Le attività tradizionali della cascina a corte


 

Alle solite operazioni di monda e di raccolta si aggiungevano le ordinarie mansioni per la sistemazione del terreno prima della semina e per le operazioni di trebbiatura, un ciclo di lavori che impegnava intere famiglie da marzo a ottobre. La lavorazione del riso aveva bisogno cure supplementari rispetto ad altre colture e gli obbligati d’entrambi i sessi si occupavano di una vasta gamma di attività per gran parte dell’anno.

 I lavoratori si distinguevano in:

  1. lavoratori obbligati, maschi e femmine, che abitavano in cascina ed avevano un lavoro annuale;

  2. lavoratori avventizi, maschi e femmine, domiciliati in paese e denominati “paisan” (paesani).

Concimazione

La concimazione tradizionale ha sempre utilizzato il normale letame, composto da escrementi bovini o equini mescolati alla paglia di riso o allo strame di frumento. Dai principi del XX secolo, con un'impennata a partire dagli anni del dopoguerra, la concimazione naturale è stata sostituita dalla più selettiva concimazione prodotta dall'industria chimica,
Un tempo i bifolci o i cavallanti scaricavano sul campo mucchi di letame, che le donne dovevano spargere con le forche, oppure venivano trainati sul campo particolari spandiconcime se la concimazione era chimica.
 

Lavori di aratura

Oltre ai bifolchi con i buoi e l’aratro, sul campo, erano presenti le donne. Prima si approfondiva il vecchio solco e le obbligate con le zappe intervenivano a ripulirlo e ad abbassarlo. Questa lavorazione serviva a tener livellato il più possibile il campo. Il compito dell’aratura era affidato ai salariati fissi che si occupavano degli animali da tiro. L’aratro lasciava in superficie zolle troppo grosso che andavano sminuzzate, sia passando con l’erpice fisso, sia con la zappatura che era sempre affidata alle donne.

 


Aratura con l'ausilio di buoi guidati dai bifolchi.-

Slottatura

Veniva poi immessa l'acqua che dava modo di evidenziare le parti di terreno affioranti, abbassate e spoltigliate  con zappe dalle obbligate ( slottatura ), mentre un cavallante livellava ulteriormente il terreno passando con una tavola di legno trainata dall'animale. Questa operazione risultava particolarmente fastidiosa perché veniva compiuta a piedi nudi nell'acqua ancora fredda di marzo-aprile. Molto gravoso era pure il lavoro di costipazione del terreno, attuato sulla risaia col ripetuto passaggio di mandrie.
 


Lo spianone - Foto tratta da Borasio, Il Vercellese, 1929


Costruzione degli argini

Dopo l’aratura bisognava anche costruire solidi argini tra una camera e l’altra della risaia, che difficilmente si presentava tutta sullo stesso livello: gli dovevano essere ben compressi per evitare smottamenti.
 


La slottatura - Foto tratta da Borasio, Il Vercellese, 1929
 

Semina

Tale operazione era compiuta un tempo da avventizi particolarmente esperti, e perciò molto pagati: i seminatori.
Il seminatore doveva porsi al centro del "pianón", lanciando la semente da un solco all'altro, compito particolarmente complicato in risaia dove l'acqua impediva un preciso orientamento. Si predisponevano perciò dei rami nei solchi, come punti di riferimento; una fila di sacchi di semi posti nell'acqua serviva per poter regolare la semente da gettare per unità di superficie

 


Semina manuale a spaglio

 

Dopo la semina iniziava un periodo di relativa stasi di lavoro in risaia. In aprile, cioè prima dell’inizio dei lavori di monda, si rendevano spesso necessari interventi di manutenzione e di pulitura.
Le obbligate venivano spesso mandate a ripulire con i rastrelli la superficie dell’acqua da paglie galleggianti e dallo strato di alghe; la coltivazione del riso richiedeva l’impiego di molti lavoratori già prima della monda.
 

