Pier Paolo Pasolini - I quartieri romani di Ragazzi di vita,
Una vita violenta e Accattone

Guttuso - Tetti di Roma

La periferia romana nei romanzi di Pasolini.

L
a periferia romana, assolata, circondata da valanghe di immondizia, tra case non ancora finite o già in rovina, tra grandi sterri fangosi, tra erba costantemente sporca è l'ambientazione della trilogia pasoliniana, che celebra le borgate romane. Il rumore è assordante, il sole accecante, la folla opprimente in ogni situazione. Il Tevere, che pure a tratti sembra essere il fiume amico, dove si realizza almeno per un momento la fuga dalla città o il contatto liberatorio con l'acqua, è anch'esso descritto con connotazioni negative "..il Tevere scorreva giallo come se lo spingessero i rifiuti di cui veniva giù pieno".

Il Ferrobedò

Sono gli ultimi giorni del secondo conflitto; a Roma si soffre ancora la fame e la miseria e la povertà sono generalizzate.  Alcuni ragazzi di borgata cercano di rimediare qualche soldo rubando tra i depositi di ferraglie o ai mercati generali, dove si accalca una folla avida e violenta, pronta a buttarsi su tutto ciò che può essere consumato o rivenduto.
I ragazzi di borgata, Riccetto, Agnolo, Marcello, vagabondano per i quartieri della periferia romana : trascorrono il tempo a far nulla, giovando a palla sugli spiazzi, facendo il bagno nel Tevere, rubando chiusini di ghisa  e tubature che poi rivendono allo "stracciarolo"

La periferia si ripropone con caratteri di abbandono, di degrado, ma con una gran massa di persona pronte ad animarla per i divertimenti della domenica o a far calca nel momento del crollo.Tuttavia la disgrazia non muta il ritmo di quella vita rassegnata e sempre uguale, tanto che le ruspe dopo pochi giorni ridanno al quartiere la sua solita fisionomia.

Ostia è la spiaggia assolata, brulicante di gruppi di ragazzini rumorosi , dove si assaporano i primi divertimenti di massa ( le rumbe improvvisate da un complessino o le sambe dell'altoparlante di un bar). Non c'è però nulla di attraente in questi divertimenti; si respira un'atmosfera pesante e volgare che non riesce mai ad eliminare l'apatia e la noia del vivere massificato dividendo obbligatoriamente svaghi e spazi con altre persone. E' altrettanto volgare e fredda la figura della prostituta Nadia che si offre senza sentimento in una cabina dello stabilimento e poi deruba Riccetto.
L'ospedale è ancor più opprimente come luogo,intristito della presenza di vecchi infermi,dei pianti disperati della madre di Marcello morente e dall'atmosfera di abbandono che lo caratterizza.
 


Pier Paolo Pasolini


Immagini da Accattone - film del 1961 di P.P.Pasolini
 

Ragazzi di vita ( 1955 )

Quelli che ne Il Sogno di una Cosa erano ragazzi di campagna semplici e schietti, in compagnia dei quali si trascorrevano ore tranquille, oltre che momenti più difficili, in quest'altro romanzo sono adolescenti della periferia di Roma, sottoproletari con alle spalle famiglie sfrattate, ammucchiate insieme ad altre famiglie in stanze e corridoi di edifici fatiscenti. 

Il romanzo racconta le loro giornate trascorse alla ricerca di soldi e passatempi. Sono personaggi emarginati dalla città normale e rispettabile, non integrati in un contesto sociale di lavoro o scuola: la strada è il loro spazio e la loro scuola. Una delle sensazioni più immediate, durante la lettura, è che si stia assistendo alla storia di adolescenti che non sono mai stati bambini. In loro non c'è la voglia di giocare innocentemente, nessuno di loro è ingenuo; l'unico ad avere qualcosa in comune con la figura del bambino, Marcello, muore quasi subito, proprio nel momento in cui va a cercare il Riccetto, suo migliore compagno di avventure. 

