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Il romanzo di Tristano ed Isotta - Tristano Riccardiano
 Il filtro d'amore e l'avventura

LVII A tanto si chiama la reina Governale e Braguina, perché vede che quegli due sono riponitori dell'oro e dell'argento e dele gioie.  E dice loro: «Tenete questi due fiaschi d'argento, che sono pieni di beveraggio d'amore, e guardategli bene; e quand'e’ si coricherà lo re Marco con madonna Isaotta la prima sera e voi si darete loro bere, e quello che rimarrae  sì gittate via ». Ed eglino dissero che bene lo faranno". 

A tanto si parte Tristano ed hanno buono tempo.  E istando uno giorno e' giucavano a scacchi, e non pensava l'uno dell'altro altro che tutto onore e già il loro cuore non si pensava follia neuna di folle amore.  E avendo giucato insieme due giuochi ed ierano sopra  lo terzo giuoco ed iera grande caldo, e Tristano disse a Governale: « E' mi fae Il grande sete ». Allora andò Governale e Braguina per dare bere e presero li fiaschi del beveraggio amoroso, non conoscendogli che fossero cosie.  Allora lavò Governale una coppa e Braguina mesceo cola coppa e Governale diede bere imprima a messer Tristano, e Tristano la beve bene piena la coppa, imperciò che gli facea bene sete, e l'altra coppa si empieo e diedela a madonna Isotta.  Ed ella iscoloe la coppa in terra  ed allora si la lecoe una cagnuola  per la grande sete ch'avea.  Adesso cambioe Tristano lo suo coraggio e non fue più in quello senno ch'egli era da prima, e madonna Isotta sì fece lo somigliante; e cominciano a pensare ed a guardare l'uno l'altro.  Anzi che compiessero  quello giuoco, sì si levarono ed andarosine  ambodue disotto in una camera, e quivi incominciano quello giuoco insieme che in tutta loro vita lo giucarono volontieri. Or, si n'andiede  Governale e Braguina che aviano dato lo beveraggio amoroso a messer Tristano e a madonna Isaotta, ed allora sì si tenero molto incolpati.  E tanto sì si venne ala nave cambiando il tempo per grande fortuna ed è mistiere che facciano altra via  e per forza di tempo".  Ed allora si racomandano a Dio ed ali suoi santi, che gli debiano aiutare. Ed allora si piangono li marenai tutti quanti.  E al quarto giorno che cominciò la fortuna se furono arrivati  all'isola de' Gioganti.   E Tristano dice ali mastri marinai: “Ove siemo noi arrivati?” E li marinai dicono: «In male  luogo: noi sì siemo arivati all'isola deli Gioganti, che qualunque cavaliere o straniero alcuno ci ariva si è sempremai pregione”.

LVIII. A tanto si vennero XII cavalieri al porto e dicono: «Venite in terra, che voi siete tutti pregioni”. Ed allora incominciano tutti a piangere, e madonna Isotta piange e dice: ",Oi lassa me, Tristano hami tu menata di mia terra a dovere essere pregionessa? " . A tanto dice Tristano: «Madonna Isotta, io non vi verròe meno e sì vi dico ch’io ch'io combatterò d'infino  a tanto ch'io avroe dela vita in su questa nave  e dappoi ch’io non potroe più, Dio vi consiglierae ». Ancora dice madonna Isotta a Tristano: «Or morremo noi in cotale maniera?». E Tristano dice: «Madonna, io non soe ch’io altro vi ne possa dire, se non la spada in pugno non vi verroe meno».  A tanto si prendono consiglio che in pregione avranno alcuno rimedio, meglio che lasciarsi tutti uccidere in tale modo.  A tanto sì s'arrendono tutti a pregioni e sono messi presso al porto nel castello di Proro.  E madonna Isaotta si appiattoe  la spada di Tristano sottosi e tutte l'altre cose fuorono loro tolte.  E sono intrati dentro al'antiporto dele mura delo castello e furono tutti messi dentro, e tegnono mente per la pregione, ch’iera in mezzo del castello, e veracemente pare loro pessima e ria', si come pregione che chi vi sarae messo non n’uscirae mai né vivo né morto.  La notte istando là entro e l'altro giorno, passano quella notte con grande doglia,            tale come avere potìano.  Al matino si vennero due cavalieri a sapere, come istéssero li pregioni.  A            tanto si mette innanzi Tristano e dice ali due cavalieri: « Dovemo noi istare qua dentro sempremai?  Potremone noi a termine alcuno uscire o per alcuna aventura? » ". E li cavalieri dissero: « Sìe in tale maniera, che qui tra voi avesse  uno tale cavaliere - lo quale non mi pare vedere quie - ch'egli fossero forte che per sua prodezza vincesse lo nostro segnore; e poi fosse la sua donna più bella che la nostra donna».  Allora Tristano disse: «Qua entro ha uno che arrischierebbe bene la sua persona con quella del vostro segnore, e si dice che ci hae donna che è più bella che la vostra donna».

