
De Chirico, Mistero e malinconia di una
strada |

De Chirico, Le muse inquietanti |
Spesso il male di vivere ho incontrato
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Spesso il male di vivere ho incontrato:
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era il rivo strozzato che gorgoglia,
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era l'incartocciarsi della foglia
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riarsa, era il cavallo stramazzato.
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Bene non seppi; fuori del prodigio
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che schiude la divina Indifferenza:
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era la statua nella sonnolenza
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del meriggio, e la nuvola, e il falco alto
levato.
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In questa come in molte altre poesie di Montale
l'identità dell'uomo è come annullata, vanificata all'interno di una
condizione esistenziale fortemente negativa,
alla luce di una concezione fortemente pessimistica del vivere. Tale
condizione induce alla passività o - nei casi
migliori - alla divina indifferenza, dote
preziosa del distacco intellettuale ( non
umano, .... più che umano, quasi divino appunto ) che
impedisce il falso coinvolgimento con la realtà. Dunque
l'identità umana e poetica di Montale viene colta nei correlativi oggettivi,
in cui egli emblematizza i suoi stati d'animo in frammenti di oggetti, in
spazi, in situazioni che penetrano profondamente nel suo immaginario poetico
a connotare sensazioni e dati di coscienza.
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Forse un mattino andando in un'aria di vetro
Forse un mattino andando in un'aria di vetro
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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La poesia descrive un'epifania del nulla, del vuoto, e
dell'assurdo dell'esistere. E non è un caso che l'epifania si verifichi
in "un'aria di vetro/arida": l'aridità della natura è sempre
il correlativo oggettivo della condizione esistenziale.
La rilevazione del
nulla avviene all'improvviso, come per "miracolo". La reazione che
il poeta prova è una sorta di vertigine, il
terrore di chi perde i punti consueti di riferimento.
E' la
folgorazione di un attimo: poi tornano a profilarsi di oggetti consueti
della realtà: "alberi, case, colli". Ma ora che ha avuto la
rivelazione del nulla, il poeta sa che quelle cose sono un
"inganno", sono pure parvenze, come ombre proiettate su uno
"schermo". Tuttavia quell'attimo è bastato per impedire al
poeta di tornare alla condizione abituale, credendo nella consistenza di
quelle parvenze ingannevoli.
Il segreto che egli porta in sé non presume
di rivelarlo agli uomini comuni che lo circondano: questi "non si
voltano", sono incapaci di porsi i grandi problemi metafisici, non
possono attingere alla consapevolezza del "nulla".
Questa consapevolezza è il privilegio dell'intellettuale,
ma anche la sua condanna, perché lo obbliga alla solitudine e al silenzio.
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