Globalizzazione

Occorre innanzitutto definire i tre concetti di mondializzazione, modernizzazione e globalizzazione.

 

MONDIALIZZAZIONE
 

Definiamo mondializzazione il passaggio da un'economia racchiusa negli ambiti ristretti di circuiti commerciali regionali, areali, continentali a forme di produzione e di scambio intercontinentali, con rapporti complessi di interdipendenza tra spazi economici sviluppati e ricchi e zone legate a forme di sviluppo decisamente meno avanzate o di sottosviluppo. Propriamente si può iniziare ad usare questo termine quando ha inizio - con la scoperta dell'America - la cosiddetta economia-mondo, che integra, sotto forma di sfruttamento, l'economia europea con quella degli altri continenti. Tale integrazione economica si sviluppa con le politiche mercantilistiche del XVII e del XVIII secolo e si attualizza con il colonialismo africano del XIX secolo.
 

Nel nostro secolo il termine indica la situazione nella quale un'impresa determina la sua localizzazione, i suoi approvvigionamenti, le sue forme di finanziamento, i suoi circuiti di commercializzazione, le sue assunzioni e l'intera struttura del suo mercato su scala mondiale, comparando i costi e i benefici che le procurano ognuna delle possibili soluzioni. In senso lato mondializzazione indica le forme generali di interdipendenza delle economie nazionali.

La mondializzazione introduce un importante cambiamento, quasi una rottura, nei processi di internazionalizzazione all'opera da diversi decenni. L'internazionalizzazione infatti implica solo un'intensificazione degli scambi internazionali, quindi dei fenomeni di specializzazione economica passando da una paese all'altro. La mondializzazione implica una «ottimizzazione» delle diverse operazioni di produzione e commercializzazione su scala mondiale: subappaltare, localizzare e distribuire le varie operazioni nei vari paesi. Il contributo specifico di ogni paese in questo processo globale dipende dai vantaggi specifici che questo è suscettibile di portare: manodopera a buon mercato, infrastrutture di qualità, la vicinanza di una rete fitta e dinamica di ricerca e sviluppo, una sofisticata e poco costosa ingegneria finanziaria e così via. La mondializzazione mette quindi in concorrenza non più i prodotti, ma i sistemi produttivi e sociali. Di conseguenza il mantenimento di questo o quel tipo di benefici sociali in un determinato paese (un livello salariale più elevato, oneri sociali che permettono di finanziare un sistema di previdenza sociale, ecc.) dipende dalla sua capacità di offrire in cambio vantaggi specifici, per i quali le aziende interessate sono disposte a pagare i corrispondenti costi salariali od oneri sociali. La mondializzazione quindi costringe i paesi che vogliono adottarla a elevare il livello di competenza della loro manodopera, la qualità dei loro collegamenti internazionali, ecc. Altrimenti la sola alternativa è quella di ridurre i salari, gli oneri sociali o le imposte, così da attirare con i costi inferiori le imprese che non possono attirare con elementi qualitativi.



MODERNIZZAZIONE


Si definisce moderno
ciò che è effetto dei processi di razionalizzazione, secolarizzazione, industrializzazione e istituzionalizzazione del mutamento della società, che nella storia europea vengono ad operare a partire  dal Settecento.
Modernizzazione sociale significa
urbanizzazione e divisione del lavoro, con conseguente passaggio a una struttura sociale caratterizzata dalla specializzazione e dalla formazione di un proletariato industriale ( prima e seconda rivoluzione industriale ). Si verifica così lentamente nel corso del XIX e del XX secolo una crescita dei tassi di alfabetismo, di disponibilità di servizi sanitari, di diffusione dei mezzi di comunicazione e un abbassamento dei tassi di  mortalità infantile.

Modernizzazione politica significa trasformazione del suddito in cittadino ed inserimento graduale delle masse nella vita dello stato.

Modernizzazione culturale significa secolarizzazione < perdita di centralità di modelli ideologici di  matrice religiosa o spiritualistica > e razionalizzazione. Inoltre è importante evidenziare la capacità di ogni individuo di adattarsi, di identificarsi con gli altri. Ogni individuo, inteso come uomo moderno, viene visto come un cittadino informato, indipendente, autonomo con una mentalità relativamente aperta e un senso spiccato del rendimento personale.