   Allora disse Tristano a madonna Isotta: «Venite avanti».  E mostrala al cavaliere e disse: «Che vi pare dela donna?».  E li cavalieri dissero dela donna: «Bene si puote passare».  E Tristano disse: «E io combatteroe col vostro segnore per diliveramento di me e di miei compagni».  E li cavalieri dissero: «E come è?  ché al mondo non è uomo che col nostro segnore istesse fermo a battaglia  salvo Lancialotto».  E' Tristano disse: «Io per me non vieterei bataglia a Lancialotto.  E ora si m'avete fatto dire una grande villania».  E allora si fue messo" Tristano e madonna Isotta in uno palagio e fue fatto loro agio.

Allora sì n'andonno  li cavalieri al signore dell'isola e dissero: «Blanor, a te si conviene di mantenere nostro usato, ché tra li pregioni che noi prendemmo ieri si ha uno cavaliere che vuole combattere al'usanza dell'isola».  E Blanor si disse: «Anche per me la vostra usanza non fosse fatta, io vi dico ch'io per me la voglio mantenere a tutto il mio podere ».  E li cavalieri dissero: « Depardio, al matino al suono del corno si sarete fuori delo castello co vostra dama».  A tanto si partono li cavalieri e danno a Tristano tutta sua arme salvo la spada ch'egli avea, che l'apiattoe madonna Isotta.  Al matino or vengono Tristano e madonna Isotta al campo, e lo corno sì suona e esce fuori Blanor e la sua dama.  Lo conto si dice che la donna di Blanore si era grande e bella, sì come donna ch'iera tratta e ritraea da giogante, ma non si potea aparegiare ale  bellezze di madonna Isotta.  E  la moglie di Blanor si diventoe tutta palida di paura.  Sì che data fue la sentenzia che madonna Isotta iera più bella.  Ed a tanto istando ambodue le donne allato, e la battaglia sì si incomincioe tra li due cavalieri.  Or si danno del campo, Blanor, il sire dela lontana isola e padre del buono Galeotto lo Bruno e Tristano. Allora sì si vegnono a fedire   insieme dele lancie sopra le targielg ed istringosi insieme e sono a petto a petto co' loro civagli, e li cavalieri sono visaggio contra visaggio e sono sì duramente serrati insieme, che li cavagli e li cavalieri sono caduti in due monti. Allora si rilevano, intrambi li cavalieri con loro targie in braccio e cole ispade in mano, e cominciano lo primo assalto, sì duramente che ciascheduno si ne fae grande maraviglia di Tristano, sì promente e sì bene la fae, ché Blanor sì è vie maggiore di lui bene uno grande gomito e segnoreggia Tristano assai, sì come uomo ch'è vie maggiore di lui.  Ma Tristano sì come cavaliere ch'iera savio  combattitore, la fae si bene che ciascheduno si riposa volentieri del' primo assalto, per prendere buona lena e forza.  Ma ciascheduno si si fae grande maraviglia di Tristano, quand'egli si puote reggere con  Blanor.  Or si si rilevano  li cavalieri e ricominciano lo secondo assalto, e quando sono riposati sì si rilevano e cominciano lo terzo assalto, si forte e si duro che molte maglie d'asberghi' vanno per terra, e madonna Isotta sì cambia lo suo viso in palido, si com'ella vede cambiare. la battaglia"'.  Ma qui dice lo conto di Tristano, ch'egli è savio combattitore ed è di grande durata; e dappoi  sì viene menando' Blanor a destra ed a sinestra.

 E Tristano conosce bene ch'egli hae lo meglio dela battaglia ed hae dato uno colpo a Blanor sopra l'elmo, si che Blanor non potea sofferire lo colpo: lasciasi cadere in terra rivescione sì come cavaliere ch'avea perduto molto sangue.  E Tristano sì gli disse allora: «E com'è, compagnone? e non combatteremo noi più?».  E Blanor disse di non, «imperciò ch'io sono molto presso ala morte».  E a tanto non parlano più, imperciò ch'a Blanor sì gli è uscito lo fiato di corpo ed è passato.

Tratto dal Tristano  della Biblioteca Riccardiana di Firenze ( manoscritto della fine del XIII secolo )
inserito nel volume Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Vol I/1, Paravia.

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