La strafottenza, la tracotanza, la malizia e la prepotenza sono talmente naturali da sembrare quasi congeniti; non esistono rapporti umani basati sull'amicizia, sui vincoli familiari o d'amore. La povertà e la disperazione che regnano in questo romanzo non guardano in faccia a niente e nessuno: per gioco si può decidere di bruciare uno del gruppo, per rabbia si può reagire accoltellando la propria madre, per necessità si rubano i soldi di tasca a un amico con il quale ci si stava divertendo sul fiume poco prima. 

Il fiume è il punto di ritrovo dei personaggi, metafora dello scorrere del tempo: come la vita così il fiume scorre verso un'unica direzione in un rinnovarsi del sempre uguale: queste vite hanno tutte un destino simile, quelle che seguiranno avranno la stessa sorte, è come un incantesimo che ha intrappolato i destini di chi si specchia o si bagna nelle sue acque. L'acqua ha un ruolo centrale, fa parte di una sorta di rito iniziatico: si attraversa il fiume per dimostrare di essere grandi, di essere pronti: lo hanno attraversato il Caciotta, un duro; il Riccetto, che da finto dritto che non riusciva a non farsi 'fregare' è diventato adulto; non è riuscito a mettere piede nelle sue acque il Bègalo, morto per un attacco di tubercolosi sulle sue sponde; infine Genesio, desideroso di crescere e dimostrare qualcosa compiendo la traversata, muore, trascinato dalla corrente. 

    Ma lui non riusciva ad attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d'olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte. (p. 239) 

È un fiume torbido e inaffidabile, una metafora più che somigliante al tipo di vita che si ritrovano i personaggi pasoliniani, già minati dalla nascita. Anche in questo romanzo sono gli istinti più naturali dell'uomo a farla da padroni: fame, sonno, sesso, sono sempre presenti: 

    Il Lenzetta e il Riccetto s'accostarono alla donna ch'era piccola e grossa come un rotolo di coppa, stettero un po' a contrattare, e, passando tra i fili di ferro di un reticolato, si spinsero in dentro, tra mucchi fradici di canne. Non ci misero molto; appena che risortirono andarono calmi calmi a lavarsi un pochetto a una fontanella, in mezzo al piazzale dov'era il capolinea dei tranvai. Per dormire ci pensò il Lenzetta. Dietro alla borgata Gordiani, in una prateria da dove si vedeva tutta la periferia con le borgate, da Centocelle a Tiburtino, in fondo ad un orto zuppo di guazza, ci stavano dei grossi bidoni arruzzoniti, abbandonati lì insieme a altri ferrivecchi, in un recinto. Erano abbastanza grossi, tanto che ci si poteva camminare dentro sulle ginocchia, e lunghi quanto una persona. Dentro uno di questi il Lenzetta c'aveva messo della paglia; ne prese un poca, e la mise in uno vicino. Ci si distesero e ci dormirono fino alla mattina dopo alle dieci. (p. 99)

Si parla in romanesco, soprattutto con imprecazioni e frasi smozzicate, è una lettura che crea tensione, che esige attenzione ad ogni pagina, non perché 'bisogna stare attenti', ma perché non si riesce a non rimanere coinvolti e a non provare un senso di colpa davanti a tanta disperazione.

tratto da http://www.pasolini.net/narrativa_ragazzi.htm

 

Una vita violenta ( 1956 )

