R. Musil - La complessa meditazione sul reale si nutre di pensiero filosofico - L'uomo senza qualità ( 1930 )


Robert Musil nasce a Klagenfurt nel 1880, figlio di un ingegnere metalmeccanico, viene indirizzato sin da piccolo verso gli studi tecnici e un'educazione militare che lo porteranno dapprima all'Accademia tecnologia di Vienna e quindi, nel 1901, alla laurea in ingegneria al politecnico di Brünn. Dopo un anno di militare entra al Politecnico di Stoccarda come assistente e contemporaneamente, nel 1903, si iscrive all'università di Berlino dove nel 1908 si laureerà in filosofia. Di quegli anni è il suo primo romanzo I turbamenti del giovane Törless. Fino allo scoppio della guerra la sua vita si svolge tra Vienna e Berlino dove collabora come critico con alcuni giornali. Nel 1914 si arruola nell'esercito austriaco e l'esperienza bellica ne accentua il fervore patriottico. Terminato il conflitto torna a Vienna come impiegato in vari ministeri. L'atteggiamento ironico e farsesco  caratterizzerà  la sua opera più importante: il romanzo L'uomo senza qualità, considerato uno dei capolavori della letteratura del Novecento, iniziato anch'esso nel 1923, la cui stesura lo accompagnerà per tutta la vita. Dal 1930 inizia la pubblicazione del suo capolavoro L'uomo senza qualità. Dopo l'annessione dell'Austria al Reich è costretto a trasferirsi in Svizzera a causa delle origini ebree della moglie. Lì si spegne nel 1942 mentre sta ancora lavorando alla revisione del secondo volume del suo romanzo.

Musil si dedicò anche alla scrittura saggistica, un genere letterario che all'inizio del Novecento, per opera di G.Lukács e di W.Benjamin fu totalmente rinnovato, fino a divenire, accanto al romanzo, l'emblema stesso di un nuovo tipo di vita, ove non era più possibile una comprensione sistematica e totalizzante della realtà.  La scrittura di saggio diventò anche per Musil qualche cosa di più di un semplice esercizio letterario: un modello di vita, un modo per avvicinare la realtà e coglierne nei frammenti che si offrono a chi la osserva analiticamente i tratti più segreti, senza la presunzione di poter in ogni caso ricostruirne la complessità delle relazioni. 

Secondo Musil, il romanziere deve dissezionare la realtà abituale e quotidiana in maniera analitica - si pensi al titolo di una delle sue prime prove: Monsieur le vivisecteur , mettendo in luce l'incertezza ed il caos che regnano in ogni manifestazione della vita anche in quelle che apparentemente hanno come obiettivo proprio quello di configurare un preciso ordine della realtà.  Come attraverso un cannocchiale prismatico, la realtà, così dissezionata, diventa analiticamente più chiara, ma i nessi che ne definiscono la struttura complessiva appaiono alquanto più oscuri.  Di particolare importanza diviene allora la funzione dell'osservatore, di colui che deve scegliere il punto di vista attraverso il quale correlare le diverse parti della realtà.  L'operazione è particolarmente complessa, ed è quella che Musil compie come autore del romanzo e che riproduce nel testo stesso attraverso i diversi modi della ricerca di Ulrich.

