U. Foscolo, All'amica risanata
|

A. Canova, Danzatrice
|

A. Canova, Ebe dea della giovinezza |

A. Canova, Le Grazie |
Qual dagli
antri marini
L’astro più caro a venere
Co’ rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo viaggio
Orna col lume dell’eterno raggio; |
Così come dagli abissi marini
appare la stella cara a Venere
con i suoi raggi simili
a chiome stillanti di rugiada
tra le tenebre che fuggono
e adorna il suo percorso nel cielo
con il suo eterno raggio,
|
sorgon
così tue dive
membra dall’egro talamo,
e in te beltà rivive,
l’aurea beltate ond’ebbero
ristoro unico a’ mali
le nate a vaneggiar menti mortali.
Fiorir sul
caro viso
Veggo la rosa, tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidiando, e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti. |
le tue divine membra sorgono dal letto
dove giacesti malata,
e in te ritorna a vivere la bellezza,
la splendida bellezza
dalla quale le menti dei mortali, inclini per natura a perdersi in vane
follie,
ebbero l’unico conforto ai loro mali.
Vedo il
tuo viso tornare
a riprendere il colorito roseo della salute,
i tuoi occhi tornano ad illuminarsi
riacquistando il loro fascino sugli uomini;
e le madri trepidanti, insieme alle amanti
timorose di perdere i propri uomini,
tornano a restare nuovamente sveglie a piangere.
|
Le Ore che
dianzi meste
Ministre eran de’ farmaci,
oggi l’indica veste
e i monili cui gemmano
effigiati Dei
inclito studio di scalpelli achei,
e i
candidi coturni
e gli amuleti recano,
onde a’ cori notturni
te, Dea, mirando obliano
i garzoni le danze,te principio d’affanni e di speranze: |
Le ore della giornata che prima,
durante la malattia, ti somministravano tristi la medicina, oggi ti porgono
la veste di seta,
i monili adorni di cammei
su cui sono effigiate divinità classiche,
opera preziosa di artisti greci,
le bianche
scarpette da ballo
e altri ornamenti,
a causa dei quali nelle feste notturne
i giovani, contemplando te,
causa del loro affanno
e delle loro speranze di amore,
dimenticano le danze;
|
o quando
l’arpa adorni
e co’ novelli numeri
e coì’ molli contorni
delle forme che facile
bisso seconda, e intanto
fra il basso sospirar vola il tuo canto
più
periglioso, o quando
balli disegni, e l’agile
corpo all’aure fidando,
ignoti vezzi sfuggono
dai manti, e dal negletto
velo scomposto sul sommosso petto.
|
sia quando
suoni l’arpa con nuove armonie
e con il morbido contorno delle tue forme
che il bisso aderente asseconda,
e nel frattempo il tuo canto
si eleva più pericoloso
tra il sommesso sospirare dei giovani presenti;
( Più
pericoloso )
anche quando danzi
disegnando figure con le tue membra,
e quando abbandoni all’aria il tuo agile corpo,
sfuggono dalla veste e dal velo scomposto
sul petto ansimante, bellezze nascoste.
|
All’agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
mal fide all’aureo pettine
e alla rosea ghirlanda
che or con l’alma salute Aprile ti manda.
Così
ancelle d’Amore
A te d’intorno volano
Invidiate l’Ore.
Meste le Grazie mirino
Chi beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.
Mortale
guidatrice
D’oceanine vergini,
la parrasia pendice
tenea la casta Artemide,
e fea terror di cervi
lunghi fischiar d’arco cidonio i nervi.
|
Mentre ti
muovi,
le trecce allentate cadono,
lucenti a causa degli unguenti spalmati di recente,
mal tenute dal pettine dorato
e dalla ghirlanda di rose
che aprile ti dona insieme alla salute che dà vita.
Così le
Ore, ancelle d’amore,
volano intorno a te
invidiate dai giovani che non possono averti.
