Pur mancando a Montale un positivo sentimento religioso permane nei suoi
versi una tensione prepotente all'evento imprevisto, inatteso, salvifico che
miracolosamente rinnovi o comunque sia rivelazione di un divino che osserva
la vicenda umana e ne traccia indirettamente gli oscuri destini. Tale
presenza salvifica si oggettiva nel personaggio femminile di Clizia.
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Picasso - Guernica |

Burn Jones, The Princess Sabra Led to the
Dragon |
La Bufera
Les princes n'ont point d'yeux pour voir grand's merveilles,
leurs mains ne servent plus qu'à nous persécuter....
Agrippa d'Aubigné, A Dieu
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio. |
La Bufera ( la guerra )I
principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani
non servono che a perseguitarci
Agrippa d'Aubigné ( 1552 - 1630 )
La bufera diventa metafora della guerra;
le si attribuisce tutta la violenza della pioggia e della grandine che
colpisce violentemente le foglie dure della magnolia.
( la grandine crea un suono di cristallo
percosso - è l'eco della guerra che scoppia improvvisa - e sorprende Clizia
nel suo nido sicuro in America, dove può non temere le persecuzioni
razziali - un barlume luminoso si spegne sui mobili dell'interno, sulle
coste dei libri rilegati....appare un rapido baleno che si ritrae ma pare
anche persistere nei tuoi occhi, come grana di zucchero che brucia )
il lampo che proietta la sua luce bianca
illumina alberi, muri e li sorprende in un chiarore che sembra
contrassegnarli per l'eternità - freddo, dolce e vivificante, distruttivo -
...diventa in te, Clizia, luce salvifica, anche condanna nel tempo del
sacrificio, che ti lega a me più che l'amore, in uno strana fraterna
rivelazione e condivisione nella negatività del vivere.
e poi lo schianto violento, sordo, i
sistri, il fremere dei tamburelli sulla fossa sterminatrice, il
muoversi del passo di danza dai toni trionfali, mentre qualcuno cerca
di scampare allo sterminio......
Proprio come quando tu, Clizia,
cercasti di scampare alla persecuzione e con la mano, sgombrata la fronte
dalla frangia dei capelli,
mi salutasti, nell'addio, per entrare
nello spazio buio della memoria.
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La poesia vive di una sua complessa trama di rimandi
analogici, che ci permettono di cogliere la specificità con la quale
il poeta rivive poeticamente l'evento bellico.
"La bufera è quella guerra dopo quella
dittatura...; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti ". Come al
solito Montale risolve in significati esistenziali e
metafisici anche gli eventi oggettivi, come, in questo caso, il
secondo conflitto mondiale e la persecuzione antisemita. Per riproporre
l'intensità del duplice scacco storico ed esistenziale
( il devastante scoppio del conflitto e l'allontanamento definitivo di
Irma Brandeis, Clizia, la donna - angelo portatrice di salvezza )
il poeta sceglie, come al solito, alcuni correlativi oggettivi.
Una serie di immagini ha il compito di ricostruire, in una penetrante
successione di significanti, la contraddittorietà del
reale, che si manifesta ora con la violenta
intensità di una bufera, ora con la luce
sorprendente di un lampo. Quest'ultimo è capace di connotare gli
oggetti in modo ambiguo e straniato, tanto da evidenziare nell'eternità
di un istante la condanna dell'uomo
alla sua dolorosa necessaria sofferenza.
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Dapprima c'é la facile
analogia bufera=guerra emblematizzata dallo sgrondare
violento sulle foglie della magnolia di pioggia e grandine crepitante,
come rumore di cristalli infranti. Irma / Clizia, la donna-angelo, fuggita
in America per salvarsi dalle persecuzioni razziali è sorpresa nel suo
interno dagli echi della bufera e il suo sguardo
sembra trattenere l'effetto di una luce che persiste, simbolo per
il poeta di una presenza che continua enigmaticamente a riproporsi,
come lontano ma tangibile effetto quando una nuova minaccia - la guerra
appunto - incombe sull'uomo.
