N. Ginzburg - La memoria ed il potere evocativo delle parole condivise - Lessico familiare ( 1963 )
Biografia di Natalia Ginzburg


Lessico familiare
è una delle opere più famose di Natalia Ginzburg. Con lo stile chiaro, scorrevole, quasi ingenuo che la contraddistingue, ci narra la storia della sua famiglia, con un'eccellente caratterizzazione dei personaggi che ruotano di volta in volta attorno alla vita della scrittrice (  familiari,  amici, conoscenti, personaggi della cultura torinese del tempo...).
Si percepisce una certo rapporto con la
"Recherche" di Proust: quest'opera viene sovente citata nel testo, ed è apprezzata dalla stessa scrittrice (che solo pochi anni prima della pubblicazione di questo romanzo stava appunto lavorando alla traduzione in italiano della "Recherche"); lo stile narrativo, incentrato su vicende familiari che delineano, a poco a poco, una veduta d'insieme della storia e delle vite narrate, ha qualche punto di contatto con l'opera dell'autore francese.
Il
linguaggio di Lessico familiare è apparentemente referenziale ma in realtà evocativo, allusivo, in grado di tratteggiare la realtà sia con quanto afferma esplicitamente che con quello che sottintende. Si fa riferimento soprattutto al valore del parlato come retroterra conoscitivo e di esperienze comuni.
Si distingue nell'opera una circolarità della vicenda, che
rimanda al comune lessico usato dai vari personaggi: espressioni, parole, modi di dire che periodicamente riappaiono nella narrazione, rievocando periodi storici differenti della famiglia. Un continuo gioco di richiami che diviene dapprima, autocitazione, poi, nuova trama e nuovi intenti narrativi.
La capacità di
riportare alla mente situazioni lontane nella dimensione temporale, giocando sul potere evocativo oltre che  referenziale delle parole è la caratteristica tematica particolare dell'opera.
 


Natalia Ginzburg


Il Po a Torino


"Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella nostra infanzia. Ci basta dire: "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido solfidrico", per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone.
Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiri-babilonesi, la testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo.

Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra, quando uno di noi dirà - egregio signor Lippman - e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: "Finitela con questa storia! L'ho sentita già tante di quelle volte!".
 

La memoria: unica forma di comunicazione?

 Il tema della memoria è quello che piú caratterizza la narrativa di Natalia Ginzburg. E Lessico famigliare coincide con il pieno recupero della memoria: è basato infatti sull'evocazione del passato, del passato di Natalia ma soprattutto di quello di tutte le persone (familiari, amici) che agiscono intorno alla scrittrice.
Esso è però
solo "in parte" il libro della sua infanzia e della sua giovinezza, perché chiunque di noi, pensando ad un avvenimento passato non lo ricorderà mai in tutte le sue sfaccettature, ma "solo in parte". Così Natalia non ricorda tutti i fatti che caratterizzano la sua vita.
Non è solo a questo, però, che la scrittrice si riferiva quando pronunciava quelle parole. Se infatti la
memoria può restituire il passato, essa però ne trattiene con sé un pezzo, e questo ci impedisce di assaporare quella felicità di possedere un'altra volta ciò per cui proviamo grande nostalgia.

I ricordi si presentano alla memoria attraverso le parole, parole e frasi che costituiscono un preciso gergo familiare, attraverso il quale vive il cuore del passato.

Cosí per la Ginzburg
il tempo passa e separa gli uomini i quali, però, sono indissolubilmente uniti dai ricordi. Forse è questa una possibile soluzione al dramma della solitudine? Forse è la memoria la sola forma di comunicazione a noi concessa? In effetti i libri della Ginzburg sono tutti pervasi di memorie lontane e vicine e della scrittura memoriale la Ginzburg si servì sempre per instaurare un rapporto tra lei e il mondo che le girava intorno.
Ritroviamo tutto questo nella sua vita: sin da piccola, sola e diversa dagli altri, Natalia inizia a scrivere per superare questa sua condizione di estraneità nei confronti sia del vicino ambiente familiare sia del mondo civile e sociale del suo tempo. Ella dunque trova nella scrittura non il modo per chiudersi in se stessa, ma un mezzo con cui scavare dentro di sé e dentro i suoi amici e parenti, per capirsi e per capirli e, in definitiva, per aprirsi al dialogo.

