Th. Mann - L'universo della malattia come metafora della crisi  e paralisi della volontà - La montagna incantata ( 1924 )

E. Munch - La danza della vita - 1899-1900


L'opera di Th. Mann affronta ripetutamente il tema della crisi di valori e di identità che la borghesia europea vive all'inizio del nuovo secolo, tanto che la guerra viene inizialmente ed erroneamente indicata come un'opportuna difesa della Kultur tedesca ( nei suoi connotati di anima, stabile forma, insieme unitario di valori disinteressati, concezione spirituale del mondo...) contro la dilagante Zivilisation alla maniera francese ( nelle sue accezioni di società di massa, cieca fiducia nel progresso, relativismo di valori morali,  illuminismo e benessere materiale ).

In realtà fin dal primo romanzo, i Buddenbrook ( in cui l'autore presenta la crisi di una famiglia di commercianti di grani di Lubecca ) emerge il suo conflitto col mondo borghese tardo-ottocentesco, che pure egli rappresenta in modo del tutto preciso e dettagliato. I Buddenbrook sono la storia di una decadenza, legata ai nuovi stili di vita di alcuni componenti dell'antica famiglia, tesi ad inseguire mete lontane e sempre meno concretamente legate all'attività commerciale. Tra queste  l’inquietudine dell’arte, la sensibilità raffinata, il continuo riaffiorare di problemi esistenziali... che portano al disfacimento di antichi valori borghesi, magari un po’ gretti, ma rassicuranti e solidi, quali il benessere, la ricchezza, l'unità famigliare. Il romanzo è liberamente ma chiaramente autobiografico: Mann continua ad avvertire inconsciamente il fascino della concretezza borghese, ma si lascia sempre più coinvolgere in una profonda ricerca  sul senso della vita, che lo spinge a speculazioni astratte, immergendosi in contesti culturali ed artistici ( filosofici, pittorici, musicali ) vicini al decadentismo estetizzante.
L'altro romanzo Morte a Venezia ( 1911 ) ha come soggetto appunto la deriva esistenziale dell'artista moderno.

Dove tuttavia emerge interamente il fascino, sottile ed ambiguo, di uno stile di vita distante dal coinvolgimento con la realtà è nella prova narrativa più matura di Mann: La montagna incantata, scritta nel 1924. L'ambientazione del romanzo nel sanatorio di Davos, circoscrive la vicenda ad un luogo chiuso e rarefatto, dove la malattia segna tutti i rapporti, spogliandoli di ogni materiale condizionamento. Mann, per meglio evidenziare la preziosa particolarità di questa condizione di isolamento, di fronte alla brutalità della realtà storica, fa concludere il romanzo con la morte in guerra del suo protagonista Hans Castrop, quasi stupito della cecità umana.

Il tema dell'inettitudine dei personaggi di Mann si ripropone - oggettivizzato dal topos convergente della malattia, quale male fisico e morale - sotto forma di molle inerzia argomentante, di abbandono al fascino dolente del sanatorio, dove le singole personalità si fronteggiano sulla base delle loro interpretazioni del vivere in scenari puramente virtuali.
Così il borghese Castrop, inizialmente ospite al sanatorio al seguito del cugino, finisce anch'egli per scoprirsi  malato di tisi, tanto da condividere senza difficoltà cure e stili mentali degli altri pazienti. La lunga discussione sul valore della musica, che lo contrappone all'illuminista Settembrini, ha il compito di ribadire appunto lo stile di queste conversazioni, volte ad approfondire - tra l'altro - la natura e la funzione delle arti, come espressioni indirette e fortemente decantate della vera vita con le sue intense sensazioni.
 