-
C'è poi la luce del
lampo che candisce alberi e muri, imbianca di
luce indifferente, freddamente stabile, ma
anche dolce ed evanescente come manna
eppure devastante per la distruzione
che accompagna. Questo correlativo ha una profondità straordinaria proprio
nella sua interna contraddittorietà. Il lampo è sì devastante come i
bagliori di guerra, ma acquista anche una sua positività perché è
luce di potenziale salvezza, incarnata da Irma /
Clizia. Questa luce non è tuttavia operante; è simbolo piuttosto di
dolore, sofferenza ( condanna ) comune
che connota l'esistenza di tutti gli uomini e
che rende per Montale strana sorella di
condivisione negativa della vita proprio Clizia . Questo legame
di negatività, di estraneità connota
tutti gli esseri umani ed
è quello
che lega più profondamente il poeta alla donna. Esso è più forte che
non il rapporto d'amore.
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Dopo la pregnanza dei correlativi visivi ecco
le metafore a prevalente valenza uditiva: la bufera come
schianto, come
metallico ondeggiare di funerei sistri - eco pascoliano de "L'assiuolo"
- il ritmo dei tamburelli sulla fossa di morte, le
movenze rumorose del fandango, trionfante marciare degli
eserciti in parate e scenari di guerra.....ma anche
gesto disperato di chi annaspa per
sfuggire ai massacri.
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Ed è proprio questa l'ultima
analogia concettuale. Il gesto di chi annaspa per salvarsi è
il gesto dell'ultimo definitivo saluto di Clizia,
che si allontana per sempre dalla vita del poeta. E' un addio irrevocabile
ed assoluto, che sanziona una definitiva assenza, la privazione di ogni
speranza di salvezza futura per l'uomo Montale. Il gesto d'addio è
preceduto e segnato da un atto lieve e quasi
sacrale: quello di allontanare dalla fronte la nube dei capelli.
Clizia diventa dea o angelo salvatore, che tuttavia manca al suo
compito e diviene vittima anch'essa di una negatività oggettiva, assunta -
proprio attraverso la realtà della guerra - come legge storica oltre che
esistenziale.
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La luce della bufera rimanda immediatamente ai lampi della guerra, a uno
sconvolgimento storico e per estensione cosmico (la guerra «di sempre e di
tutti»). La luce di Clizia è una luce potenzialmente capace di rigenerare,
qualunque sia l'ulteriore significato (ora esistenziale ora espressamente
religioso) da attribuire ad essa. Ma in questo caso c'è un nesso fra le due
luci: l'eternità d'istante che Clizia porta in sé è «manna» e «
distruzione», tra l'estrema tragicità degli eventi e il messaggio salvifico
di Clizia (il varco che si apre nel disordine dell'esistenza) c'è una
paradossale coincidenza. Così il tenue bagliore di Clizia, il ricordo di lei
si manifesta nel momento stesso del lampo terribile della bufera. Come già
in Arsenio, è forse proprio nel momento del massimo disordine storico e
cosmico, nel momento in cui il non senso della realtà si mostra in tutta la
sua iperbolica interezza, che può soggettivamente
aprirsi l'imprevedibile varco per il poeta, l'incontro con il fantasma che
può salvarlo?
La bufera e altro è il momento di massima apertura di Montale verso
l'ipotesi di un varco che metta nel mezzo di una verità, che dia senso al
non senso. L'arco di tempo che va dalla guerra mondiale alla guerra fredda è
anche il momento in cui Montale dà più esplicitamente all'immagine del varco
e al problema della liberazione dall'angoscia dell'esistere un significato
religioso, per quanto dichiaratamente a-confessionale e eterodosso: La
bufera e altro, dove per la prima volta viene pronunciata la parola «Dio»,
ha scritto l'Antonielli, «o si legge in chiave di reale tensione religiosa o
non si legge. Montale ha dato voce al dramma dell'uomo
religioso senza religione, del cristiano storico senza Chiesa. Cristiano
errante, nestoriano smarrito che lo si voglia chiamare, è indubbiamente fra
coloro che meglio hanno tentato di approfondire la turbata coscienza del
nostro tempo». Esplicitamente a proposito di un'altra poesia, Iride,
in cui si definisce «povero Nestoriano smarrito», Montale aveva affermato
che Clizia, «che aveva lasciato l'Oriente per
illuminare i ghiacci e le brume del nord, torna a noi come continuatrice e
simbolo dell'eterno sacrificio cristiano. Paga lei per tutti, sconta
per tutti. E chi la conosce è il Nestoriano, l'uomo che meglio conosce le
affinità che legano Dio alle creature incarnate, non già lo sciocco
spiritualista o il rigido astratto monofisita». II nestoriano è l'eretico
che crede alla natura umana di Cristo, cioè che il divino si possa
manifestare attraverso persone umane (Clizia, in Montale). Il nesso tra la
bufera storica e la luce di Clizia allora potrebbe alludere esplicitamente
al necessario «eterno sacrificio cristiano»: necessità della catastrofe
perché vi sia rigenerazione.
da
http://digilander.libero.it/letteratura/Novecento/Montale/bufera.htm
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Arsenio
I turbini sollevano la
polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto
tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide,
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il,rombo silenzioso.
