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Chrétien de Troyes - Lancillotto o il cavaliere delle carretta
 
La donna crudele e il servizio d'amore 
 

Riportiamo alcuni passi del romanzo, che illustrano soprattutto il servizio d'amore. La scelta antologica è presente nel manuale in adozione nella classe:

Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Vol I/1, Paravia.

 


[Pur di raggiungere la regina Ginevra, moglie di re Artù, che è stata rapita con uno stratagemma dal malvagio Meleagant, Lancillotto accetta di salire sulla «carretta», coprendosi di un indelebile marchio d'infamia].

La carretta serviva allora a ciò a cui servono oggi le gogne, e in ogni città, ove ora ve ne sono più di tremila, non ve n'era a quei tempi che una, ed era un castigo riservato, come sono ora le gogne, a tutti gli omicidi e ai masnadieri, a quelli che erano vinti in campo, e ai ladri che avevano rubato gli averi altrui con l'astuzia o li avevano estorti con la violenza lungo la via.  Chi era trovato in colpa era messo sulla carretta e condotto per tutte le strade; perdeva ogni onore, e non era più ascoltato in una corte, né onorato né bene accolto.  Dato che a quel tempo le carrette erano tali, ed erano strumenti
d'infamia, si cominciò a dire: «Quando vedrai una carretta. e la incontrerai, fatti il segno della croce e ricordati di Dio, affinché male non te ne incolga».

Il cavaliere, a piedi, senza lancia, cammina dietro alla carretta, e vede un nano sopra le stanghe di essa, che teneva in mano, come un conduttore di carretta, una lunga verga.  E il cavaliere dice al nano: - Nano,  in nome di Dio, dimmi se tu hai visto passare di qui la mia signora. la regina.
Il vile nano, di ignobile origine, non gliene volle dare alcuna notizia, ma gli disse: - Se vuoi salire sulla carretta che io conduco potrai sapere prima di domani ciò che è accaduto alla regina.

Il cavaliere prosegue per la sua strada, e non vi sale, per il momento; per sua disgrazia lo fece, e per sua disgrazia ebbe vergogna, tanto da non volere subito salirvi, poiché riconoscerà poi di essersi condotto male; ma la Ragione, che è lontana da Amore, gli dice che si guardi bene dal salire, e lo ammaestra e lo ammonisce a non fare e a non intraprendere,nulla da cui riceva onta  o biasimo.  Ragione, che osa dirgli questo, non sta nel suo cuore, ma nella bocca; ma Amore, che è chiuso nel suo cuore, gli comanda e gli ingiunge di salire subito sulla carretta.
Amore lo vuole, ed egli vi sale, poiché non gli importa dell'onta, dal momento che Amore glielo comanda e lo vuole.

(Dopo avere superato duri ostacoli e pericolose avventure, Lancillotto combatte con Meleagant, che teneva prigionieri, con Ginevra, molti dei sudditi di re Artù ).

Lancillotto allora considera una grande onta e una grande vergogna per lui il fatto di avere per un gran pezzo avuto la peggio - ben lo sa - nella battaglia, così che odia se stesso: se ne sono accorti tutti quanti.  Salta allora indietro e fa un giro, e mette Meleagant fra sé e la torre, a tutta forza.  E Meleagant, volgendosi dall'altra parte, si difende molto bene; e Lancillotto gli corre addosso e lo urta con tanta violenza, con tutto il peso del corpo, con tutto lo scudo, mentre cerca di voltarsi dall'altra parte, che lo fa tutto barcollare due volte o più, e gli reca molto tormento; e gli crescono la forza e l'ardimento, poiché Amore gli dà grande aiuto, e lo aiuta il fatto che non odiava nessuna cosa al mondo come colui che contro di lui combatteva.  Amore e un odio mortale, così grande che fino ad ora non ve ne fu uno tale, lo fanno così fiero e coraggioso che Meleagant non lo disprezza affatto, ma molto lo teme, poiché non aveva mai incontrato né conosciuto un cavaliere così valoroso, e nessun cavaliere lo aveva tanto tormentato e danneggiato come fa quello.  Si allontana ben volentieri da lui, si scosta e si tiene in disparte, poiché teme i suoi colpi e li evita.  E Lancillotto non lo minaccia, ma, combattendo, lo caccia verso la torre, sulla quale stava affacciata la regina... 
Molte volte lo combatteva così vicino alla torre che era costretto a fermarsi, perché non la avrebbe più vista se fosse avanzato ancora di un passo.  Così Lancillotto molto spesso lo conduceva indietro e avanti dovunque gli piacesse, e tuttavia si arrestava davanti alla regina, sua dama, che gli ha nel cuore quella fiamma, a causa della quale egli la va così guardando; e quella fiamma lo rendeva così ardente d'ira contro Meleagant che lo poteva trascinare e cacciare dovunque gli piacesse!