E le Grazie guardino
con rimprovero chi ti ricorda
la fugacità della bellezza e della morte.
La pendice
del monte Parrasio
fu casa della pura Artemide,
donna mortale guidatrice
delle ninfe oceanine
che col suo arco cidonio
terrorizzava i cervi.
|
Lei
predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diana il mondo la chiama,
e le sacrò l’elisio
soglio, ed il certo telo,
e i monti, e il carro della luna in cielo.
Are così a
Bellona,
un tempo invitta amazzone,
die’ l vocale Elicona;
ella il cimiero e l’egida
or contro l’Anglia avara
e le cavalle e il furor prepara.
E quella a
cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simulacro,
che presiede marmoreo
gli arcani tuoi lari
ove a me sol sacerdotessa appari,
|
La fama la
proclamò
figlia di Giove;
impauriti gli umani la chiamano Diana,
e le consacrarono l’oltretomba,
le frecce infallibili,
i monti e il carro della luna in cielo.
Così a
Bellona,
un tempo amazzone invincibile,
il canto dei poeti consacrò altari;
ella ora prepara l’elmo,
lo scudo, i cavalli
e il furore contro l’avara Inghilterra.
E colei,
della quale ti vedo
cingere con il sacro mirto
devotamente la statua,
che domina marmorea
le tue stanze più interne
dove a me sola concedi il tuo amore,
|
regina fu,
Citera
e Cipro ove perpetua
odora primavera
regnò beata, e l’isole
che col selvoso dorso
rompono agli euri e al grande Ionio il corso.
Ebbi in
quel mar la culla,
ivi erra ignudo spirito
di Faon la fanciulla,
e se il notturno zeffiro
blando sui flutti spira,
suonano i liti un lamentar di lira:
ond’io,
pien del nativo
aer sacro, su l’itala
grave cetra derivo
per te le corde eolie,
e avrai divina i voti
fra gli inni delle insubri nipoti. |
fu regina
e regnò beata su Citera
e Cipro, dove eternamente
profuma la primavera,
e sulle isole Ionie,
che con i loro versanti montuosi
coperti di selve
rompono il corso alle onde e ai venti del mar Ionio.
Nacqui a
Zacinto, in quel mare
dove erra lo spirito
di Saffo, la fanciulla di Faone
e se lo zeffiro notturno
soffia dolcemente sulle acque marine,
le rive risuonano del lamento della sua lira:
per cui
io, ispirato dall’aria
della terra natale, sacra
( per il ricordo che essa conserva della civiltà greca ) traspongo la
musicalità della poesia eolica
nei metri più gravi della poesia italiana,
e sarai venerata e invocata
col canto dei miei inni dalle fanciulle lombarde
nei secoli futuri. |
Foscolo cominciò a scrivere quest'ode
nella primavera del 1802, l'ispiratrice è la contessa milanese
Antonietta
Fagnani Arese, che il poeta amò nell'estate del 1801 e allora
convalescente dopo una lunga e grave malattia. La guarigione della contessa
resta un semplice spunto, dato che il vero centro dell'ode è l'idea della
bellezza, la donna appare ricca di fascino sensuale e di seduzione,
questa bellezza femminile è capace di consolare l'uomo
dagli affanni della vita.
La bellezza in quanto estetica è però destinata a scomparire nel tempo,
pertanto l'altro tema importante dell'ode è quello della
poesia eternatrice della bellezza, contrapposta
alla morte. Tale ideale di bellezza eterna si incarna nella figura della
donna amata, ma si collega anche ai più alti dei valori umani, liberando
l'uomo dalla dolorosa sensazione della caducità della vita .
E' proprio la poesia che ha contribuito alla creazione
del culto immortale di Divinità, una volta ricordate come semplici donne.
Anche l' amata Antonietta Fagnani Arese, dopo aver riconquistato la
sua bellezza, sarà ricordata grazie al canto del poeta.
|