Thomas Mann
 



Klimt - L’interno del vecchio Burgtheater di Vienna, 1888
 

La montagna incantata ( 1924 )

Negli anni che precedono la grande guerra (1914-18) un giovane ingegnere amburghese, appena laureato, Hans Castorp, discendente da una vecchia famiglia patrizia, si reca nel sanatorio per tubercolotici di Davos, nel cantone dei Grigioni (Svizzera orientale), posto a 1500 metri di altitudine, per visitarvi un cugino lì ricoverato e riposarsi per qualche settimana dalle fatiche dello studio. L’ambiente sereno e accogliente, le persone che incontra, la seduzione di quella vita monotona eppur variatissima lo avvincono e lo inducono a rimanere. Le previste tre settimane diventano sette anni (ad un certo momento anch’egli si scopre attaccato dalla tisi) fino a che lo scoppio della guerra non lo ridesterà da quel sogno e lo ricondurrà nella “pianura”, nei campi di battaglia ad incontrarvi la morte. Lo vedremo nell’epilogo dell’opera scomparire in una mischia orrenda, canticchiando, per vincere la stanchezza e la paura, la canzone schubertiana del tiglio.

Nel sanatorio Castorp fa stimolanti conoscenze. Un intellettuale italiano, Settembrini, volteriano e illuminista democratico, fedele alle idee della Rivoluzione francese dell’’89 e al razionalismo liberale e individualista del XIX secolo, si scontra con Naphta, un ebreo galiziano finito nell’ordine dei Gesuiti, che si professa assolutista, antindividualista, paladino della dittatura e della Inquisizione. Tra gli ospiti di maggior rilievo v’è anche Peeperkorn, seguace della concezione irrazionale della vita tutta sensi e natura, mentre Madame Chauvat, di cui Castorp sarà preso, rivela una seducente e demoniaca femminilità. Si discute, si dibattono i più vari problemi, si confrontano le opposte idologie, senza peraltro approdare ad alcun risultato definitivo.

“Alla fine del libro non abbiamo abbracciato alcun valore univoco, ma i problemi morali e politici su cui è necessario decidersi sono formulati con la più estrema chiarezza” (Martini). “Il sanatorio di lusso di Davos”, scrive Mittner, “coi suoi malati viziosi e spesso immaginari, coi suoi ostinati e sterili ragionatori, è presentato come un’allegoria dell’Europa dell’alta borghesia e anche dell’Europa del decadentismo estetizzante, troppo ricca e molle per essere ancora vitale e già travagliata da tutte le febbri che l’avrebbero condotta alla sua inevitabile catastrofe”. Tutta l’Europa, negli anni che precedettero il secondo grande conflitto mondiale (gli anni della guerra civile di Spagna, 1936-39) si nutrì della problematica affascinante (e irresolubile) del romanzo.

 

Cap. IV - Politicamente sospetto

I cugini sedevano a un tavolinetto appartato dagli altri; Giovanni Castorp fumava e beveva la birra scura che aveva portato su dalla sala da pranzo; di tanto in tanto il suo sigaro gli dava qualche soddisfazione.  Leggermente intontito dalla birra e dalla musica, con la bocca semiaperta e la testa piegata da un lato, contemplava la vita gaia e scevra di preoccupazioni che si svolgeva intorno a lui; sapeva che tutta quella gente era affetta nel suo interno da una decadenza cui era difficile resistere e che i più si trovavano in un leggero stato di febbrilità, tuttavia ciò non lo disturbava affatto, anzi conferiva a tutto il complesso una maggiore singolarità, un certo fascino spirituale.         

Si bevevano  limpide limonate ai diversi tavoli e sulla scala si eseguivano fotografie. Altri si scambiavano   francobolli e la signorina greca dai capelli rossi faceva a matita sopra un taccuino il ritratto del signor Rasmussen, ma poi si rifiutava di mostrargli il disegno, anzi continuava a voltarsi rapidamente ora qua ora là con i suoi denti larghi e radi, così che il giovane non riusciva a strapparle il taccuino. Erminia Kleefeld stava seduta sul suo gradino a occhi semichiusi e batteva il tempo con un giornale arrotolato, il signor. Albin le appuntava sul petto un mazzolino di fiori di campo. Il giovane dalle labbra rosse  sporgenti, seduto ai piedi. della signora Salomon chiacchierava volgendo il collo verso di lei mentre il pianista dai capelli radi continuava a fissarla continuamente sulla nuca.