Lo trascinava come un cieco e come un malato, suo malgrado.  Il re vede che suo figlio è giunto a tal punto che non cerca più di resistere e non si difende: se ne affligge e ne prova pietà: vi porterà rimedio, se può.  Ma era necessario pregare la regina, se voleva ottenere questo.  Cominciò allora a dirle:
- Signora, io vi ho molto amata e molto servita e onorata, da quando vi ho sotto la mia protezione; non c'è nessuna cosa, che io sapessi fare, che io non l'abbia fatta, purché vedessi in essa il vostro onore.  Rendetemene ora il guiderdone".  Ma vi voglio chiedere un dono che voi non dovreste concedere, se non me lo faceste per amore.  Io vedo bene che in questa battaglia senza dubbio mio figlio ha la peggio, ma non vi prego punto perché me ne rincresca, ma soltanto affinché Lancillotto, che ha la possibilità di farlo, non lo uccida.  Neppure voi dovete desiderarlo, non perché egli non abbia agito
male verso di voi e verso di lui, ma per amor mio, e per vostra cortesia, ditegli, ve ne prego, che si astenga dal ferirlo.  Così mi potrete ricambiare i miei servigi, se vi erano graditi.

- Caro sire, io lo farò volentieri, per la vostra preghiera - dice la regina. - Se io avevo un odio mortale verso vostro figlio, che non amo punto, voi mi avete servita così bene che, per farvi piacere, io desidero vivamente che si astenga dal colpirlo.

Queste parole non furono punto pronunciate a voce bassa, e Lancillotto e Meleagant le udirono.  
Colui che ama è molto ubbidiente, e fa subito e volentieri, quando è un innamorato devoto, ciò che sa che piace alla sua donna.  Era naturale quindi che Lancillotto, che amava più di Piramo - posto che qualcuno potesse amare più di lui - facesse questo.  Lancillotto udì le parole [della regina]; e dopo che l'ultima parola le fu uscita dalla bocca, dopo che essa ebbe detto: «Dal momento che voi volete che egli si astenga dal colpirlo, io pure lo desidero», Lancillotto, per nessuna cosa al mondo, non lo avrebbe toccato e non si sarebbe mosso, anche se quegli avesse dovuto ucciderlo.
Non lo tocca e non si muove; e quello lo colpisce per quanto può, reso pazzo dall'ira e dalla vergogna quando ode che è giunto al punto che si debba pregare in suo favore.  E il re, per rimproverarlo, è disceso giù dalla torre; se ne è andato sul luogo della battaglia e dice ora a suo figlio:
- Come? E’ forse bello che egli non ti tocchi e che tu lo colpisca?  Tu sei ora troppo crudele e feroce, tu sei ora troppo valoroso male a proposito E noi sappiamo con tutta certezza che egli è superiore a te.
Disse allora Meleagant al re:
- Forse voi siete accecato!  A parer mio, voi non vedete nulla. E’ cieco colui che mette in dubbio che io sia superiore a lui.
- Cerca dunque uno - dice il re - che ti creda!  Tutta questa gente sa bene se tu dici la verità o se menti.  Conosciamo bene la verità.
Il re dice allora ai suoi baroni che tirino indietro suo figlio.  E quelli non indugiano per nulla; subito ubbidiscono all'ordine, e tirano indietro Meleagant.


