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Dal vedutismo settecentesco alle immagini romane di Camille Corot

● Il mito di Roma e la vasta committenza per il nuovo genere delle vedute

Soggetto della pittura di vedute è la rappresentazione di prospettive e complessi monumentali e architettonici della città. A Roma questo genere pittorico ebbe largo sviluppo già nel corso del Seicento anche per effetto della committenza papale che ordinava affreschi e dipinti che illustrassero la gloria della città e le sue magnificenze artistiche. Ma il genere aveva ricevuto avvio fin dalla fine del XVI secolo per opera dei numerosi artisti nordici, olandesi e fiamminghi, che si erano stabiliti a Roma e dipingevano vedute della città, dei suoi monumenti e dei suoi dintorni. Fra Roma e Napoli erano attivi Viviano Codazzi e Michelangelo Cerquozzi; entrambi dipingevano vedute realistiche, che rivelano un interesse quasi documentario per alcuni aspetti della realtà urbana contemporanea; ma nella loro produzione predominano i dipinti con ruderi e antichità che fungevano da richiamo poetico per gli aristocratici committenti, nutriti di studi classici ed eruditi.
Nella tela che raffigura una Galleria immaginaria con le vedute di Roma antica ( 1756 ) Giovanni Paolo Pannini  raffigura per l'ambasciatore francese a Roma un'immaginaria collezione di vedute e di sculture antiche e moderne della città.

Non solo per chi da Roma traeva stimoli tanto i profondi e determinanti per il proprio operare, ma per le svariate categorie di viaggiatori era un desiderio vivissimo portare con sé al ritorno dal viaggio  immagini e oggetti che ricordassero l'esperienza vissuta nella città. Il «museo di Roma» di cui parla l'intellettuale francese Quatremère de Quincy  - composto a «di statue, di colossi, di templi, di obelischi, di colonne ne trionfali, di terme, di circhi, di anfiteatri, di archi e di trionfo, di tombe, di stucchi, di affreschi, di bassorilievi» ma anche «di luoghi, di paesaggi..., di strade, ;. di vie antiche..., di memorie, di tradizioni locali, di  usanze ancora in vita» - alimentava una produzione intensissima di dipinti, stampe, disegni di vedute della città, dei suoi monumenti e delle opere più famose.
Lo smercio dell'immagine di Roma — a livelli superiori a ogni altra città -  abbinato alla vendita di calchi, copie e falsi di pezzi antichi e moderni prodotti a getto continuo da botteghe specializzate costituiva un'attività commerciale sempre più rilevante e redditizia. Ogni amateur avrebbe voluto possedere una «galleria immaginaria» di memorie romane del tipo di quelle dipinte da Pannini per l'ambasciatore di Francia.
 

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Giovanni Paolo Pannini ( 1691-1765 ), Galleria immaginaria con le vedute di Roma antica, 1756
 

Uguale successo arrideva a interpretazioni dell'immagine di Roma tanto diverse come quella insieme lucidissima e drammatica di Piranesi ( Il Colosseo , 1761 ) e quella affabile e popolaresca proposta da Bartolomeo Pinelli ( Il Ciarlatano in Piazza. 1801 ). Nelle raccolte di stampe di quest'ultimo, dedicate a una Roma «minore», ove l'antico si mescola al pittoresco delle feste, dei mestieri, dei costumi popolari, prende vita quell'immagine colorita e chiassosa di una Roma grande e miserabile che avrà grande fortuna lungo l'Ottocento fino all'estrema banalizzazione della cartolina illustrata o di una certa cinematografia di «costume»

( da E. Bairati, A. Finocchi, L'arte in Italia, Vol 3, Loescher, 1985, p 271 )


G.B. Piranesi, Colosseo, 1761


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B. Pinelli, Il Ciarlatano in Piazza, 1801 ?
 


Perdura del resto ancora nel corso del Settecento il gusto arcadico e tardo secentesco per le rappresentazioni della città legata a reperti del suo passato ( quadri di rovine e capricci di rovine ), rappresentazioni dal valore quasi metafisico, dove il rudere assumeva un valore simbolico di caducità, legato al ricordo nostalgico di un tempo irrecuperabile nel presente.  

Solo dopo la metà del secolo muta l'atteggiamento del committente, più interessato alla realtà attuale e ai molteplici aspetti della scena urbana. Questo mutamento di gusto e interesse coincise con l'arrivo a Roma, nel 1775, dell'olandese Gaspard van Wittel che si dedicò alla veduta realistica, ritraendo fedelmente grandi squarci della città, del Tevere e dei borghi di Roma. La diffusione in Italia della veduta realistica è legata alle tappe del soggiorno italiano di van Wittel.  

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Gaspard van Wittel, Colosseo e foro romano, 1750 ca.
 

  • "Questo sole diffonde una luce disperante per me; sento tutta l'impotenza della mia tavolozza".
    Le immagini romane di Camille Corot

Mentre per i predecessori di Corot, per esempio Poussin, l'Italia e Roma in particolare, significavano "classicismo" e il paesaggio diventava "eroico", per Corot l'Italia significa sole e, per conseguenza, luce che diventa colore "Questo sole diffonde una luce disperante per me; sento tutta l'impotenza della mia tavolozza", scrive rendendosi conto del valore della luce come mezzo per costruire, con il colore, l'immagine stessa. Nascono, fin dal suo primo soggiorno italiano (1825-1828) tanti capolavori ispirati a Roma e alle zone circostanti, per i quali si potrebbe parlare di una sorta di realismo per la vita che il pittore sa imprimere al reale. Non si tratta di memoria dell'antico, stimolante per i suoi contenuti culturali, quanto di emozione per un vedutismo nuovo di carattere atmosferico e attraversato da un intenso colorismo.
 


C. Corot, Il foro visto dai giardini Farnese, 1826




C. Corot, Vista di Roma di fronte al tevere, 1826

 


C. Corot, Il Colosseo visto dai giardini Farnese del Palatino, 1826
 

J. Turner, S.Pietro, 1819
 



C. Corot, Roma: La chiesa di Trinità dei Monti vista dalla valle di Trinità dei Monti
 

C. Corot, Studio del Colosseo romano


C. Corot, Il Colosseo visto attraverso gli archi della
basilica di Costantino, 1825
 

C. Corot, Roma: La chiesa di Trinità dei Monti vista dall'Accademia francese, 1826-28
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