F. T. Marinetti
- L’analogia
non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti
apparentemente diverse ed ostili
Il Manifesto tecnico della letteratura futurista
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Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento
metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse: 2. Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce. 3. Si deve abolire l’aggettivo perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è incompatibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.
4. Si deve abolire l’avverbio,
vecchia fibbia che tiene unite l’una
all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di
tono.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del
mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l’uomo.
Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio
ancora, bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso evoca,
dando l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale.
6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli
avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella
continuità varia di uno stile vivo, che si crea da sé, senza le soste
assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare
le loro direzioni, s’impiegheranno i segni della matematica: +--x: = > <, e
i segni musicali. 7. Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press’a poco, a una specie di fotografia. Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante, a una piccola macchina Morse. Io lo paragono, invece, a un’acqua ribollente. V’è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi. L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. Quando, nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un’orchestra, una mitragliatrice a una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio di battaglia africana. Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto d’immagini nuove, senza di che non è altro che anemia e clorosi. Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione. Bisogna - dicono - risparmiare la meraviglia del lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale corrosione del tempo, che distrugge non solo il valore espressivo di un capolavoro, ma anche la sua forza di stupefazione. Le nostre orecchie troppe volte entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna dunque abolire nella lingua ciò che essa contiene in fatto d’immagini stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto. 8. Non vi sono categorie d’immagini, nobili o grossolane, eleganti o volgari, eccentriche o naturali. L’intuizione che le percepisce non ha né preferenze né partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di tutta la materia e della sua intensa vita. 9. Per dare i movimenti successivi d’un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale. Ecco un esempio espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e appesantite dalla sintassi tradizionale. «Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al volante di un’invisibile centocavalli, che rugge con scoppî d’impazienza. Oh! certo, fra poco balzerete nel circuito della morte, verso il capitombolo fracassante o la vittoria!... Volete che io vi faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta, signora... Voi somigliate, per me, a un tribuno proteso, la cui lingua eloquente, instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio, commossi... Siete in questo momento, un trapano onnipotente, che fora in tondo il cranio troppo duro di questa notte ostinata... Siete, anche, un laminatoio, un tornio elettrico, e che altro? Un gran cannello ossidrico che brucia, cesella e fonde a poco a poco le punte metalliche delle ultime stelle!...» (Battaglia di Tripoli.)
In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due, come le palle
incatenate, che schiantano, nel loro volo tutto un gruppo d’alberi.
«Tutta l’acre dolcezza della gioventù scomparsa gli saliva su per la
gola, come dai cortili delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli
verso i vecchi maestri affacciati al parapetto delle terrazze da cui si
vedono fuggire sul mare i bastimenti...».
10. Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto
dell’intelligenza cauta e guardinga, bisogna
orchestrare le immagini
disponendole secondo un maximum di disordine.
Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la
respirazione, la sensibilità e gl’istinti dei metalli, delle pietre, del
legno, ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con
l’ossessione lirica della materia. Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di coesione e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia umanizzata. È la solidità di una lastra d’acciaio, che c’interessa per se stessa cioè l’alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più appassionante, per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale
istintivo del quale conosceremo l’istinto generale allorché avremo
conosciuti gl’istinti delle diverse forze che lo compongono.
Bisogna inoltre rendere il peso (facoltà di volo) e l’odore (facoltà di
sparpagliamento) degli oggetti, cosa che si trascurò di fare, finora, in
letteratura. Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che
percepisce un cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
L’uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore
vecchio la materia, che possiede un’ammirabile continuità di slancio verso
un maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di se
stessa. La materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il
coraggio, la volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta
divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante,
ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto
intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà
penetrare l’essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la
separa da noi.
Il periodo latino che ci ha servito finora era un gesto pretenzioso col
quale l’intelligenza tracotante e miope si sforzava di domare la vita
multiforme e misteriosa della materia. Il periodo latino era dunque nato
morto.
Voi tutti che mi avere amato e seguìto fin qui, poeti futuristi, foste
come me frenetici costruttori d’immagini e coraggiosi esploratori di
analogie. Ma le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo
appesantite dal piombo della logica. Io vi consiglio di alleggerirle, perché
il vostro gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un
oceano più vasto.
Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo l’immaginazione senza fili.
Giungeremo un giorno ad un’arte ancor più essenziale, quando oseremo
sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più
altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per
questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi
ne abbiamo fatto a meno, d’altronde, quando esprimevamo frammenti della
sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti
per informare le folle del colore, della musicalità, della plastica e
dell’architettura dell’universo. La sintassi era una specie d’interprete o
di cicerone monotono. Bisogna sopprimere questo intermediario, perché la
letteratura entri direttamente nell’universo e faccia corpo con esso.
Perché servirsi ancora di quattro ruote esasperate che s’annoiano, dal
momento che possiamo staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali
spiegate dell’immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un
solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la
sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze
tranquillizzanti!». Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo,
invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta
che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e
uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di queste arie da grandi
sacerdoti, nell’ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare
dell’Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera intuizione. Dopo
il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c’è, in questo, niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha
raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze
analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria
sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L’arte è un bisogno
di distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che
inonda il mondo. I microbi — non lo dimenticate — sono necessari alla salute
dello stomaco e dell’intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria
alla vitalità dell’arte, questo prolungamento della foresta delle nostre
vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del
tempo.
Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei,
per prepararvi a odiare l’intelligenza, ridestando in voi la divina
intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione,
vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne
umana dal metallo dei motori. Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica.
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