Aspettando Godot ( 1953 )
Proprio da quel lontano ’53 i due vagabondi
Didì e
Gogò
sono diventati l’emblema della
condizione dell’uomo del Novecento, essere in eterna attesa, vagante verso
la morte, punto minuscolo nella
vastità di un cosmo ostile, contrassegnato già dalla nascita.
Il testo di Beckett (1906-1989) ha fortemente segnato il teatro del secondo
dopoguerra in una dimensione che trascende il dato personale per sciogliersi
nell’anonimato con la sua attesa di
qualcosa che non si sa, di qualcuno che non viene, con il suo tempo
dilatato, le sue pause, la dialettica fra i personaggi spinta all’estremo,
il finale aperto che suggerisce un’eterna, tormentata ripetitività.
Sul piano del
divertimento
si tratta di un vero gioiello, magistralmente congegnato, che sfrutta a
fondo tutte le risorse e le combinazioni di questo "genere" teatrale, dal
qui pro quo
al doppio senso,
dal gag farsesco alla
parolaccia di gergo,
una commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno
all'assenza del personaggio.
I fatti sono questi: due
mendicanti, Vladimiro
ed Estragone,
aspettano in aperta campagna un certo Godot, dal quale sperano ottenere una
vaga sistemazione. I due
non solo non hanno mai visto Godot, e non sono sicuri né del luogo né del
giorno dell'appuntamento.
Dopo una lunga attesa arriva Pozzo, che porta al guinzaglio il suo servitore
Lucky. Pozzo s'intrattiene per qualche tempo coi due mendicanti e riparte.
L'attesa continua fino all'arrivo di un ragazzo con un messaggio di Godot:
Godot non verrà più
stasera, ma certamente domani.
Si è parlato a proposito di
Godot di Chaplin:
non solo per certe coincidenze esteriori che colpiscono (le bombette di
Vladimiro ed Estragone, le scarpacce vecchie, le pantomime, le mossette
ecc.), ma soprattutto per quella che si potrebbe definire un'affinità di
metodo: Charlot è sempre
sfasato rispetto alla realtà che lo circonda. Il traguardo di Beckett è, a
differenza di Chaplin, metafisico,
ma l'urto comico è lo stesso.
Va da sé che un procedimento del genere farebbe di Aspettando Godot
una semplice farsa se Vladimiro ed Estragone non avessero personalità e
umanità da vendere. Il loro candore, le loro incongruenze, l'evidente
inutilità della loro attesa, il loro aplomb perfetto, cui segue un panico
ingiustificato o un febbrile entusiasmo, il curioso rapporto, da vecchie
zitelle, che li lega, misto di affetto, di insofferenza, di abitudine, le
loro smanie e i loro rimpianti, tutto concorre a renderceli non solo vivi e
simpatici, ma comprensibili di primo acchito. Sicché anche lo spettatore più
guardingo non ha difficoltà ad accettarli. Ciò che ha permesso a Beckett di
raggiungere un pubblico più vasto è che "Aspettando Godot"
fa spesso ridere. Non ridere
verde, e nemmeno ridere per mostrare che si è capito, ma ridere di cuore,
conquistati, liberamente."
(Brani tratti dalla prefazione di Carlo Fruttero alla sua traduzione di
Aspettando Godot - Edizione Einaudi)
|
Un
dialogo tra Pozzo ed Estragone
Pozzo - Tornerei a sedermi volentieri, ma non so bene come fare
Estragone - Posso aiutarla?
Pozzo - Forse se lei provasse a chiedermelo...
Estragone - Cosa?
Pozzo - Se lei mi chiedesse di sedermi di nuovo.
Estragone - E questo servirebbe?
Pozzo - Credo di sì
Estragone - Forza allora. Perché non si risiede, signore, la prego.
Pozzo - No, no, non è il caso. ( pausa sottovoce ) Insista un
poco
Estragone - Ma via, non se ne resti così su due piedi, prenderà freddo.
Pozzo - Lei crede?
Estragone - Non c'è il minimo dubbio.
Pozzo - Lei ha tutte le ragioni. ( Si risiede ) Grazie,
carissimo
|
La conversazione ha un carattere artificioso: infatti essa non riproduce la
libera comunicazione tra persone ma la sottopone ad una selezione funzionale
alla strategia dell'opera, delegando ai personaggi la voce, ma
non la
responsabilità organizzativa dei pensieri e e del discorso, come invece
avveniva dalla più antica tradizione teatrale.
Qui invece gli
interlocutori si assegnano ruoli prestabiliti,
facendo cadere la
possibile realizzazione di relazioni mutevoli tra di loro, ed esibendo
invece gli accordi convenzionali in base ai quali procede il loro
conversare.
Il dialogo
perde la sua struttura libera e dinamica, diviene opaco, straniato: gli
interlocutori si comportano come
attori
che coscienziosamente ribadiscono e rappresentano la loro parte. Il tutto ha
l'aspetto
comico
( nel senso di straniante ) di un
discorso autocosciente da parte
dell'autore, divertita allusione ai meccanismi strutturanti del codice
teatrale.
Questa comicità -
nata
dallo di scarto improvviso rispetto alle aspettative del pubblico circa gli
effetti di una più libera comunicazione, con il blocco assoluto di ogni
congettura sui significati dei rapporti tra le persone -
aggredisce in modo devastante la
concezione della personalità. Emerge una troppo evidente analogia tra la
conversazione teatrale e quella reale, accentuando così implicitamente il
carattere simulato e vuoto della comunicazione tra le persone.
|