da http://www.clio.it/sr/ce/palmieri/annuario/nginzburg.html


Biografia di Natalia Ginzburg

Nasce il 14 luglio del 1916 a Palermo, da Giuseppe Levi e Lidia Tanzi. In quegli anni, il padre, triestino, insegnava anatomia comparata all’Università di Palermo; più tardi, divenne un biologo e un istologo di grande fama. La madre, lombarda, era figlia di Carlo Tanzi, avvocato socialista, amico di Turati. Figure di primo piano, nella famiglia, Eugenio Tanzi, psichiatra, zio della madre, il musicologo Silvio Tanzi, morto giovane, fratello della madre, e Cesare Levi, fratello del padre, critico teatrale e studioso.
Nel 1919 la Famiglia Levi si trasferisce a Torino. Natalia non frequenta le elementari; studia in casa.
Nel 1927 è iscritta al Liceo-Ginnasio Vittorio Alfieri. Nel 1935 consegue la maturità classica e si iscrive alla Facoltà di Lettere. Frequenta i corsi di Augusto Rostagni e Ferdinando Neri. Non si è mai laureata.
Scrive e pubblica i primi racconti su "Solaria", "Il Lavoro", "Letteratura" (1934-1937).
Nel 1938 sposa Leone Ginzburg. Nel 1940 segue il marito al confino in Abruzzo, a Pizzoli, un villaggio a quindici chilometri dall’Aquila, coi figli Carlo e Andrea. All’Aquila nasce la figlia Alessandra.
Nel 1942 pubblica, presso la casa editrice Einaudi, il suo primo romanzo, "La strada che va in città", con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte.
Nel 1943, il 26 luglio Leone Ginzburg lascia il confino, rientra a Torino e di lí passa a Roma, dove in settembre comincia la lotta clandestina. Il primo novembre, coi tre figli, Natalia raggiunge il marito a Roma, in un alloggio di fortuna in via XXI Aprile. Il 20 novembre Leone è arrestato dalla polizia italiana nella tipografia clandestina di via Basento. E’ trasferito nel braccio tedesco di Regina Coeli.
Il 5 febbraio del ’44 muore Leone Ginzburg nelle carceri di Regina Coeli. Dal giorno dell’arresto fino a quello della morte, Natalia non vide mai il marito.
Dopo una provvisoria sistemazione nel convento delle Orsoline al Nomentano, si trasferisce con i figli a Firenze, in casa della zia materna. Liberata Firenze, ritorna a Roma in ottobre. Prende alloggio in una pensione valdese a S. Maria Maggiore, poi in casa di un’amica, nel quartiere Prati. E’ assunta come redattrice dalla casa editrice Einaudi.
Nel 1945 ritorna a Torino, nella vecchia casa dei genitori in via Pallamaglio (oggi via Morgari). Continua a lavorare nella casa editrice Einaudi.
Nel 1947 pubblica il romanzo "E’ stato così".
Nel 1950 sposa Gabriele Baldini, professore incaricato di Letteratura inglese a Trieste; Natalia continua a vivere a Torino.
Si trasferisce a Roma con il marito, nel 1952. Qui pubblica il romanzo "Tutti i nostri ieri".
E’ a Londra, nel 1960, con il marito Baldini, chiamato a dirigere l’Istituto Italiano di cultura.
Nel 1961 pubblica "Le piccole virtù". Nel 1962 è la volta del romanzo breve "Le voci della sera". Ritorna con il marito a Roma e prende alloggio in piazza Campo Marzio.
Nel 1963 pubblica il romanzo autobiografico "Lessico famigliare".
Nel 1965 scrive la commedia "Ti ho sposato per allegria" per l’attrice Adriana Asti, che viene rappresentata con successo. Seguono nel 1968 le commedie "L’inserzione" e "La segretaria".
Nel 1969 muore a Roma il marito Gabriele Baldini.
Nel 1970 la Ginzburg pubblica la raccolta di saggi "Mai devi domandarmi".
Nel 1973 pubblica la raccolta di commedie "Paese di mare" e il romanzo, metà narrativo e metà epistolare, "Caro Michele" dal quale è stato tratto il film omonimo del regista Mario Monicelli (1976).
Nel 1974 pubblica la raccolta di saggi e di articoli "vita immaginaria".
Nel 1977 scrive, col titolo "Famiglia", due racconti lunghi, "Famiglia" e "Borghesia".
Nel 1983 pubblica la ricerca storico-epistolare "La Famiglia Manzoni". E’ eletta deputata alla Camera nel gruppo degli Indipendenti di sinistra.
Nel 1984 pubblica il romanzo epistolare "La città e la casa" e nel 1990 il saggio "Serena Cruz o la vera giustizia".
Nel 1991 muore nella sua casa di Roma durante la notte tra il 6 e il 7 ottobre.
La casa editrice Einaudi pubblica, nel 1999, il romanzo postumo "E’ difficile parlare di sé": testo integrale di una serie di conversazioni radiofoniche in cui la Ginzburg racconta la propria vita e la propria opera letteraria
 

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