I presupposti teorici che guidano tali modalità di analisi del reale da parte del romanziere derivano da una lunga frequentazione di letture filosofiche, psicologiche e perfino dal pensiero scientifico del primo '900.
" Negli anni che preludono alla sua laurea in filosofia lesse attentamente
Nietzsche; e la chiave di interpretazione fu fornita dagli scritti dello scienziato Ernst Mach, promotore di una profonda revisione critica delle posizioni deterministiche del Positivismo e della meccanica newtoniana, fondamento della fisica, prima delle scoperte nel campo della termodinamica e, in particolare, di quelle relative al secondo principio e alla entropia dei sistemi.  Il testo di Mach a cui Musil fece specificamente riferimento in questi anni fu L'analisi delle sensazioni e il rapporto fra fisico e psichico, edito nel 1900.  Insieme con la Critica dell'esperienza pura (1888-1890) di Richard Avenarius, la prospettiva presentata in questo volume da Mach diede origine all'orientamento empiriocriticista, che incise profondamente non solo sul rinnovamento dei paradigmi scientifici tra Ottocento e Novecento, ma anche sulla riflessione filosofica.  Ricollegandosi a I. Kant e a G. Berkeley, Mach propone un'analisi delle sensazioni in cui non si fa riferimento soltanto al dato puramente fisiologico, ma si mette in evidenza che esso è influenzato dalla storia evolutiva dell'uomo e dal progressivo adattamento all'ambiente che si compie nell'individuo nei modi di una filogenesi complessa, che non solo riprende le tappe generali della ontogenesi umana, ma si arricchisce di ciò che l'individuo acquisisce dalla propria personale esperienza.  Anche la conoscenza scientifica, secondo Mach, non prescinde da questi principi generali: essa si sviluppa in ordine ad un criterio pratico ed economico, quello dell'adattamento dei concetti ai fatti e della coerenza e della congruità dei concetti tra loro.  In questo senso, la riflessione di Mach era molto vicina alle posizioni del Pragmatismo americano, e, per altro verso, anche a quelle di H.BergsonLo scienziato moravo intendeva superare il dualismo tra il mondo fisico e il mondo psichico, attribuendo le medesime caratteristiche sia a ciò che chiamiamo lo, che per Mach è un aggregato di elementi-sensazione, sia a ciò che chiamiamo mondo o realtà oggettiva, parimenti costituita da elementi-sensazione: la conoscenza è dunque data dalla correlazione e combinazione degli elementi-sensazione che formano l'Io con gli elementi- sensazione che formano il mondo.  Non esistono, secondo la concezione di Mach, un soggetto ed un oggetto della conoscenza rigidamente contrapposti, come è proprio degli schemi filosofici tradizionali; questo dualismo è superato tenendo conto che soggettività ed oggettività sono soltanto due diversi punti di vista dai quali è possibile interpretare le relazioni tra l'aggregato di elementi-sensazione che chiamiamo lo e ciò che chiamiamo mondo" ( da Budriesi -Letteratura forme e modelli - SEI, vol IV, p. 847 )
 



Mondrian - Composizione
 



Klee - Flora sulle rocce - 1940
 

L’uomo senza qualità

“L’uomo senza qualità”, scrive Mittner, “uno dei romanzi più appassionati e sconcertanti del nostro secolo, è tragicamente sospeso [...] tra il vagheggiamento nostalgico di una realtà storica che non ha più il diritto di esistere [quella dell’impero asburgico] e la speranza di una grande conquista mistica, che né il protagonista né l’autore riescono a conseguire”. Il tempo dell’azione va dall’estate del 1913, l’ultimo anno di pace prima della guerra mondiale, all’estate del 1914 quando il conflitto si inizia, il luogo ove l’azione si svolge è Vienna, la capitale degli Asburgo. I primi due libri furono pubblicati a Berlino rispettivamente nel 1930 e nel 1933; il terzo, comprendente quattordici capitoli e altro materiale in abbozzo, fu pubblicato da Martha Musil, la vedova, nel 1943 a Losanna.

Allo scopo di celebrare il settantesimo compleanno dell’incoronazione di Francesco Giuseppe, “imperatore della pace”, che doveva cadere nel dicembre del 1918, si costituisce a Vienna nel 1913 un comitato per i festeggiamenti, che tiene le sue riunioni nel salotto di una bella e ambiziosa signora, Diotima Tuzzi, moglie di un alto funzionario del ministero degli esteri. Ne fanno parte intellettuali e diplomatici, un generale e, perfino, un magnate dell’industria metallurgica tedesca. Il caso vuole che per lo stesso anno 1918 la Germania si appresti a tributare solenni onoranze a Guglielmo Il per il trentesimo compleanno della sua ascesa al trono, che ricorre in giugno. Si tratta dunque per gli Austriaci di fare di più e di meglio del potente alleato, di preparare in segreto non una settimana o un mese di festeggiamenti ma un intero anno giubilare. Un progetto ambizioso, ma per il momento del tutto imprecisato, che si è convenuto di chiamare “Azione patriottica” o anche, con riferimento all’analogo progetto tedesco, “Azione parallela”. La commissione lavora con tutta serietà a vagliare le proposte che piovono sul suo tavolo, senza peraltro decidersi per nessuna di esse.

Segretario della commissione e centro preminente del romanzo è Ulrich Anders, un raffinato dilettante, “uomo senza qualità”, privo, come il titolo stesso del romanzo sottolinea, di quegli elementi attraverso i quali l’uomo si caratterizza. Per verità Ulrich ha molte qualità e tutte di prim’ordine: ha percorso, come il suo autore, la carriera militare, quella dell’ingegnere e dello scienziato, per scegliere poi una vita di ozio contemplativo. A tali molteplici qualità non corrisponde peraltro nessuna capacità di agire: un segretario ideale per il comitato di “Azione patriottica” patrocinato dai più alti esponenti delle varie categorie sociali viennesi, alla ricerca di “valori dello spirito” elevati e idealizzanti. La sopravvenuta mobilitazione dell’estate del 1914 in vista della guerra imminente provoca lo scioglimento del comitato, che non è ancora pervenuto d’altronde a nessuna conclusione. Ulrich si arruola e parte per la guerra, senza che si sappia (l’autore non lo dice) il motivo di una così sorprendente decisione: se si tratti di desiderio di morte o di una speranza di rigenerazione.
 