Discendi in mezzo al buio che
precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene
- finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che s'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un frùscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le
stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
Mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
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Arsenio è l'ultimo
componimento in ordine cronologico degli Ossi di seppia,
aggiunto nell'edizione del 1928 e composto l'anno prima.
La scena, che ha per la prima volta un protagonista
maschile diverso dal poeta, ma in cui il poeta si proietta
oggettivandosi, è posta in una stazione balneare
nell'imminenza di un temporale. Arsenio è attratto dal vortice
degli elementi verso la spiaggia nell'intuizione che a quello sconvolgimento
improvviso della natura sia legata la possibilità di un mutamento radicale
nella propria esistenza, che quello sia l'evento tanto atteso. Ma
Arsenio, come Montale, è «della razza di chi rimane
a terra»...
II senso globale di Arsenio, a parte l'interpretazione dì singoli versi
ambigui, è chiaro: Arsenio si è trovato davvero, o
molto probabilmente, di fronte all'evento tanto atteso, quello capace di
sconvolgere il corso della sua vita, di annullare d'un colpo il «male di
vivere», liberandolo e rendendolo «divino». II temporale è il simbolo
di questa opportunità o forse è esso stesso questa opportunità:
lo sconvolgimento naturale attrae Arsenio, che è sul
punto di gettarsi in mare, sradicando le radici viscide che lo legano a
terra.
La liberazione, il
mutamento è però inquietante, forse-perché si tratta di proiettarsi nel
turbine di un mare sconvolto-coincide con l'annullamento di sé, con
l'annientamento, la morte. Forse, insomma, è il morire che può dare
senso alla vita, il proiettarsi nel nulla cosmico. Ma Arsenio, come Montale,
è «della razza di chi rimane a terra» e rinuncia a
cogliere questa terribile ma forse salvifica opportunità, ritornando alle
cose in autentiche e alle angosce di tutti i giorni, qui simboleggiate dalla
folla dei villeggianti morti-viventi.
II componimento è anche importante perché segna, in anticipo rispetto alle
successive scelte delle Occasioni, un deciso orientarsi verso una
poetica che è stata definita del "correlativo
oggettivo", in parte mutuata da
Eliot, che Montale
proprio in questi anni legge e traduce. Sta di fatto che qui Montale
sostituisce all'io lirico un personaggio, Arsenio, in cui la
sua personale problematica esistenziale è oggettivata
(come in Eliot accade col protagonista di Rapsodia e con Gerontion nel
componimento omonimo). È anche vero però che Montale anche in precedenza
aveva sistematicamente proiettato se stesso e i suoi stati soggettivi in
oggetti simbolici (si vedano ad esempio gli oggetti-simbolo di Spesso il
male di vivere), tant'è che non pare pretestuosa la sua rivendicazione di
una scelta autonoma e coerente in questo senso. Si veda ad esempio quanto
Montale dichiara, a proposito delle Occasioni, nella prefazione alla
traduzione in svedese delle sue liriche: «Qualcuno mi mosse il rimprovero
di avere qui adottato il metodo eliottiano del "correlativo obiettivo": che
è di fornire un oggetto (la poesia) in cui il motivo sia incluso in forma di
suggerimento, non però spiegato o commentato in termini psicologici. La
verità è che io avevo tradotto nel '29 tre brevi poesie di Eliot, ma
nient'altro conoscevo di quel poeta; mentre parecchie mie pagine degli anni
precedenti già mi imponevano quella strada».
Tutto è interno e tutto è esterno per l'uomo
d'oggi; senza che il cosiddetto mondo sia necessariamente la nostra
rappresentazione. Si vive con un senso mutato del tempo e dello spazio...».
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sulla religiosità di E. Montale da consultare
anche la pagina web:
http://tell.fll.purdue.edu/RLA-archive/1991/Italian-html/Nicolai,Adeodato.htm
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