T. St. Eliot ed il correlativo oggettivo


Thomas Stearns Eliot
nasce a St. Louìs (Missouri) nel 1888. Studia filosofia all'università di Harvard e si applica alla lettura di poeti antichi. Nel 1914 si trasferisce in Francia per motivi di studio e quindi in Inghilterra dove poi risiederà stabilmente, lavorando per qualche tempo (fino al 1925) come impiegato di banca. Conosce Ezra Pound, che esercita un notevole influsso, anche come consigliere, nella sua elaborazione poetica: grazie a Pound pubblica nel 1917 Prufrock e altre osservazioni. In seguito pubblica Poesie (1920), La Terra desolata (1922), Gli uomini vuoti (1925). Comincia anche una produzione di saggistica letteraria di notevolissima importanza. Nel 1927 si converte al cristianesimo (di confessione anglicana) e ottiene la cittadinanza inglese. Lavora come dirigente di una casa editrice londinese. Pubblica quindi, fra l'altro, il poemetto Mercoledì delle ceneri (1927-1930) e il dramma Assassinio nella cattedrale (1935). Del 1943 sono le meditazioni in forma di poemetto dei Quattro quartetti. Nel 1948 ottiene il Premio Nobel per la letteratura. Muore a Londra nel 1965.
 

Prufrock e altre osservazioni

Con Prufrock e altre osservazioni (1917), Poesie (1920), La Terra desolata (1922), e più tardi con Mercoledì delle cenerí (1930) e Quattro quartetti (1943), TS. Eliot si impone come il maggior lirico di lingua inglese della generazione successiva a quella di Yeats; ha esercitato un influsso notevole sulla lirica italiana e soprattutto su Montale.
La sua opera delinea un itinerario che va dalla rappresentazione della desolazione dell'uomo e del mondo moderni, crudamente e oggettivamente còlta nello squallore di personaggi, ambienti e destini (è la `fase infernale", che testimoniamo con Rapsodia su una notte di vento), ad una lenta, progressiva apertura alla speranza nella possibilità di un riscatto, che sul piano biografico culmina con la conversione al cristianesimo (è la "fase purgatoriale", che testimoniamo, al suo primitivo sorgere, con Gerontion).

La fase infernale. La prima fase della poesia di Eliot può essere letta come una discesa agli inferi, una fase cioè di conoscenza e rappresentazione del negativo del mondo e dell'uomo moderno, senza luce alcuna di speranza. In questo quadro Rapsodia rappresenta, col suo motivo della passeggiata notturna, un micro-viaggio nell'abisso, una rapida discesa agli inferi della propria coscienza, che si apre su di un paesaggio urbano notturno e si chiude alla vigilia di un mattino che evoca una notte spirituale e morale più profonda ancora della notte naturale.
 

Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock (1917)

S'io credesse che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questa fondo
Non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
Senza tema d'infamia ti rispondo.

 

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d'ostriche;

Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l'insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono...
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.

La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,

Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d'ottobre
S'arricciolò attorno alla casa, e si assopì.

E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;

Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.

E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Posso osare? » e, « Posso osare? »
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -
(Diranno: « Come diventano radi i suoi capelli! »)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo -
(Diranno: « Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia! »)
Oserò Turbare l'universo?
In un attimo solo c'è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà

Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini? .
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte -
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E' il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?

. . . . . . . . . . . .

Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D'uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?...

Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi

. . . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata... stanca... o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e, i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po' a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta - e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l'eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D'affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l'universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » -
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? -
E' impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »

. . . . . . . . . . .


II correlativo oggettivo.

Eliot in questa e in altre opere adotta la celebre tecnica del "correlativo oggettivo": l'io empirico del poeta tende a scomparire dal testo, per lasciar posto a personaggi fittizi e oggetti, la cui natura costituisce un equivalente simbolico della condizione interiore del poeta, della sua concezione del mondo. Si parla di correlativo oggettivo e non di simbolismo tout court (anche se il correlativo oggettivo è una forma simbolica) proprio in quanto il procedimento implica una sostanziale assenza dell'io, un processo di oggettivazione (in cose e personaggi) potenzialmente narrativo; mentre il simbolismo più canonico mette direttamente in scena, in primo piano, l'io lacerato e tormentato del poeta, è cioè un discorso fortemente soggettivo, tipicamente lirico.

La fase purgatoriale. La seconda fase della poesia di Eliot si apre forse proprio con Gerontion, in cui la desolazione del mondo e dell'io moderno domina ancora, tant'è che il componimento si apre e si richiude su immagini di aridità, di mancanza di senso e di sconfitta. Ma in Gerontion compare per la prima volta la dimensione dell'attesa cosciente in un evento che possa significare nell'universo personale del protagonista un'ipotesi di riscatto. L'evento, già accaduto in un tempo remoto, è la discesa del Cristo. Ciò significa, per Gerontion, l'attesa di un segno del divino (o l'attesa di una fede autentica). Se l'evento non si verifica nel concreto del testo e tutto resta inalterato, significativa è però la stessa ipotesi che possa verificarsi nel poco di tempo che al vecchio ancora rimane da vivere. La sofferenza presente non è più totalmente "infernale" (cioè inalterabile, eterna, senza speranza), ma già allude a una condizione "purgatoriale" in cui la sofferenza ha un senso, perché prelude alla salvezza.

Eliot nella Terra desolata, l'opera sua più importante, si manterrà ancora in una dimensione di relativa incertezza (ma i segnali del possibile riscatto si fanno più evidenti); poi approderà, con la conversione all'anglicanesimo, a una poesia in cui la speranza diventa una certezza

tratto da http://digilander.libero.it/letteratura/Novecento/eliot.htm

Prima pagina - Percorso tematico