L’uomo senza qualità di cui stiamo narrando la storia si chiamava Ulrich; e Ulrich – non è piacevole chiamare col nome di battesimo una persona che si conosce appena, ma dobbiamo tacere il casato per riguardo al padre – al limite fra infanzia e adolescenza aveva già dato un primo saggio della sua mentalità in un componimento che aveva per tema una frase patriottica. In Austria il patriottismo era una materia tutta speciale. I bambini tedeschi imparavano semplicemente a disprezzare le guerre dei bambini austriaci, e s'insegnava loro che i bambini francesi sono i pronipoti di libertini smidollati e scappano come lepri appena vedono un soldato tedesco della territoriale che sia fornito di una gran barba. E scambiando le parti, con qualche opportuno mutamento, s’insegnavano le stesse cose ai bambini francesi, russi e inglesi, che si gloriavano anch’essi di numerose vittorie. Ora si sa che i bambini sono fanfaroni, amano giocare a guardie e ladri, e son sempre pronti, ove per avventura ne faccian parte, a considerare la famiglia X che sta in via Y come la più importante del mondo. Perciò è molto facile inculcare loro il patriottismo. In Austria però la faccenda era un po’ più intricata. Gli austriaci infatti avevano vinto, è vero, tutte le guerre della loro storia, ma dopo queste guerre avevano dovuto quasi sempre cedere dei territori. Ciò induce a riflettere, e Ulrich scrisse nel componimento sull’amor di patria che un vero patriota non deve mai giudicare la sua patria la migliore di tutte; anzi, balenandogli un’idea che gli era parsa particolarmente bella, quantunque fosse piuttosto abbagliato dal suo scintillio che consapevole del suo contenuto, aveva aggiunto a quella frase sospetta quest’altra: che probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic dixerit quispiam...) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso. Di questa frase era molto orgoglioso, ma forse non s’era espresso con sufficiente chiarezza, perché ne era nato un putiferio e per poco non l’avevano espulso dalla scuola, anche se poi non avevano preso alcun provvedimento non sapendo decidere se quell’affermazione temeraria fosse da considerarsi un’offesa alla patria oppure a Dio. Ulrich frequentava allora l’aristocratica Accademia Teresiana che forniva le più nobili colonne dello stato, e il padre, irritato per l’onta recatagli da quel figlio degenere, lo aveva mandato all’estero, in un piccolo collegio belga che si trovava in una città sconosciuta, e, amministrato con sagace spirito commerciale, attirava mediante le rette bassissime una vasta clientela di scolari usciti dalla buona strada.

Da allora come le nuvole trascorrono in cielo erano passati sedici o diciassette anni. Ulrich non li rimpiangeva né se ne inorgogliva, semplicemente li riguardava con stupore, nel suo trentaduesimo anno d’età. Nel frattempo era stato in molti luoghi, qualche volta anche in patria, e dappertutto aveva fatto cose utili e cose inutili. S’è già accennato che era un matematico, e non occorre dirne di più perché in ogni professione esercitata non per lucro ma per amore giunge il momento in cui la curva ascendente degli anni sembra condurre al nulla. Questo momento durava da un poco quando Ulrich si ricordò che al paese natio viene attribuito il misterioso potere di far prendere radici al pensiero e di armonizzarlo con l’ambiente; vi si stabilì dunque provando le stesse impressioni d’un viandante che si segga su una panca per l’eternità pur presentendo che si rialzerà quasi subito.