[La vittoria di Lancillotto rende la libertà a tutti i prigionieri, che acclamano il loro salvatore , gli fanno grandi feste.  Solo la regina, incomprensibilmente, si mostra nei suoi confronti dura sprezzante].

Là vi fu molta gioia e vi fu molta ira, perché coloro che sono stati liberati si sono tutti abbandonati alla gioia; ma Meleagant e i suoi non hanno nulla di cui possano compiacersi, anzi sono pensierosi, abbattuti e mesti.  Il re se ne torna dalla piazza, e non vi lascia punto Lancillotto, ma lo porta con sé; ed egli lo prega che lo conduca dalla regina.
- Io - dice il re - non mi oppongo; poiché mi sembra cosa ben conveniente a farsi; e vi mostrerò
insieme anche il siniscalco Keu, se lo ritenete opportuno.
Poco manca che Lancillotto cada ai suoi piedi, tanta è la gioia che ne ha.  Subito il re lo condusse
nella sala, ove si era recata la regina, che lo attendeva. Quando la regina vede il re che tiene Lancillotto per mano, si alza in piedi davanti a lui e assume un'aria corrucciata: abbassa la testa e non dice una parola.
- Signora, ecco qui Lancillotto - dice il re - che viene a vedervi: questo vi deve piacere molto ed
essere molto gradito.
- A me?  Sire, a me ciò non può far piacere; non mi importa nulla di vederlo.
- Oh!  Signora - dice il re, che era molto nobile e cortese - di dove avete voi tratto questo sentimento?  Certo voi avete troppo disprezzo verso un uomo che vi ha tanto servito, da mettere spesso per voi la sua vita in mortale pericolo in questo viaggio, e vi ha liberata e difesa da mio figlio Meleagant, il quale vi ha riconsegnato con molta ira.
- Sire, in verità egli ha perduto il suo tempo: io infatti non negherò che non gliene serbo punto gratitudine.

Eccovi  Lancillotto tutto triste, e le risponde molto umilmente, come si conviene a un fino amante :
- Signora, certo mi dolgo di ciò, ma non oso domandare perché.

Lancillotto si sarebbe molto lamentato se la regina l'avesse ascoltato; ma, per farlo soffrire e per confonderlo, essa non gli vuole rispondere una sola parola, anzi è entrata in una camera.  E Lancillotto la accompagna fino alla porta cogli occhi e col cuore; ma per gli occhi la via fu breve, giacché la camera era troppo vicina: essi sarebbero entrati dietro di lei molto volentieri, se avessero potuto.  Il cuore, che è un signore e un padrone più potente ed ha possibilità molto maggiori, è passato oltre, dietro di lei, e gli occhi sono rimasti fuori, pieni di lacrime, insieme al corpo.

E il re, parlandogli in disparte, disse a Lancillotto:
- Lancillotto, io mi meraviglio molto, e mi domando che cosa sia questo, e da che derivi il fatto che la regina non vi possa vedere e non vi voglia parlare.  Se essa era solita parlare con voi, non avrebbe dovuto ora opporvi un rifiuto, né respingere le vostre parole, dopo quello che avete fatto per lei.  Ora ditemi, se lo sapete, per qual causa, per quale colpa essa vi ha fatto questa accoglienza.
- Sire, in questo momento non me lo aspettavo; ma a lei non piace vedermi né ascoltare le mie parole: ciò mi addolora e mi dispiace molto.
- Certo - dice il re - essa ha torto, giacché voi vi siete messo in avventura per lei, fino a rischiare la morte.

[La notizia della morte di Lancillotto getta però Ginevra nello sconforto].