La monda e il trapianto

Con il termine monda si sottintendono spesso lavori diversi; la monda vera e propria che avveniva da fine maggio a giugno e in luglio ( mentre il trapianto si eseguiva quaranta giorni dopo la nascita delle piantine nel vivaio ). Le operazioni di monda, in genere, avvenivano una sola volta nelle risaie trapiantate, ed erano appannaggio delle locali, due volte nelle risaie seminate, dove intervenivano anche le migranti. Nella monda ogni squadra di mondine procedeva allineata in avanti, le erbe estirpate venivano fatte passare di mano in mano e depositate nei solchi dalle due lavoratrici che si trovavano ai lati del "pianón". L’allineamento favoriva la comunicazione e l’operazione era considerata meno faticosa di quella del trapianto dove era richiesto un ritmo incalzante. A luglio e ad agosto, le obbligate venivano mandate sia ad estirpare il riso crodo, un riso selvatico che maturava precocemente, sia a rivoltare le erbacce lasciate nei solchi.

Con il trapianto si poteva utilizzare il terreno per altre colture (per esempio foraggio) prima della creazione della risaia. Esso avveniva agli inizi di giugno se si era coltivato il fieno, e tra la fine di giugno e gli inizi di luglio se si era mietuto il grano. Il trapianto manuale richiedeva grandi quantità di manodopera, poiché doveva essere realizzato in un tempo breve. Nella risaia, mentre un uomo o un ragazzo gettavano i mazzetti di riso nell’acqua, le donne si occupavano di impiantarli, procedendo a squadre allineate. Si trattava di un lavoro faticoso in quanto si doveva arretrare velocemente, sempre curve, mentre con una mano si reggeva il mazzetto e con l’altra si conficcava la piantina nel terreno. Questa lavorazione divenne ben presto l’occupazione tipica delle mondine forestiere, perché più veloci, e dei trapiantini.

l trapianto era la tecnica tradizionale che portava la piantina di riso dai semenzai alla risaia. Inoltre evitava una precoce lotta agli infestanti. Il trapianto era il primo dei due lavori stagionali affidati alle mondine. (Foto Ente Risi Fondo Marabelli).

 


Trapiantatori di riso giunti da Stroppiana - Il lavoro è fatto a cottimo
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 193

 

 

 

Mietitura

Nella mietitura chi non riusciva a mantenere il ritmo, rischiava di infortunarsi, poiché era costantemente incalzata dalla falce della compagna che le stava dietro. Per la mietitura erano impiegati sia uomini che donne del luogo e, in piccola parte, almeno in Lomellina, anche lavoratori immigrati. Per la trebbiatura invece bastavano quasi esclusivamente gli avventizi e le obbligate locali. Oggi, le mietitrebbiatrici tagliano veloci il riso e lo separano dalla paglia, concentrano su larghe superfici in tempi brevi una grande quantità di lavoro. Il riso greggio o risone è poi immesso negli impianti di essiccazione.

 


La mietitura

L’essiccazione

 

L’essiccazione un tempo avveniva nelle aie delle cascine, riempiendo tutti gli spazi dell’aia esposti al tiepido sole di inizio autunno con la marea di chicchi di riso ancora ricoperti dalla lolla. Oggi, si usano essiccatoi che immettono aria a temperatura variabile tra i 30 e i 45 gradi. Una volta essiccato, il riso viene immesso nei silos.
 


Vinzaglio - Il lavoro di essiccazione del riso sulle aie

La lavorazione

Nei secoli passati il riso era consumato, in buona quantità, ridotto in farine, come avviene per il grano. Per questo esistevano mulini adatti alla completa polverizzazione dei chicchi.
Oggi, non è più consumato in farine, ma in chicchi interi. Così i mulini hanno lasciato spazio alle piste da riso,
che utilizzavano la forza motrice degli stessi canali irrigui per togliere la lolla dai chicchi mediante rulli. Oggi, il procedimento è di tipo industriale. Le decorticatrici fanno passare i chicchi di risone tra speciali rulli in caucciù: in questo modo viene eliminata la lolla e il riso diventa commestibile. Con questo primo procedimento si ottiene il “riso integrale”, cioè il riso non ancora bianco, perché ricoperto dal pericarpo.

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