Samuel Beckett - Il dialogo reso opaco e comicamente spersonalizzante del teatro dell'assurdo - Aspettando Godot

Aspettando Godot ( 1953 )

Proprio da quel lontano ’53 i due vagabondi Didì e Gogò sono diventati l’emblema della condizione dell’uomo del Novecento, essere in eterna attesa, vagante verso la morte, punto minuscolo nella vastità di un cosmo ostile, contrassegnato già dalla nascita.
Il testo di Beckett (1906-1989) ha fortemente segnato il teatro del secondo dopoguerra in una dimensione che trascende il dato personale per sciogliersi nell’
anonimato con la sua attesa di qualcosa che non si sa, di qualcuno che non viene, con il suo tempo dilatato, le sue pause, la dialettica fra i personaggi spinta all’estremo, il finale aperto che suggerisce un’eterna, tormentata ripetitività.

Sul piano del divertimento si tratta di un vero gioiello, magistralmente congegnato, che sfrutta a fondo tutte le risorse e le combinazioni di questo "genere" teatrale, dal qui pro quo al doppio senso, dal gag farsesco alla parolaccia di gergo, una commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno all'assenza del personaggio. 

 I fatti sono questi: due mendicanti, Vladimiro ed Estragone, aspettano in aperta campagna un certo Godot, dal quale sperano ottenere una vaga sistemazione. I due non solo non hanno mai visto Godot, e non sono sicuri né del luogo né del giorno dell'appuntamento. Dopo una lunga attesa arriva Pozzo, che porta al guinzaglio il suo servitore Lucky. Pozzo s'intrattiene per qualche tempo coi due mendicanti e riparte. L'attesa continua fino all'arrivo di un ragazzo con un messaggio di Godot:  Godot non verrà più stasera, ma certamente domani. 

Si è parlato a proposito di Godot di Chaplin: non solo per certe coincidenze esteriori che colpiscono (le bombette di Vladimiro ed Estragone, le scarpacce vecchie, le pantomime, le mossette ecc.), ma soprattutto per quella che si potrebbe definire un'affinità di metodo: Charlot è sempre sfasato rispetto alla realtà che lo circonda. Il traguardo di Beckett è, a differenza di Chaplin, metafisico, ma l'urto comico è lo stesso. 

Va da sé che un procedimento del genere farebbe di Aspettando Godot una semplice farsa se Vladimiro ed Estragone non avessero personalità e umanità da vendere. Il loro candore, le loro incongruenze, l'evidente inutilità della loro attesa, il loro aplomb perfetto, cui segue un panico ingiustificato o un febbrile entusiasmo, il curioso rapporto, da vecchie zitelle, che li lega, misto di affetto, di insofferenza, di abitudine, le loro smanie e i loro rimpianti, tutto concorre a renderceli non solo vivi e simpatici, ma comprensibili di primo acchito. Sicché anche lo spettatore più guardingo non ha difficoltà ad accettarli. Ciò che ha permesso a Beckett di raggiungere un pubblico più vasto è che "Aspettando Godot"
fa spesso ridere. Non ridere verde, e nemmeno ridere per mostrare che si è capito, ma ridere di cuore, conquistati, liberamente."

(Brani tratti dalla prefazione di Carlo Fruttero alla sua traduzione di Aspettando Godot - Edizione Einaudi)
 


Un dialogo tra Pozzo ed Estragone

Pozzo - Tornerei a sedermi volentieri, ma non so bene come fare
Estragone - Posso aiutarla?
Pozzo - Forse se lei provasse a chiedermelo...
Estragone - Cosa?
Pozzo - Se lei mi chiedesse di sedermi di nuovo.
Estragone - E questo servirebbe?
Pozzo - Credo di sì
Estragone - Forza allora. Perché non si risiede, signore, la prego.
Pozzo - No, no, non è il caso. (
pausa sottovoce ) Insista un poco
Estragone - Ma via, non se ne resti così su due piedi, prenderà freddo.
Pozzo - Lei crede?
Estragone - Non c'è il minimo dubbio.
Pozzo - Lei ha tutte le ragioni. (
Si risiede ) Grazie, carissimo
 


La conversazione ha un carattere artificioso: infatti essa non riproduce la libera comunicazione tra persone ma la sottopone ad una selezione funzionale alla strategia dell'opera, delegando ai personaggi la voce, ma non la responsabilità organizzativa dei pensieri e e del discorso, come invece avveniva dalla più antica tradizione teatrale.

Qui invece
gli interlocutori si assegnano ruoli prestabiliti, facendo cadere la possibile realizzazione di relazioni mutevoli tra di loro, ed esibendo invece gli accordi convenzionali in base ai quali procede il loro conversare. Il dialogo perde la sua struttura libera e dinamica, diviene opaco, straniato: gli interlocutori si comportano come attori che coscienziosamente ribadiscono e rappresentano la loro parte. Il tutto ha l'aspetto comico ( nel senso di straniante ) di un discorso autocosciente da parte dell'autore, divertita allusione ai meccanismi strutturanti del codice teatrale.

Questa comicità
- nata dallo di scarto improvviso rispetto alle aspettative del pubblico circa gli effetti di una più libera comunicazione, con il blocco assoluto di ogni congettura sui significati dei rapporti  tra le persone - aggredisce in modo devastante la concezione della personalità. Emerge una troppo evidente analogia tra la conversazione teatrale e quella reale, accentuando così implicitamente il carattere simulato e vuoto della comunicazione tra le persone.
 

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