Il pensiero della sua crudeltà e della sua durezza, e il fatto che veglia e digiuna, la rendono molto triste e scura in volto; raduna insieme tutte le sue colpe, e tutte le ritornano davanti.  Tutte le ricorda, e dice spesso:

- Ah!  Me infelice!  Che cosa mi venne in mente, quando il mio amico venne davanti a me, che io non mi degnai di fargli festa, e non lo volli nemmeno ascoltare!  Quando gli negai il mio sguardo e le mie parole, non agii da folle?  Da folle?  Anzi agii - così mi aiuti Iddio - da perfida e da crudele.  Io pensai di fare ciò per gioco, ma lui non la prese in questo senso, e non me lo ha punto perdonato.  Nessuno all'infuori di me gli ha dato il colpo mortale, per quanto io so.  Quando egli venne davanti a me ridente, e pensava che io gli avrei fatto gran festa, e che lo guardassi, ed io non lo volli affatto vedere, non fu dunque per lui un colpo mortale?  Quando non volli parlargli, in quell'istante gli strappai il cuore e insieme la vita.  Questi due colpi mortali lo hanno ucciso, mi sembra; non lo hanno ucciso altri soldati di ventura.
 
Ah, Dio!  Potrò io trovare il modo di riscattare questo assassinio, questo peccato?  In nessun modo: prima saranno seccati tutti i fiumi, e il mare sarà prosciugato. Ah!  Sventurata me!  Come mi sarei consolata, e come mi sarebbe stato di grande conforto se una volta, prima che fosse morto, l'avessi tenuto fra le mie braccia!  Come?  Certo, tutto nudo, essendo io nuda, affinché avessi più agio di amarlo.  Dato che egli è morto, io sono veramente molto cattiva, se non procuro di morire.  Non mi deve dunque esser di peso la vita se io sono viva dopo la sua morte, dal momento che nulla mi conforta, se non il dolore che io soffro per lui?  Poiché di questo provo conforto dopo la sua morte, certo sarebbe stato molto dolce, se egli fosse stato in vita, quel male di cui ho ora grande desiderio.  Malvagia è colei che preferisce morire che soffrire del male per il suo amico.  Ma certo a me dà molto conforto farne lungo compianto.  Preferisco vivere e soffrire gli assalti del dolore che morire ed avere pace.

[Ma la notizia era falsa e Ginevra, incontrando nuovamente Lancillotto, si mostra adesso benevola, spiegandogli le ragioni della precedente ostilità.  I due giungono finalmente alla realizzazione dei loro desideri].

La regina, allora, non lasciò punto cadere i suoi occhi verso terra, ma l'andò a prendere con gioia, e gli fece onore quanto poteva, e lo fee  e sedere al suo fianco.  Poi parlarono a loro piacere di tutto quello che a loro piacque, e non mancava loro la materia, perché Amore ne dava loro in abbondanza.  E quando Lancillotto vede la gioia di lei, poiché non dice nulla che molto non piaccia alla regina, allora, a bassa voce, le disse:
- Signora, io mi domando, meravigliato, perché avant 'ieri, quando mi vedeste, mi faceste così cattivo viso e non mi diceste neppure una parola: per poco voi non mi deste la morte, ed io non ebbi l'ardire di domandarvene la causa, come faccio ora.  Signora, io sono pronto a fare ammenda, purché mi diciate qual è la mia colpa, per la quale sono stato molto afflitto.
 
E la regina gli risponde:
- Come?  Non aveste voi vergogna della carretta, e non esitaste?  Vi saliste molto a malincuore, poiché esitaste per lo spazio di due passi.  Per questo, in verità, non voW parlarvi né rivolgervi lo sguardo.
- Un'altra volta Iddio mi conceda - dice Lancillotto - di guardarmi da tale misfatto, e che Dio non abbia pietà di me se voi non aveste pienamente ragione.  Signora, in nome di Dio, ricevetene subito da me l'ammenda, e se voi già me lo volete perdonare, in nome di Dio, ditemelo.
- Amico, consideratevi del tutto assolto - dice la regina - in modo completo; io vi perdono ben volentieri.
- Signora - egli dice - io vi ringrazio; ma non vi posso dire qui tutto ciò che vorrei; volentieri vi parlerei con più agio, se fosse possibile.
E la regina gli mostra una finestra, con l'occhio, non col dito, e dice:
- Venite a parlarmi a quella finestra questa notte, quando tutti qua dentro dormiranno, e verrete attraverso quel verziere . Voi non potrete entrare né essere accolto qua dentro; io sarò dentro e voi fuori, e qua dentro non potrete arrivare.  Ed io non potrò arrivare fino a voi se non con la bocca o con le mani; e, se vi piace, fino a domani io rimarrò per amore verso di voi.  Noi non potremmo riunirci insieme, poiché nella mia camera, davanti a me, giace Keu, il siniscalco, che langue per le piaghe di cui è coperto.  E l'uscio non resta punto aperto, ma è ben chiuso e ben custodito.  Quando voi verrete, guardate che nessuna spia vi sorprenda.
- Dama - egli dice - qualora io possa farlo, non mi vedrà nessuna spia che pensi male o che dica male di noi.
Così concludono il loro incontro, e si separano molto lietamente.

