P. Levi - La dinamica della memoria traumatica della segregazuine ad Auschwitz - I sommersi ed i salvati


«E’avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire».  Primo Levi torna sull'esperienza dei Lager nazisti per leggerla non come un fatto conchiuso, un evento imprevedibile e circoscritto, insomma un incidente della Storia, ma come una vicenda esemplare attraverso cui è possibile capire fin dove può giungere l'uomo nel ruolo dei carnefice e in quello della vittima.
Le domande cui Levi risponde investono frontalmente il nostro oggi e si propongono in tempi in cui la parabola nazista si va facendo sempre piú lontana e sfumata. Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario,e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo?  Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi?  Chi sono gli esseri che abitano la «zona grigia,> della collaborazione?  Come si costruisce un mostro?  Era possibile capire dall'interno la logica della macchina dello sterminio?  Era possibile ribellarsi ad essa? 
E ancora: come funziona la memoria di un'esperienza estrema?  Che cosa sapevano, o volevano sapere, i tedeschi?  Levi non si limita a chiarire gli aspetti dei fenomeno Lager che fino ad oggi restavano oscuri. 
Il suo è anche un libro «militante» che si batte contro ogni falsificazione e negazione della realtà, contro l'inquinamento dei senso etico e l'assuefazione a quella degradazione dell'umano che riempie le cronache di questi decenni. « I sommersi e i salvati » rappresenta un contributo importante alla fondazione di una nuova, vigile coscienza critica.

dalla presentazione all'edizione del testo I sommersi ed i salvati,  Einaudi del 1986
 

1 - La memoria dell'offesa

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. E' questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. Lo sanno bene i magistrati: non avviene quasi mai che due testimoni oculari dello stesso fatto lo descrivano allo stesso modo e con le stesse parole, anche se il fatto è recente, e se nessuno dei due ha un interesse personale a deformarlo. Questa scarsa affidabilità dei nostri ricordi sarà spiegata in modo soddisfacente quando sapremo in quale linguaggio, in quale alfabeto essi sono scritti, su quale materiale con quale penna; a tutt'oggi è questa una meta da cui siamo lontani. Si conoscono alcuni meccanismi che falsificano la memoria in condizioni particolari: i traumi, non solo quelli cerebrali; l'interferenza da parte di alcuni ricordi "concorrenziali"; stati abnormi della coscienza; repressioni; rimozioni.
Tuttavia anche in condizioni normali è all'opera una lenta degradazione, un offuscamento dei contorni, un oblio per così dire fisiologico, a cui pochi ricordi resistono. E' probabile che si possa riconoscerqui una delle grandi forze della natura, quella stessa che degrada l'ordine in disordine, la guiovinezza in vecchiaia e spegne la vita nella morte. E' certo che l'esercizio ( in questo caso la frequente rievocazione ) mantiene il ricordo fresco e vivo, allo stesso modo come si mantiene efficiente un muscolo che viene spesso esercitato; ma è anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall'esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese.
Intendo esaminare qui i ricordi di esperienze estreme, di offese subite o inflitte. In questo caso sono all'opera tutti o quasi i fattori che possono obliterare o deformare la registrazione mnemonica: il ricordo di un trauma, patito o inflitto, è esso stesso traumatico, perché richiamarlo duole o almeno disturba: chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per non rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il suo senso di colpa.
Qui, come in altri fenomeni, ci troviamo davanti ad una paradossale analogia tra vittima ed oppressore, e ci preme essere chiari: i due sono nella stessa trappola, ma è l'oppressore, e solo lui, che l'ha approntata e che l'ha fatta scattare, e se ne soffre, è giusto che ne soffra; ed è iniquo che ne soffra la vittima, come invece ne soffre, anche a distanza di decenni. Ancora una volta si deve constatare, con lutto, che l'offesa è insanabile; si protrae nel tempo, e le Erinni, a cui bisogna pur credere, non travagliano solo il tormentatore
( se pure lo travagliano, aiutate o no dalla punizione umana ), ma perpetuano l'opera di questo negando la pace al tormentato.....
 

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