Moderna e quindi uscita da un processo di modernizzazione, viene definita in questo senso una società con le seguenti caratteristiche:

1      la prevalente presenza di attività economiche industriali e terziarie rispetto a quelle agricole

2      la forte mobilità fra le diverse classi sociali e, comunque la presenza diffusa di classi “medie”

4      l'urbanizzazione, cioè la concentrazione della popolazione in centri urbani e l'espansione di questi

5      la presenza di modelli di comportamento prevalenti di tipo razionale e innovativo;

6      la presenza e lo sviluppo dello Stato “moderno”, cioè di un apparato giuridico- amministrativo
        ( burocrazia ) in grado di agire “razionalmente” nella società;

Il concetto di modernizzazione ha una forte matrice occidentale: propone un modello di sviluppo storico a tutti popoli e le civiltà, come se quel modello fosse il migliore o l'unico possibile. La modernità può piacere o non piacere, essere considerata un modello per gli altri oppure no, ma è comunque l'ambiente in cui viviamo ed è l'aria che respiriamo; ogni indagine su di essa aiuta a conoscere sia il nostro passato che il nostro futuro.

 

La modernizzazione nel nostro tempo ha assunto caratteri specifici.
 

L'evoluzione nel modo di produrre e consumare ha preso un ritmo vorticoso anche in Europa, nonostante non sia nel nostro continente che si trova il cuore di tale processo. Stiamo sperimentando cambiamenti che incideranno profondamente nel mercato del lavoro sia dipendente che autonomo, e più in generale sull'organizzazione quotidiana della vita. L'origine è comune e  ha la sua radice principale nella rivoluzione informatica: da una parte il telelavoro, dall'altra l'inasprirsi della concorrenza anche internazionale e l'avvicinarsi di ristrutturazioni radicali in molte settori produttivi. La produzione e il consumo di informazioni e di conoscenze rappresentano l'attività economica prevalente nella società del futuro.
Ma non si intende che i beni fisici perderanno di importanza, quanto piuttosto che
l'attività umana sposterà la propria attenzione dalla produzione materiale di un prodotto fisico alla sua progettazione, commercializzazione e distribuzione. Queste prospettive inducono perlopiù inquietudine: si pensa ad un futuro di disoccupazione, alienazione e sperequazione nella distribuzione della ricchezza. Potrebbero  esserci del resto conseguenze anche favorevoli come nel caso delle donne e dei giovani.

Le donne saranno avvantaggiate da telelavoro e part-time perché maggiormente conciliabili con gli impegni familiari, mentre i giovani potrebbero essere il segmento di popolazione privilegiato per l'innovazione e una maggiore familiarità con le nuove tecnologie. Si tratta quindi di un adattamento culturale al nuovo modo di intendere da una parte il lavoro e dall'altra il tempo libero e il consumo.


GLOBALIZZAZIONE
 

Globalizzazione è la parola che circola con insistenza sulla bocca di tutti e suscita l'inquietudine che provocano i cambiamenti profondi e inevitabili. Per la prima volta nella storia, l'economia di mercato ha assunto dimensioni mondiali, sospinta dalla rivoluzione nelle tecniche della produzione, della comunicazione e dell'informazione. Con un ritmo sempre più rapido il mondo tende irresistibilmente all'unità.

La globalizzazione non è sospinta solo da incentivi economici, ma anche e soprattutto da una forza storica irresistibile, più forte della volontà di qualsiasi governo e di qualsiasi partito: la forza che si sprigiona dall'evoluzione del modo di produrre. Essa impone a tutti i settori della vita sociale una dimensione molto più ampia di quella degli Stati sovrani, anche i più grandi. Non è un caso che gli Stati Uniti ricerchino nel NAFTA la dimensione di mercato adatta a competere con i grandi spazi economici che si stanno organizzando nel resto del mondo. Si tratta di un processo di cambiamento che si può accelerare o ritardare, ma non accettare o respingere.