E quando mise in ordine la sua casa, come dice la Bibbia, fece un’esperienza che in verità s’aspettava. Egli si trovava nella piacevole situazione di dover rimettere in sesto ab ovo a suo talento il piccolo edificio in rovina che aveva acquistato. Dalla ricostruzione fedele fino alla libertà assoluta si offrivano alla sua scelta tutte le soluzioni, e alla sua mente si proponevano. tutti gli stili, dall’assiro al cubista. Che cosa decidere? L’uomo moderno viene al mondo in una clinica e muore in una clinica: per conseguenza deve anche abitare in una clinica! Questo era l’assioma di un architetto di grido, e un altro riformatore dell’ambientazione esigeva che nelle case vi fossero pareti mobili, per il motivo che l’uomo dalla vita in comune deve imparare la fiducia nell’uomo, e non gli è lecito isolarsi con spirito separatistico. Era incominciata proprio allora una nuova èra (ne comincia una ad ogni minuto) e un’èra nuova ha bisogno di uno stile nuovo. Per fortuna di Ulrich il castelletto, così com’era, aveva già tre stili sovrapposti, cosicché non si poteva davvero farne tutto quello che la moda voleva; nondimeno egli era assai turbato dalla responsabilità di costruirsi una casa, e si sentiva pender sul capo la minacciosa massima letta sovente nelle riviste d’arte: “dimmi come abiti e ti dirò chi sei”. Dopo aver lungamente consultato quelle riviste venne alla conclusione che la costruzione della propria personalità era meglio intraprenderla da solo e si mise a disegnare di sua mano i futuri mobili. Ma appena ideata una linea corposa e d’effetto, gli veniva in mente che si sarebbe potuta sostituirla benissimo con una linea funzionale e smilza; e incominciando ad abbozzare una forma in stile cemento armato scarnita dal suo stesso vigore, pensava alle magre forme marzoline di una fanciulla tredicenne e si metteva a sognare invece di decidersi.

Era questa – in un campo che non gli stava seriamente a cuore – la ben nota discontinuità delle idee con il loro pullulare senza un nucleo centrale, incoerenza che contraddistingue il nostro tempo e ne determina la bizzarra aritmetica, la quale salta di palo in frasca senza unità. Alla fine non immaginava più che locali irrealizzabili, stanze girevoli, arredamenti caleidoscopici, congegni per la trasposizione dell’anima, e le sue idee divennero sempre più vuote di contenuto. Così giunse infine al punto verso il quale si sentiva attratto. Suo padre l’avrebbe espresso all’incirca così: “Se si lascia che uno faccia tutto quel che vuole, dalla confusione finirà per dar del capo nei muri”.

Oppure: “Chi può concedersi tutto ciò che gli piace, presto non saprà più che cosa desiderare”. Ulrich si ripeteva queste frasi con grande soddisfazione. Quell’antica saggezza tramandata gli sembrava un pensiero straordinariamente nuovo. Nelle sue possibilità, progetti e sentimenti, l’uomo dev’essere prima costretto da pregiudizi, tradizioni e ostacoli di ogni sorta, come un pazzo nella camicia di forza, e solo allora ciò che egli produce acquista forse valore, solidità e durevolezza... in verità è quasi impossibile misurare tutta la portata di questo pensiero!

Ebbene, l’uomo senza qualità dopo esser ritornato in patria fece anche il secondo passo per lasciarsi foggiare dal di fuori, dalle circostanze esterne: a questo punto delle sue riflessioni abbandonò senz’altro l’arredamento della sua casa al talento dei fornitori, fermamente convinto che alle tradizioni, ai pregiudizi e ai limiti avrebbero provveduto loro. Per conto suo si accontentò di rinfrescare i vecchi motivi che c’eran già da prima, gli scuri palchi di cervi sotto le volte bianche del piccolo atrio o il rigido soffitto del salotto, e inoltre aggiunse tutto quel che gli pareva comodo o rispondente a uno scopo.

Quando tutto fu pronto, poté crollare il capo e chiedersi: questa dunque è la vita che dovrà esser la mia? Era ormai in possesso di un piccolo delizioso palazzo; non si poteva quasi chiamarlo altrimenti perché corrispondeva esattamente all’idea che la parola suggerisce: la residenza lussuosa di un personaggio ufficiale, come l’avevano concepita i mobilieri, i tappezzieri, i decoratori più in voga. Peccato che a quel magnifico meccanismo d’orologeria mancasse la carica; perché allora si sarebbero vedute salire su per la rampa carrozze con alti dignitari e nobili dame, i lacchè sarebbero saltati giù dalle predelle e avrebbero chiesto ad Ulrich con diffidenza: “Buon uomo, dov’è il vostro padrone?”.

Ulrich era tornato dalla luna e immediatamente s’era ristabilito sulla luna.
 


Mondrian - Bosco 1906



Klee - Luna piena - 1919

 Se esiste il senso della realtà deve esistere anche il senso della possibilità.

Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio professore  si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della realtà.  Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev'essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità.

Chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe, o dovrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com'è, egli pensa: be', probabilmente potrebbe anche esser diversa.  Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe ugualmente essere, e di non dar maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è. Come si vede, le conseguenze di tale attitudine creativa possono essere notevoli, e purtroppo non di rado fanno apparire falso ciò che gli uomini ammirano, e lecito ciò che essi vietano, o magari indifferenti e l'uno all'altro.  Questi possibilisti vivono, si potrebbe dire, in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi; quando i bambini dimostrano simili tendenze si cerca energicamente di estirparle, e davanti a loro quegli individui vengon definiti sognatori, visionari, pusilli, e saccenti o sofistici.

Chi vuol lodare questi poveri mentecatti li chiama anche idealisti, ma evidentemente con tutto ciò s'allude soltanto al tipo debole, che non sa capire la realtà o la fugge temendo di farsi male, per cui dunque l'assenza del senso della realtà è davvero una mancanza.  Il possibile però non comprende soltanto i sogni delle persone nervose, ma anche le non ancor deste intenzioni di Dio.  Un'esperienza possibile o una possibile verità non equivalgono a un'esperienza reale e a una verità reale meno la loro realtà, ma hanno, almeno secondo i loro devoti, qualcosa di divino in sé, un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà bensì la tratta come un compito e un'invenzione.  La terra in fin dei conti non è affatto vecchia e non si può dire che il suo grembo sia mai stato veramente benedetto.  Volendo distinguere comodamente la gente che ha il senso della realtà dalla gente che ha il senso della possibilità, basta pensare a una determinata somma di denaro.  Tutto ciò che mille marchi, ad esempio, contengono in fatto di possibilità, lo contengono senza dubbio, che uno li possegga o no; il fatto che li possegga il signor Tu o il signor lo non aggiunge loro nulla, come non aggiungerebbe nulla a una rosa o a una donna.  Ma uno stolto li nasconde sotto il materasso, dicono i realisti, e un savio ne fa qualche cosa; persino alla bellezza di una donna viene innegabilmente tolto od aggiunto qualcosa da colui che la possiede. E' la realtà che suscita la possibilità, e nulla di errato come il negarlo.  Tuttavia nella media o nella somma rimarrebbero sempre le stesse possibilità, che si ripetono finché viene qualcuno per il quale una cosa reale non vale di più che di una immaginaria. E lui che dà finalmente senso e determinazione alle nuove possibilità, e le suscita.

Un uomo siffatto è però un caso tutt'altro che semplice.  Poiché le sue idee, quando non siano oziose fantasticherie, non sono altro che realtà non ancora nate, anch'egli possiede il senso della realtà; ma è un senso della realtà possibile, e perviene molto più lentamente alla meta che non il senso, insito nella maggior parte degli uomini, delle loro reali possibilità.  Egli vuole, per così dire, il bosco, e gli altri vogliono gli alberi; e il bosco è qualcosa che è difficile definire; mentre gli alberi significano tanti e tanti metri cubi di una determinata qualità di legno.  Forse lo si può esprimere anche meglio dicendo che l'uomo dotato di un normale senso della realtà somiglia a un pesce che abbocca all'amo e non vede la lenza, mentre l'uomo dotato di quel senso della realtà che si può anche chiamare senso della possibilità tira la lenza e non sa lontanamente se vi sia attaccata un'esca.  A questa eccezionale indifferenza per la vita abboccante all'esca si contrappone per lui il pericolo di compiere azioni assolutamente atrabiliari.  Un uomo non pratico - ed egli non appare soltanto tale, ma lo è in effetto e risulta malfido e imprevedibile nelle relazioni umane.  Commetterà atti che per lui hanno un significato diverso che per gli altri, ma a tutto troverà giustificazione se potrà ridurlo a un'idea fuori del comune.  E per giunta oggi è ancora assai lontano dalla logicità. E' assai facile che un delitto, dal quale un altro risente danno, gli appaia semplicemente come uno sbaglio da imputarsi non a chi lo ha commesso ma all'ordinamento della società. E' incerto però se uno schiaffo da lui ricevuto gli parrà un'ingiuria alla società, o almeno impersonale come il morso d'un cane; probabilmente invece restituirà innanzi tutto lo schiaffo, e solo in seguito gli verrà in mente che non avrebbe dovuto farlo.  E ancora, se gli portano via l'amante non saprà oggi come oggi prescindere del tutto dalla realtà di questo fatto e consolarsi con un nuovo impreveduto sentimento.  Per ora questa evoluzione è ancora in atto e costituisce per l'uomo singolo tanto una debolezza quanto una forza.

E poiché possedere delle qualità presuppone una certa soddisfazione di constatarle reali, è lecito prevedere come a uno cui manchi il senso della realtà anche nei confronti di se stesso possa un bel giorno capitare di scoprire in sé un uomo senza qualità.
 

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