Temi e motivi della poetica sveviana

Mappa concettuale delle tematiche sveviane con rimandi intertestuali
 

Tratto centrale della poetica di Svevo è l’inettitudine, caratteristica costitutiva dei tre protagonisti dei suoi romanzi. Tale tematica si declina negli aspetti della noia, dell’inerzia, della rinuncia, della rassegnazione, dell’incostanza, dell’aridità, dell’indifferenza, della debolezza, del fallimento, dell’inquietudine. L’inetto sveviano è colui che soffre del grigiore della quotidianità che lo opprime, ma è al contempo colui che si crogiola nella propria passività, rifugiandosi nella dimensione del sogno e della sterile fantasticheria anziché affrontare le responsabilità di una svolta nella propria piatta esistenza. Le aspirazioni devono restare tali, l’illusione e il desiderio non devono divenire realtà, in quanto tale cambiamento priverebbe i protagonisti di Svevo degli alibi con cui si proteggono attraverso tortuosi autoinganni.

 

Emblematica di tale fuga da una pienezza che non deve essere raggiunta è la fuga di Alfonso Nitti, protagonista di Una vita, dalla donna amata, Annetta: egli si distacca da lei dopo averla sedotta, perdendo così l’agognata possibilità di realizzazione sentimentale, professionale e sociale rappresentata dal matrimonio con la figlia del proprio capo. Alfonso preferisce “guardarsi vivere” e si allontana dalla donna con il pretesto di dovere curare la madre malata. La malattia diviene così proiezione dell’inettitudine e costituisce un altro dei temi fondanti la poetica sveviana. La menzogna del protagonista si traduce paradossalmente in realtà e l’anziana muore davvero, lasciando il giovane solo nella sconfitta da lui stesso decretata: Annetta si è nel frattempo fidanzata con il cugino Macario e Alfonso, di fronte a un duello con il fratello di lei e la conseguente necessità di affrontare la realtà, preferisce difendere tragicamente la propria dimensione di sogno con il suicidio.

 

L’inettitudine è motivo chiave anche nel secondo romanzo del narratore, Senilità, in cui Emilio Brentani subisce lo scacco della propria debolezza interiore nell’incapacità di vivere con distacco e spregiudicatezza un’avventura amorosa da cui è invece sopraffatto. La condizione senile del protagonista è unicamente spirituale ed è metafora della sua inerzia e impossibilità di vivere la pienezza sentimentale e vitale rappresentata dal polo opposto della gioventù. Torna il meccanismo dell’autoinganno (in particolare nel patetico illudersi dell’onestà di Angiolina) e torna la malattia: l’amico Balli non è soltanto l’inimitabile contraltare di Emilio, ma sarà anche causa della malattia di sua sorella Amalia, che morirà consumata dall’impossibilità del suo amore per lo scultore. Il romanzo si conclude in questo caso non con la morte del protagonista, ma con la duplicazione della sconfitta nella figura di sua sorella, che soccombe nello scontro fra la realtà e il proprio inganno d’amore.

 

Con La coscienza di Zeno, l’inettitudine si arricchisce dell’aspetto della consapevolezza: benché altrettanto prigioniero della propria debolezza e delle proprie contraddizioni, Zeno Cosini è conscio degli autoinganni da lui messi in atto. La malattia assume in questo caso due diverse valenze: essa corrisponde a un male fisico (nel caso del padre di Zeno e di Ada), ma più sottilmente anche a un male morale, di cui il protagonista si crede affetto e che assume natura psico – somatica nel vizio del fumo e nella zoppaggine che colpisce improvvisamente il giovane. La malattia è dunque afflizione dell’anima, inquietudine e turbamento, e segna la demarcazione fra il protagonista e i “sani”, di cui è emblema la moglie Augusta. Nel capitolo in cui analizza la salute di quest’ultima, tuttavia, Zeno – Svevo giunge alla conclusione che tale condizione è in realtà anch’essa malattia, in quanto dietro alle illusorie certezze dei valori borghesi si cela una cecità che maschera l’angoscia dietro alla banalità e all’insulsaggine.