Il sistema mondiale degli Stati rappresenta il quadro politico che assicura l'ordine internazionale necessario allo svolgimento di quel processo, che però non procede in modo rettilineo, ma si sviluppa a ondate. Questo andamento del processo è il riflesso delle condizioni politiche che lo rendono possibile e possono favorirlo od ostacolarlo. La fine del sistema europeo degli Stati nel 1945 e la fine del sistema mondiale bipolare nel 1989 rappresentano due tappe cruciali del processo di globalizzazione.


Il mondo risulta essere ormai un GRANDE VILLAGGIO dove vigono tutte le regole di una vasta ed interconnessa continua relazione tra le parti. Questo fenomeno, dal punto di vista economico, prende appunto il nome di globalizzazione.

La Seconda guerra mondiale, determinando la sconfitta della Germania, la perdita dell'indipendenza degli Stati nazionali e la formazione del sistema mondiale degli Stati, ha spazzato via il sistema europeo, che intralciava il libero sviluppo dei rapporti di produzione e di scambio al di là dei confini tra gli Stati. Il crollo dei regimi comunisti in Unione Sovietica e in Europa ha fatto cadere i residui ostacoli politici e ideologici che si opponevano alla piena affermazione dell'economia di mercato sul piano mondiale. La fine dell'ordine mondiale bipolare e della guerra fredda e la conseguente convergenza delle ragioni di Stato delle più grandi potenze che reggono le sorti del mondo hanno rimosso le barriere politiche che impedivano il pieno dispiegarsi della mondializzazione.

 

La globalizzazione, travolgendo tutte le barriere che intralciano la formazione di un unico mercato mondiale, aumenta il volume del commercio mondiale e produce nuove possibilità di benessere e di espansione dei consumi. Nello stesso tempo, le forze internazionali del mercato sfuggono al controllo degli Stati, i cui strumenti monetari e fiscali di regolazione dell'economia hanno perso progressivamente la loro efficacia.

 

Così le grandi concentrazioni produttive e finanziarie multinazionali sono in grado di eludere il controllo di qualsiasi Stato. In definitiva, la globalizzazione ha scavato un fossato sempre più profondo tra lo Stato, rimasto nazionale, e il mercato, diventato mondiale.

 

Con questo termine  intendiamo "tutto e ovunque", per cui è facile trovare in zone molto diverse del globo gli  stessi prodotti , la stessa pubblicità , le stesse catene di vendita; s'intende inoltre  per globalizzazione l'evidente perdita di confini dell'agire quotidiano nelle diverse dimensioni dell'economia, dell'informazione, dell'ecologia , della tecnica, della società civile,  in fondo qualcosa di familiare e allo stesso tempo di inconcepibile, ma che trasforma radicalmente la vita quotidiana, costringendo tutti ad adeguarsi, a trovare risposte: il mondo risulta essere ormai un GRANDE VILLAGGIO dove vigono appunto tutte le regole del villaggio.

Possiamo sintetizzare in pochi punti salienti il concetto. GLOBALIZZAZIONE significa

1.   l'apertura di un'economia a tutte le altre economie del mondo

2.   la libera circolazione di beni , capitali, servizi , persone

3.  la concentrazione della ricchezza mondiale nella mani di pochi individui o società private, che gestiscono la rete di intermediazioni.

 

PROBLEMATICHE LEGATE ALLO SVILUPPO DELLA GLOBALIZZAZIONE
 

La conseguenza più grave di questa situazione è il declino della democrazia. La più acuta contraddizione della nostra epoca risiede nel fatto che i problemi dai quali dipende il destino dei popoli, come il controllo della sicurezza e dell'economia o la protezione dell'ambiente, hanno assunto dimensioni internazionali, un terreno dove non esistono istituzioni democratiche, mentre la democrazia si ferma tuttora ai confini degli Stati, entro i quali si decide ormai su aspetti secondari della vita politica. Così, il controllo delle questioni determinanti per l'avvenire dei popoli, sfuggito alle istituzioni democratiche, sta saldamente nelle mani delle grandi potenze e delle gigantesche concentrazioni capitalistiche multinazionali.