  (Lancillotto) si finge stanco e si fa condurre a letto; ma non ebbe certo tanto caro il suo letto da riposarvi per nessuna cosa al mondo: non avrebbe potuto né l'avrebbe osato, e non avrebbe voluto averne né l'ardimento né la possibilità.

  Si alzò molto presto e pian piano, e questo non gli fu punto difficile, perché non lucevano né la luna né le stelle, e nella casa non c'era né una candela né una lampada, né una lanterna che ardesse.  Agì con tanta prudenza, che nessuno se ne accorse, ma tutti credevano che dormisse nel suo letto per tutta la notte. Senza compagnia e senza guida se ne va molto rapidamente verso il verziere, poiché non cercò qualcuno che lo accompagnasse, e fu fortunato, perché nel verziere da poco era caduto un pezzo di muro.  Passa sveltamente attraverso quella breccia, e tanto cammina che giunge alla finestra, e se ne sta là tanto tranquillo, che non tossisce né starnuta, finché non venne la regina, vestita di una candida camicia; non vi aveva messo sopra né una tunica né una cotta, ma un corto mantello ch’è scarlatto e di marmotta.
Quando Lancillotto vede la regina che si appoggia alla finestra, che era sbarrata da grossi ferri, la saluta con un dolce saluto.  Essa gliene rende subito un altro, poiché essi erano pieni di desiderio, egli di lei ed essa di lui.  Non parlano e non discutono di cose scortesi o tristi.  Si avvicinano l'uno all'altra, e si tengono ambedue per mano.  Rincresce loro a dismisura di non potersi riunire insieme, tanto che maledicono l'inferriata.  Ma Lancillotto si vanta  di entrare, se alla regina piacerà, là dentro con lei: non rinuncerà certo a ciò a causa dei ferri.  E la regina gli risponde:
- Non vedete voi come questi ferri sono rigidi, per chi voglia piegarli, e forti, a chi voglia spezzarli?  Voi non potrete mai torcerli né tirarli verso di voi né farli uscire, tanto da poterli strappare via.
- Signora ~ dice lui - non preoccupatevene!  Io non credo che il ferro valga a qualcosa: nulla, all'infuori di voi, mi può trattenere dal giungere fino a voi.  Se un vostro permesso me lo concede, la via è per me completamente libera; ma se la cosa non vi è gradita, essa per me è allora così sbarrata, che non vi passerò in alcun modo.

- Certo - essa dice - io ben lo desidero; la mia volontà non vi trattiene; ma è opportuno che voi aspettiate che io sia coricata nel mio letto, perché non voglio che malauguratamente si faccia rumore; infatti non sarebbe né corretto né piacevole che il siniscalco, che dorme qui, si svegliasse per il rumore che noi facciamo.  Per questo è giusto che io me ne vada, poiché non potrebbe immaginare nulla di buono, se mi vedesse stare qui.
- Signora - egli dice - andate dunque, ma non temete che io faccia rumore.  Io penso di togliere i ferri tanto facilmente che non avrò da affaticarmi, e non sveglierò nessuno.