Il romanzo è scritto sotto forma di diario, stilato dal protagonista (ormai vecchio - la senilità è dunque divenuta condizione materiale) nell’ambito di una terapia psicanalitica. Tale procedimento è tuttavia interrotto da Zeno stesso, che dapprima si sente guarito dal successo negli affari e che approda infine alla constatazione che non esiste alcuno spiraglio di guarigione dalla malattia psicologica e morale che affligge l’uomo: essa è condizione comune e inalienabile dell’umanità intera e solo un’inaudita catastrofe che cancellasse definitivamente gli uomini dall’universo potrebbe eliminarla. Alla tragicità titanica di Alfonso e alla lucida razionalità di Emilio si è dunque sostituita la volontà di autoanalisi, nel tentativo di superare la propria inettitudine attraverso un esame dei meandri del proprio inconscio. La coscienza non costituisce tuttavia una fonte di salvezza: Zeno non riuscirà a vincere i propri limiti, ma il suo disincanto gli permetterà di approdare ad un’inettitudine scissa dalla drammaticità e contrassegnata invece dall’ironia.

 

 Parole-chiave

  

-         noia: dimensione fondamentale dell’inetto, appiattito dal grigiore quotidiano ma incapace di affrancarsi dall’apatia e di riscattarsi dalla debolezza con scelte consapevoli.

 

 Poi nella mia stanzetta magnificamente organizzata venne talvolta la noia. Era piuttosto un’ansia perché proprio allora mi pareva di sentirmi la forza di lavorare, ma stavo aspettando che la vita m’avesse imposto qualche compito. Nell’attesa uscivo frequentemente e passavo molte ore al Tergesteo in qualche caffè.

da La coscienza di Zeno, cap. 6

 

-         fantasia: il rifugio nel sogno e nella fantasticheria è la sola arma, accanto all’autoinganno, a cui l’inetto ricorre nel suo esasperato tentativo di evitare il confronto con la realtà.

 

[…] egli cercava di annullare il suo malessere spingendo la sua fantasia a deviare dalla realtà […]

da Una vita, cap.12

 

-         sigaretta: il vizio del fumo è manifestazione psicosomatica dell’inettitudine di Zeno Cosini, in quanto emblema della sua debolezza e della sua irresolutezza. L’ossessivo ripetersi del rituale dell’ “ultima sigaretta” scandisce diverse tappe della vita del protagonista e rappresenta l’inesausto ripetersi dei fallimenti della sua volontà.

 

  Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo. Le mie giornate finirono con l’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più […]

Da La Coscienza di Zeno, cap. 3

 

-         malattia/salute: la malattia è per Svevo traduzione fisica della debolezza dell’animo e del fallimento, ma è al contempo malessere psicologico. Il tormento e l’inquietudine di Zeno lo rendono apparentemente estraneo alla sanità dell’universo borghese che lo circonda e di cui fa pienamente parte la moglie Augusta. Tale condizione di appagante serenità è tuttavia soltanto illusoria, poiché non libera l’uomo dal peso delle contraddizioni interiori e dei dubbi costitutivi della sua natura, ma si limita a nascondere la condanna umana all’infelicità dietro vane certezze.

 

Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d’istruzione per guarire.

da La coscienza di Zeno, cap. 6

 

-         psicanalisi: l’apporto degli studi freudiani e la dimensione dell’inconscio sono centrali ne La Coscienza di Zeno. La terapia picanalitica si rivela tuttavia utile soltanto per acquisire maggiore consapevolezza dei limiti propri dell’uomo e non per guarire dall’inettitudine. L’umanità intera è malata e corrotta dalla sua stessa natura, e la conclusione del romanzo è l’amara e provocatoria constatazione che soltanto una catastrofe potrebbe eliminare, con la distruzione totale della stirpe umana, la malattia.

 

  Qualunque sforzo di darci la salute è vano. […] Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. […] Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati […] Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.

da La coscienza di Zeno, cap. 8

 

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