Che fare? Non possiamo certamente aspettarci dalla mano invisibile del mercato mondiale la realizzazione di valori collettivi, come la piena occupazione, l'aiuto allo sviluppo dei paesi più arretrati o la protezione dell'ambiente, né tanto meno la democrazia internazionale. In assenza di efficaci istituzioni politiche mondiali, la crescita dell'interdipendenza è destinata a risolversi in un'accentuazione delle disuguaglianze e nella crescita del disordine e dei conflitti internazionali.
Nemmeno è da prendere in considerazione la ricetta, che pure taluni suggeriscono, del
protezionismo. Sarebbe un tentativo reazionario (ma anche velleitario e quindi destinato alla sconfitta) di fermare la spinta poderosa delle forze produttive che tende a unificare il genere umano, divenuto ormai un'unità di destino.

 

La sfida, cui le forze del progresso non possono sfuggire, consiste nel saper dimostrare di essere capaci di governare il processo di globalizzazione. E ciò esige che si risolva innanzi tutto un problema di natura istituzionale, l'organizzazione di istituzioni democratiche sul piano mondiale.
Mentre l'obiettivo di un Governo mondiale appare ancora lontano, si moltiplicano le riunioni internazionali e si estende il fenomeno dell'organizzazione internazionale, che sono espressione
dell'esigenza dei governi di controllare l'economia globale. Un'esigenza che però non può essere soddisfatta con le procedure di decisione basate sui principi dell'unanimità e del veto, che sono adottate in questi consessi.

L'Unione europea, per quanto sia un esperimento incompiuto, si configura già come un nuovo modello di controllo dell'economia internazionale, mentre il prevedibile rafforzamento della sua influenza internazionale la spingerà a divenire il potenziale motore dell'unificazione del mondo. In effetti, l'Unione economica e monetaria può essere considerata come la risposta europea alla sfida della globalizzazione sotto tre profili.

 

In primo luogo, essa rappresenta il tentativo di superare la dimensione nazionale del mercato, allo scopo di creare le condizioni per competere con i grandi spazi economici sul terreno della tecnologia di avanguardia, sottoponendo la dinamica del mercato europeo al controllo di istituzioni che per il momento sono solo parzialmente democratiche a causa del prevalere del loro carattere intergovernativo.

In secondo luogo, anche se le istituzioni europee non sono sufficienti a controllare il mercato mondiale, l'Unione europea, che è la prima potenza commerciale del mondo, ha un interesse vitale a mantenere aperto il mercato mondiale e a rafforzare le istituzioni mondiali che consentono di perseguire questa finalità.
È questa la motivazione fondamentale che ha spinto l'Unione europea a promuovere, contro le resistenze opposte dagli Stati Uniti, la costituzione dell'
Organizzazione mondiale del commercio, che è espressione della necessità di dare nuove regole del gioco alla competizione globale e di farle rispettare a tutti.

In terzo luogo, se si considera
il suo potenziale sviluppo in senso federale, l'Unione economica e monetaria rappresenta il modello istituzionale necessario a regolare il mercato mondiale e indica la linea lungo la quale si dovranno sviluppare le istituzioni economiche mondiali.
In definitiva, il processo costituente europeo, cioè il processo che porterà alla creazione della Federazione europea, offre un modello che indica la via da percorrere per restituire alla politica il potere di governare il processo di globalizzazione dell'economia.

da http://www.globalizzazione.bbk.org/
 

Globalizzazione: termine di origine anglosassone che indica il processo di unificazione culturale, politica ed economica in atto a livello planetario. In campo economico, indica la globalizzazione finanziaria, ossia l'esistenza di un mercato mondiale dei capitali che dà adito a decisioni strategiche delle imprese, svincolate da una base territoriale, e giustificate da una strategia produttiva in funzione dei costi di produzione relativi nei diversi paesi ( massimizzazione dei profitti ) e in vista di un prodotto da vendere nel maggior numero possibile di paesi.
In campo culturale, significa la diffusione di una mentalità ultraindividualista sradicata dall'ambito territoriale, che rompe la struttura usuale delle società del XX secolo.

da http://www.globalizzazione.bbk.org/cosa.htm

Che cos'è la globalizzazione

Definire cosa sia la globalizzazione e definire il momento in cui questo fenomeno diventa rilevante nella nostra società, è molto difficile e spesso controverso. Praticamente prima degli anni ’90 questo termine non aveva alcun significato proprio, ma anzi era raramente usato come semplice aggettivo. Da aggettivo a sostantivo, troppo spesso usato ed abusato, è la realtà della parola globalizzazione ai giorni nostri. Cercando di essere molto semplici e chiari, ecco il significato vero del termine globalizzazione:

La globalizzazione è l’estensione a livello planetario di un modello unico di cultura, di un modello unico di pensiero, di un modello unico di economia.