La regina allora se ne torna e Lancillotto si prepara e si accinge a sconficcare l'inferriata.  Si attacca ai ferri, li scuote e li tira, tanto che li fa tutti piegare e li trae fuori dei luoghi in cui sono inflissi.  Ma i ferri erano così taglienti che la prima giuntura del dito mignolo si lacerò fino ai nervi, e si tagliò tutta la prima falange dell'altro dito.  Egli però, che ha la mente rivolta ad altro, non si accorge per nulla del sangue che gocciola giù né delle piaghe.

La finestra non è punto bassa, tuttavia Lancillotto vi passa molto presto e molto agevolmente.  Trova Keu che dorme nel suo letto, poi viene al letto della regina, e la adora e le si inchina, poiché in nessuna reliquia crede tanto.  E la regina stende le braccia verso di lui e lo abbraccia, lo avvince strettamente al petto e lo trae presso di sé nel suo letto, e gli fa la migliore accoglienza che mai poté fargli, che le è suggerita da Amore e dal cuore.  
Da Amore venne la buona accoglienza che gli fece-, e se essa aveva grande amore per lui, lui ne aveva centomila volte di più per lei, perché Amore sbagliò il colpo  tirando agli altri cuori, a paragone di quel che fece al suo; e nel suo cuore Amore riprese tutto il suo vigore, e fu così completo, che in tutti gli altri cuori [a confronto] fu meschino.  
Ora Lancillotto ha ciò che desidera, poiché la regina ben volentieri desidera la sua compagnia e il suo conforto, e egli la tiene tra le sue braccia, ed essa tiene lui tra le sue.  Tanto gli è dolce e piacevole il gioco dei baci e delle carezze, che essi provarono, senza mentire, una gioia meravigliosa, tale che mai non ne fu raccontata né conosciuta una eguale; ma io sempre ne tacerò, perché non deve essere narrata in un racconto.  La gioia più eletta e più deliziosa fu quella che il racconto a noi tace e nasconde.

Molta gioia e molto diletto ebbe Lancillotto tutta quella notte.  Ma sopravvenne il giorno, che molto gli pesa, perché deve alzarsi dal fianco della sua amica.  Quando si alzò soffrì veramente come un martire, tanto fu per lui dolorosa la partenza, poiché soffre un gran tormento.  Il suo cuore è sempre attirato verso quel luogo, nel quale rimane la regina.  Non ha la possibilità di impedirglielo, perché la regina gli piace tanto, che non ha desiderio di lasciarla: il corpo si allontana, il cuore rimane.  Se ne ritorna direttamente verso la finestra; ma nel letto rimane una così grande quantità del suo sangue che le lenzuola sono macchiate e tinte del sangue che è uscito dalle sue dita.

Lancillotto se ne va molto afflitto, pieno di sospiri e pieno di lacrime.  Non si fissano un appuntamento per ritrovarsi insieme: ciò gli rincresce, ma non possono físsarlo.  Passa per la finestra a malincuore; ed era entrato molto volentieri.  Non aveva punto le dita sane, perché si era ferito molto gravemente; eppure ha raddrizzato i ferri e li ha rimessi di nuovo ai loro posti, così che né davanti né di dietro, né dall'uno né dall'altro lato sembra che si fosse mai levato né tratto fuori né piegato alcuno dei ferri.  Nel momento di partire ha piegato le ginocchia verso la camera, comportandosi come se fosse stato davanti ad un altare.  Poi si allontana con grandissimo dolore; non incontra nessuno che lo conosce, tanto che è tornato al suo alloggio.

[Il malvagio Meleagant, vedendo le lenzuola macchiate di sangue, accusa il siniscalco Keu di avere avuto rapporti con la regina; l'onore di Ginevra viene difeso con le armi da Lancillotto, che ha di nuovo la meglio sull'avversario, ma gli risparmia, anche in questo caso, la vita.  Lo ucciderà nel duello che conclude il romanzo, per punirlo di nuove infamie e tradimenti.  Quest'ultima parte, tuttavia, è stata scritta da Geoffry de Lagny,'dopo che Chrétien, giunto al culmine ideale del romanzo, aveva interrotto la narrazione].

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