Vennero i medici e si unirono ai loro pazienti, il Consigliere  Behrens     in càmice bianco, il dottor Krcokowski in camice nero. Passavano accanto alle diverse file di tavolini e per quasi tutti gli ospiti il Consigliere aveva uno scherzo bonario, così che la sua strada era segnata da una  scia di gaio movimento; poi i dottori scesero dalla gioventù,  la parte femminile della quale si schierò con sguardi sbieco e grandi scodinzolamenti  intorno al dottor

Krokowski,    mentre il Consigliere in onore della domenica mostrò alla gioventù maschile un suo gioco d’agilità. Pose il suo piede enorme sopra uno scalino elevato, sciolse i lacci, li afferrò mediante un suo gesto speciale con una sola mano, e seppe, senza l’aiuto dell’altra, infilarli a croce nei ganci con tale sveltezza che tutti se ne meravigliarono e molti tentarono invano di imitarlo.

Piú tardi apparve sulla terrazza anche Settembrini.  Se ne veniva appoggiato al bastoncino da passeggio, anche quel giorno nel suo vestito di lana ruvida, coi calzoni a quadri, con quel suo viso sveglio e pronto alla critica.  Si guardò intorno, poi, avvicinatosi ai cugini, disse: - Ah, benone! - e chiese il permesso di poter sedersi alla loro tavola.

- Birra, tabacco e musica, - soggiunse poi. - Ecco la vostra patria!  Vedo che ha senso per il colore locale, ingegnere.  Lei è nel suo elemento e ciò mi fa piacere.  Lasci che anch'io partecipi un poco all'armonia del suo stato d'animo!

Giovanni Castorp ricompose il viso (l'aveva già fatto quando s'era accorto del giungere dell'Italiano), poi rispose:
- Ma lei viene troppo tardi per il concerto, signor Settembrini, presto sarà finito tutto.  Non ascolta volentieri la musica?
- Non troppo, a comando, - replicò Settembrini. - Non secondo il calendario settimanale.  Mai volentieri quando sa di farmacia e quando mi viene assegnata a porzioni dall'alto al basso per motivi sanitari. Io tengo alla mia libertà, o meglio a quel resto di libertà e di dignità umana che ci hanno lasciato.  Durante queste rappresentazioni sono come un ospite, come lo è lei, in grande, fra noi, vengo per un quarto d'ora, poi proseguo la mia strada.  Questo mi dà l'illusione dell'indipendenza... Non dico che sia di più di un'illusione, ma che vuole, se mi procura una certa soddisfazione!... Con suo cugino è un'altra cosa.  Per lui è servizio.  Vero, tenente, che lei considera la cosa come facente parte del suo servizio?  Oh, lo so, lei conosce il trucco per conservare anche nella schiavitù il suo orgoglio..  Un trucco imbarazzante... Non tutti in Europa lo conoscono.  Musica?  Mi. Ha domandato se sono un amante della musica?  Be', se lei dice “amante” (  veramente Giovanni Castorp  non ricordava d’aver pronunciato quella parola ) l’epressione non è mal scelta, ha una sfumatura di tenue leggerezza, io annuisco.  Sí, sono un amante della musica, con ciò non intendo dire che la rispetti in modo speciale, così  come amo e rispetto la parola, la portatrice dello spirito, lo strumento, il vomere del progresso.  La musica…..
Essa è qualcosa di semiarticolato, é l'elemento dubbio, irresponsabile e indifferente. Forse ella obbietterà che la musica può essere chiara. Ma anche la natura può essere chiara, anche un ruscello può essere chiaro, e con questoIn tal caso non si tratta della vera chiarezza, ma di una chiarezza sognatrice,  che nulla esprime, che a nulla obbliga, una chiarezza senza conseguenze, quindi pericolosa, perché induce l’uomo a trovare in essa il suo riposo.  Lei faccia che la musica assuma il gesto della magnanimità.  Benissimo!  Sentirà infiammarsi i nostri sentimenti. Benissimo! Ma bisognerebbe infiammare la ragione invece! La musica è apparentemente il movimento stesso, eppure l’ho in sospetto di quietismo. Lasciate che arrivi agli estremi: io nutro un’avversione politica contro la musica. (…)
- Eppure abbia la cortesia di pensarci – disse Settembrini sorridendo – la musica è inestimabile come estremo mezzo di entusiasmo, come potenza d’impulso all’elevazione e al progresso quando essa trovi lo spirito aperto e predisposto alla sua efficacia. Ma la letteratura deve averla preceduta. La musica sola è pericolosa.
 

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