Diversi sono stati i tentativi di globalizzazione culturale ed economica nel corso dei secoli. A lungo ci sarebbe da discutere e da ragionare riguardo alla storia dell’evoluzione umana.
Riguardo alla mondializzazione moderna, il seme da cui questa pianta si è sviluppata, risale certamente agli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale ed all’immediato dopoguerra. Fu infatti a Bretton Woods (U.S.A.), nel giugno del 1944, che i futuri vincitori del conflitto mondiale, si riunirono per porre le basi del sistema economico-finanziario internazionale postbellico. In quell’occasione fu infatti sancita la fine dell’isolamento economico statunitense e la consacrazione del predominio del dollaro sulle altre valute. Alla conclusione della conferenza, furono inoltre istituiti il Fondo Monetario Internazionale e la World Bank.
Giustamente, i paesi che avevano sostenuto maggiormente il peso militare ed economico della guerra, decretarono il nuovo corso mondiale a cui le nazioni democratiche avrebbero dovuto attenersi. Gli Stati Uniti diventarono a pieno titoli, il motore dello sviluppo occidentale.
E’ però a partire dalla metà degli anni ’60 che negli USA si registra un lento, ma inesorabile, declino del livello culturale della popolazione scolastica. Questo livellamento verso il basso della cultura media dei giovani americani, unito a diversi periodi di crisi economica, alimentano lo sviluppo di teorie economiche ultraliberaliste, che intaccano pesantemente il concetto di eguaglianza insito nelle democrazie occidentali. Tali teorie si affermano definitivamente negli anni ’80, grazie all’azione decisiva di Reagan negli Stati Uniti, e della Thatcher in Gran Bretagna; il nuovo corso ultraliberale delle politiche economiche, passa alla storia con il termine di Deregulation. La filosofia alla base della nuova era, è emblematicamente riassunta dalla storica frase di Margaret Thatcher: «La società non esiste».
Negli Stati Uniti, Reagan diede un drastico taglio alle spese statali (specialmente in campo sociale) ed eliminò molte norme con cui lo stato interveniva a regolare il mercato e la concorrenza.
L’ultimo freno alla diffusione mondiale delle teorie inegualitarie, cadde nell’ 89 con la dissoluzione dell’ URSS e dei regimi comunisti dell’Europa orientale. L’ultraliberalismo economico poteva così riversarsi indisturbato sulla quasi totalità del globo terracqueo.
La svolta impressa dagli USA negli anni ’80, si traduce in Europa nella stipula del trattato di Maastricht, che l’ 11 dicembre 1991 definisce la nascita di un unico mercato europeo regolato da un’unica moneta europea, l’Euro.

Caduta del livello culturale negli Stati Uniti e caduta della natalità in Europa: ecco i due elementi scatenanti che hanno permesso il riemergere e lo sviluppo, di teorie economiche ormai vecchie e superate. L’ultraliberalismo “moderno”, il frutto primaverile di un’incessante progresso ed evoluzione del pensiero economico occidentale, è infatti il prodotto di un’economia scolastica che nasce nel 1776 con “La  ricchezza delle nazioni” di Adam Smith. Questo tipo d’economia è infatti accomunabile alla scolastica medioevale, per la sua volontà di dedurre la realtà partendo dal suo primo principio (l’assioma dell’ homo aeconomicus).
E’ proprio della globalizzazione culturale, il voler estendere questo principio, questo assioma, a tutte le culture ed a tutte le popolazioni del pianeta. Una volta spianato il “campo culturale”, non ci saranno più freni ed ostacoli, alla libera corsa dell’economia scolastica che segue strenuamente e ciecamente, il faro della “massimizzazione del profitto”.
I frutti di questi ultimi 20 anni di globalizzazione, sono oggi visibili in ogni ambito umano, dal momento in cui ci allacciamo le scarpe al mattino, al momento in cui ci sediamo a tavola per cena, alla sera.

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