Educare all'assertività
Parte seconda: individuare le potenzialità e i deficit comunicativi nell'allievo
Prof. Alessio Folcarelli - Dip. di Psicologia - Università La Sapienza di Roma - Psicologia e scuola - n°102

Educare all'assertività - Parte prima: caratteristiche e utilità dello stile autoaffermativo
Educare all'assertività - Parte terza: preparare l'intervento.  Obiettivi e strategie


Nel primo articolo di questa serie (si veda Psicologia e Scuola n. 101) abbiamo presentato le caratteristiche del comportamento assertivo, passando in rassegna i motivi che rendono auspicabile l'insegnamento di questo modello nella scuola. Concludevamo proponendo uno strumento di autoanalisi, ad uso degli insegnanti, finalizzato a rafforzare la consapevolezza del proprio
modus operandi sociale. Vorremmo ora illustrare, come anticipato, un metodo di screening delle abilità sociali degli allievi.  Prima di fare questo, però, ci sembra opportuno approfondire il discorso sulla nascita e sull'evoluzione del modello assertivo.

Lo sviluppo del modello

Dopo Salter, nel 1949, e Wolpe, negli anni Cinquanta, gli psicologi si sono impegnati nella ricerca e nello studio delle applicazioni dell'assertività a diversi livelli e secondo differenti prospettive teoriche. I filoni di ricerca sviluppati sono stati sopratutto due: quello clinico e quello pedagogico. Il filone clinico riguarda essenzialmente la pratica psicoterapeutica e comprende diversi interventi mirati alla crescita personale e quindi, in ultima analisi, alla soluzione dei problemi relazionali. Il filone pedagogico, che ci interessa maggiormente in questa sede, ha riguardato più spesso l'ambito del lavoro ponendosi lo scopo di formare i gruppi alla cooperazione e quindi, in definitiva, di far raggiungere una maggiore efficienza produttiva.  E opportuno rimarcare, però, che non sempre sono stati ottenuti i risultati sperati, poiché, come afferma Ajmone (1999): «[ ... ] molte persone che frequentano corsi di questo tipo cercano di applicare meccanicamente quanto appreso, senza prima cambiare se stessi e riflettere sul significato e sull'opportunità degli strumenti da usare.  Si confonde così l'efficienza tecnica con il risultato da conseguire, il mezzo con il fine [... ]». Questi rischi andrebbero allora scongiurati fin dall'inizio, stabilendo come obiettivo primario dell'intervento il raggiungimento di una maggiore consapevolezza, da anteporre alla ricerca di un comportamento "socialmente perfetto".  Quanto detto è tanto più vero quanto più giovani sono le persone da educare. 
Ma come raggiungere, concretamente, questo obiettivo?  Semplicemente introducendo, accanto al concetto di "abilità sociale" fin qui delineato, un nuovo parametro: quello di "competenza sociale".
Se, infatti, per abilità sociale si intende generalmente la capacità di attuare un determinato repertorio comportamentale socialmente accettato, la competenza sociale consiste nel saper scegliere il comportamento più adeguato rispetto alla situazione che si sta vivendo.  Così, ad esempio, se Mario si confonde nel rispondere all'interrogazione, Luigi può intervenire dando la risposta esatta; in questo caso Luigi ha dimostrato di essere socialmente abile.  Se invece Luigi, pur conoscendo la risposta esatta, non interviene per dare il tempo a Mario di riflettere, si sarà dimostrato, oltre che socialmente abile, socialmente competente.

Da quanto detto possiamo trarre delle importanti deduzioni: l'insegnamento delle sole abilità sociali non è di per sé sufficiente a livello educativo, in aggiunta a queste occorre fornire all'allievo una chiave di lettura del contesto, in modo che egli possa produrre dei comportamenti consapevoli anche alla luce delle conseguenze che porteranno (sia per lui, sia per gli altri attori coinvolti).  In definitiva, senza la competenza sociale, l'abilità posseduta può rivelarsi persino inutile se non dannosa; l'abilità sociale, d'altra parte, è condizione indispensabile per arrivare ad una piena maturità comunicativa. Emerge così, nel nostro discorso, un altro concetto basilare che rappresenta il punto di riferimento per ogni intervento formativo in ambito sociale: il concetto di "contesto".  Con questo termine intendiamo tutti gli elementi che fanno da sfondo al nostro agire con gli altri; il contesto in pratica è rappresentato dalla scenografia e dall'antefatto della "drammatizzazione" che siamo chiamati a svolgere quotidianamente.

Vediamo così che un intervento educativo serio non può prescindere dalla valutazione dei vari attori coinvolti all'interno della loro "scena".  Per fare questo abbiamo bisogno di alcuni costrutti che fungano da "punti di riferimento" per la nostra osservazione.

Una valutazione tridimensionale

Da quanto fin qui affermato possiamo evincere almeno due cose:

1)  ogni comportamento da valutare va rapportato a quell'insieme dinamico di elementi rappresentato dal contesto;
2)  secondo il concetto di competenza sociale non esistono comportamenti giusti o sbagliati in senso assoluto.
I "punti di riferimento" di cui abbiamo parlato poc'anzi sono rappresentati dai tre stili comunicativi cui abbiamo già accennato nel precedente articolo: lo stile passivo, lo stile aggressivo e quello assertivo.

Tab. 1 - Parametri generali per la valutazione dello stile affermativo

A.   Sa esprimere le proprie esigenze in modo comprensibile alla maggior
       parte dei suoi interlocutori

1 2 3 4 5

B.   Raggiunge i suoi obiettivi restando in buoni rapporti con gli altri.
 

1 2 3 4 5

C.   Difende i propri diritti non mostrando ansia eccessiva.
 

1 2 3 4 5

D.   E' in grado di ingaggiare una discussione spiegando la propria
      posizione ma, allo stesso tempo, facendo in modo di evitare il conflitto.

