati a ferir vansi;
sbatton le code e con occhi focosi
ruggendo i fier leon di petto dansi;
zufola e soffia il serpe per la biscia,
mentre ella con tre lingue al sol si liscia.


88
El cervio appresso alla Massilia fera
co' piè levati la sua sposa abbraccia;
fra l'erbe ove più ride primavera,
l'un coniglio coll'altro s'accovaccia;
le semplicette lepri vanno a schiera,
de' can secure, ad amorosa traccia:
sì l'odio antico e 'l natural timore
ne' petti ammorza, quando vuole, Amore.


89
E muti pesci in frotta van notando
dentro al vivente e tenero cristallo,
e spesso intorno al fonte roteando
guidon felice e dilettoso ballo;
tal volta sovra l'acqua, un po' guizzando,
mentre l'un l'altro segue, escono a gallo:
ogni loro atto sembra festa e gioco,
né spengon le fredde acque il dolce foco.


90
Li augelletti dipinti intra le foglie
fanno l'aere addolcir con nuove rime,
e fra più voci un'armonia s'accoglie
di sì beate note e sì sublime,
che mente involta in queste umane spoglie
non potria sormontare alle sue cime;
e dove Amor gli scorge pel boschetto,
salton di ramo in ramo a lor diletto.


91
Al canto della selva Ecco rimbomba,
ma sotto l'ombra che ogni ramo annoda,
la passeretta gracchia e a torno romba;
spiega il pavon la sua gemmata coda,
bacia el suo dolce sposo la colomba,
e bianchi cigni fan sonar la proda;
e presso alla sua vaga tortorella
il pappagallo squittisce e favella.


92
Quivi Cupido e' suoi pennuti frati,
lassi già di ferir uomini e dei,
prendon diporto, e colli strali aurati
fan sentire alle fere i crudi omei;
la dea Ciprigna fra' suoi dolci nati
spesso sen viene, e Pasitea con lei,
quetando in lieve sonno gli occhi belli
fra l'erbe e' fiori e' gioveni arbuscelli.


93
Muove dal colle, mansueta e dolce,
la schiena del bel monte, e sovra i crini
d'oro e di gemme un gran palazo folce,
sudato già nei cicilian camini.
Le tre Ore, che 'n cima son bobolce,
pascon d'ambrosia i fior sacri e divini:
né prima dal suo gambo un se ne coglie,
ch'un altro al ciel più lieto apre le foglie.


94
Raggia davanti all'uscio una gran pianta,
che fronde ha di smeraldo e pomi d'oro:
e pomi ch'arrestar fenno Atalanta,
ch'ad Ippomene dienno il verde alloro.
Sempre sovresso Filomela canta,
sempre sottesso è delle Ninfe un coro;
spesso Imeneo col suon di sua zampogna
tempra lor danze, e pur le noze agogna.


95
La regia casa il sereno aier fende,
fiammeggiante di gemme e di fino oro,
che chiaro giorno a meza notte accende;
ma vinta è la materia dal lavoro.
Sovra a colonne adamantine pende
un palco di smeraldo, in cui già fuoro
aneli e stanchi, drento a Mongibello,
Sterope e Bronte et ogni lor martello.


96
Le mura a torno d'artificio miro
forma un soave e lucido berillo;
passa pel dolce oriental zaffiro
nell'ampio albergo el dì puro e tranquillo;
ma il tetto d'oro, in cui l'estremo giro
si chiude, contro a Febo apre il vessillo;
per varie pietre il pavimento ameno
di mirabil pittura adorna il seno.


97
Mille e mille color formon le porte,
di gemme e di sì vivi intagli chiare,
che tutte altre opre sarian roze e morte
da far di sé natura vergognare:
nell'una è insculta la 'nfelice sorte
del vecchio Celio, e in vista irato pare
suo figlio, e colla falce adunca sembra
tagliar del padre le feconde membra.


98
Ivi la Terra con distesi ammanti
par ch'ogni goccia di quel sangue accoglia,
onde nate le Furie e' fier Giganti
di sparger sangue in vista mostron voglia;
d'un seme stesso in diversi sembianti
paion le Ninfe uscite sanza spoglia,
pur come snelle cacciatrice in selva,
gir saettando or una or altra belva.


99
Nel tempestoso Egeo in grembo a Teti
si vede il frusto genitale accolto,
sotto diverso volger di pianeti
errar per l'onde in bianca schiuma avolto;
e drento nata in atti vaghi e lieti
una donzella non con uman volto,
da zefiri lascivi spinta a proda,
gir sovra un nicchio, e par che 'l cel ne goda.


100
Vera la schiuma e vero il mar diresti,
e vero il nicchio e ver soffiar di venti;
la dea negli occhi folgorar vedresti,
e 'l cel riderli a torno e gli elementi;
l'Ore premer l'arena in bianche vesti,
l'aura incresparle e crin distesi e lenti;
non una, non diversa esser lor faccia,
come par ch'a sorelle ben confaccia.


101
Giurar potresti che dell'onde uscissi
la dea premendo colla destra il crino,
coll'altra il dolce pome ricoprissi;
e, stampata dal piè sacro e divino,
d'erbe e di fior l'arena si vestissi;
poi, con sembiante lieto e peregrino,
dalle tre ninfe in grembo fussi accolta,
e di stellato vestimento involta.


102
Questa con ambe man le tien sospesa
sopra l'umide trezze una ghirlanda
d'oro e di gemme orientali accesa,
questa una perla alli orecchi accomanda;
l'altra al bel petto e' bianchi omeri intesa,
par che ricchi monili intorno spanda,
de' quai solien cerchiar lor proprie gole,
quando nel ciel guidavon le carole.


103
Indi paion levate inver le spere
seder sovra una nuvola d'argento:
l'aier tremante ti parria vedere
nel duro sasso, e tutto il cel contento;
tutti li dei di sua biltà godere,
e del felice letto aver talento:
ciascun sembrar nel volto meraviglia,
con fronte crespa e rilevate ciglia.



 

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