1 2 3 4 5

E.   Sa tollerare le frustrazioni cercando soddisfazioni alternative, senza
      attuare comportamenti passivi o aggressivi.

1 2 3 4 5

F.   Si trova a suo agio durante le relazioni con gli altri.
 

1 2 3 4 5

G.   Accetta le critiche costruttive utilizzandole per migliorare il proprio
      comportamento.

1 2 3 4 5

H.   E' sicuro di sé e sa lavorare in autonomia così come in gruppo.
 

1 2 3 4 5

Legenda: 1 = molto raramente; 2 = raramente; 3 = talvolta; 4 = spesso; 5 = molto spesso.

A questo punto si comprende come non esistano, in assoluto, persone assertive, passive o aggressive.  Potremmo, al limite, parlare di individui prevalentemente passivi, aggressivi, ecc.; inoltre, secondo il principio della competenza sociale, possiamo affermare che non sempre lo stile assertivo sia quello migliore.  Si pensi ad una situazione in cui un uomo forzuto, ubriaco e fuori di sé ci tagli la strada con la sua auto: fargli assertivamente le nostre rimostranze riguardo al diritto di precedenza negatoci ci esporrebbe a rischi decisamente sovradimensionati rispetto ai possibili benefici.  In questo caso sarebbe più socialmente competente, ad esempio, una passiva ritirata (magari avvisando poi le forze dell'ordine). Così, nel valutare un allievo non basta conoscere il suo stile comunicativo prevalente.  Per prima cosa dovremo accertarci se egli sappia attuare tutti e tre gli stili, in seconda battuta cercheremo di determinare quale stile utilizza di più (auspicabilmente quello assertivo) e quando
Inoltre, ogni individuo ha un suo personale modo di reagire alle diverse situazioni: alcuni sono passivi ove altri sono assertivi e viceversa.


Uno strumento per valutare la classe


E importante quindi, nell'attuare un intervento di educazione all'assertività, avere un'idea del livello di abilità sociali possedute dal gruppo target.  Il modello che presentiamo si basa su una valutazione delle differenti sottoabilità assertive dell'allievo (tab. 1). Già attraverso la tab. 1 si potrebbe delineare un giudizio sintetico sulla qualità comunicativa dell'allievo, anche se sarebbe preferibile assegnare i punteggi insieme all'interessato, facendogli simulare, magari, le varie situazioni.  In questo modo diventa possibile unire il momento della valutazione a quello educativo offrendo un'occasione di crescita al discente.
Si potrebbe, ad esempio, proporre una discussione in gruppo (5 o 6 partecipanti) su un argomento scelto dagli allievi e sul quale essi abbiano opinioni differenti.  Al termine della discussione, l'insegnante potrebbe invitare la classe a commentarne lo svolgimento proponendo i parametri che abbiamo illustrato, e magari intervenire sugli errori comunicativi assegnando degli esercizi quali, ad esempio, "l'immedesimazione nell'altro"Questo esercizio consiste nel far illustrare ad ognuno dei partecipanti alla discussione il punto di vista dell'altro come se fosse il proprio.  Si facilitano così l'empatia e l'accettazione, anche quando alla fine ognuno resta sulle proprie posizioni. Per effettuare un monitoraggio dei progressi di ogni allievo, si possono riportare i dati su un grafico del tipo raffigurato nella fig.  I. Questo permette di osservare non solo il progredire in senso assoluto delle abilità, ma anche di raffrontare tra loro le diverse sottoabilità. Questo quadro dinamico può fornire all'insegnante un'idea delle abilità mancanti, emergenti o acquisite dall'allievo, indirizzandolo nella scelta degli interventi da effettuare.

Esempio di grafo riassuntivo
Classe: I
I I A        Allíevo: Piero Bianchi



Legenda
: linea continua ( _______) = 1^ valutazione in data 14/3/1999
 linea tratteggiata ( _ _ _ )= 2^ valutazione in data 20/05/1999

Gli obiettivi

E' possibile che dai profili di una classe emergano delle difficoltà ricorrenti in vari allievi, così come potrebbero verificarsi dei problemi più complessi.  Riguardo ai problemi comuni, l'insegnante può considerarli come situazioni da affrontare in gruppo ridefinendo, magari, la meta in positivo. Ad esempio, se rilevasse un'alta litigiosità, potrebbe dire: «Abbiamo visto che nella classe esistono difficoltà nell'espressione delle proprie opinioni (tab. 1, punto D): che ne direste se ci impegnassimo a migliorare la capacità di discutere in gruppo?». Relativamente al problemi complessi, che potrebbero scaturire da situazioni particolari, la soluzione consiste nel suddividere il problema in sottoproblemi da affrontare uno alla volta.  Infatti, una situazione difficoltosa può essere causata dalla carenza di più abilità sociali.

Bibliografia
 

AIMONE T. (1999), «Assertività: la triade comportamentale»,Antropos & Iatria, 3,3.
MEAZZINI P. (1980), Il comportamentismo: una storia culturale, vol. 1, Erip, Pordenone.
MEAZZINI P. (2000), L'insegnante di qualità, Giunti, Firenze.

SALTER A.(1949), Conditioned reflex therapy, Creative Age Press, New Jork.
WOLPE J., LAZARU
S
A.A. (1966), Behavior therapy tecniques, Pergamon Press, New York.

Home page