Ambientato fra il sottoproletariato romano degli anni Cinquanta il romanzo delinea un vasto affresco realistico in cui emerge la vicenda esemplare di Tommaso Puzzilli, un "ragazzo di vita" che arriva attraverso le sue esperienze ad acquisire consapevolezza umana e politica.
Nato fra le baracche dell’estrema periferia, da una famiglia miserabile, Tommaso, violento e amorale, vive di sordidi espedienti e partecipa anche a spedizioni teppistiche. Per una rissa in cui ha accoltellato un altro giovane, Tommaso viene condannato a due anni di carcere e, uscendo di prigione, trova la famiglia insediata in un appartamentino dell’Ina case, finalmente ottenuto dopo tante richieste. 
A Tommaso, affascinato dal "lusso" quasi "borghese" della sua nuova abitazione, sembra di poter ora intraprendere una vita nuova e rispettabile, ma il suo sogno di elevazione sociale è destinato a fallire. Alla visita militare, Tommaso risulta ammalato di tubercolosi ed è perciò costretto a un lungo ricovero che vanifica ogni possibilità di lavoro e di guadagno. Entrerà in un ospedale. Proprio all’interno del tubercolosario, però, a contatto con un gruppo di degenti politicizzati, comincia per Tommaso un processo di maturazione che lo porta a prendere coscienza della sua condizione individuale e sociale. 
Una volta dimesso dall’ospedale Tommaso dà la sua adesione al Partito comunista e, quando l’Aniene inonda un quartiere di baraccati, egli accoglie prontamente l’invito dei compagni della sezione gettandosi fra l’acqua e il fango per aiutare i pompieri impegnati nei soccorsi. 
Questo gesto generoso è però fatale a Tommaso, in quanto gli procura un nuovo, violento attacco della sua malattia polmonare. Poche, dimesse parole, a conclusione del romanzo, annunciano la sua morte: «...tossì, tossì... e addio Tommaso». 

tratto da http://www.pasolini.net/narrativa_vitaviolenta.htm
 

Accattone ( 1961 )

Accattone è il soprannome di Vittorio,
un ragazzo di borgata che si fa mantenere da una prostituta, Maddalena. Passa il suo tempo con gli amici. Maddalena finisce in carcere, e Accattone conosce la fame e un giorno, andato sul posto di lavoro della moglie abbandonata, incontra Stella. Accattone tenta di far prostituire anche Stella, ma intanto se ne innamora. Inizia a rubare. Stella convince Accattone a cercarsi un lavoro, guadagnandosi da vivere in modo onesto, e lui per amore accetta quel posto di lavoro, ma non riesce ad adattarsi e torna a rubare. Dopo un piccolo furto s'imbatte nella polizia e nel fuggire cade dalla motocicletta e muore.

 

Ecco il commento di Pasolini sul film

"... ma la storia di Tommasino [Una vita violenta] avveniva subito dopo i fatti di Ungheria, nel momento cioè in cui uno stato terribile di crisi annunciava albeggianti e luminose soluzioni: il rovesciamento dell'epoca staliniana, un rinnovamento interno e fecondo dei partiti comunisti. Era un'epoca della mia vita in cui io, come scrittore, non potevo non tenere sempre costantemente presente quella prospettiva di cui parlavo e quindi questa non poteva non fare parte immanente e continua della mia ispirazione.La storia di Accattone invece è più breve: ha la durata di un'estate, che è quella del governo Tambroni. Tutto, nella mia nazione, in quei mesi, pareva riprecipitato nelle sue eterne costanti di grigiore, di superstizione, di servilismo e di inutile vitalità. E' in questo periodo che mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l'anima di un sottoproletario della periferia romana (insisto a dire che non si tratta di un'eccezione ma di un caso tipico di almeno metà Italia): e vi ho riconosciuto tutti gli antichi mali (e tutto l'antico, innocente bene della pura vita). Non potevo che constatare: la sua miseria materiale e morale, e la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali, e insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano. Perciò egli sogna di morire o di andare in paradiso. Perciò soltanto la morte può "fissare" un suo pallido e confuso atto di redenzione. Non c'è altra soluzione intorno a lui. E' molto, ma molto più raro, un caso come quello di Tommasino che un caso come quello di Accattone. Con Tommasino ho dato un dramma, con Accattone una tragedia: una tragedia senza speranza, perché mi auguro che pochi saranno gli spettatori che vedranno un significato di speranza nel segno di croce con cui il film si conclude."
Non c'è speranza quindi in Accattone, quella speranza che invece traspare in Una vita violenta. Lo stesso Pasolini dirà: 
"... in realtà tra quel mio libro [Una vita violenta] ed Accattone si possono fare facilmente dei confronti. Direi che tutto sommato rispetto ad Una vita violenta, dal punto di vista ideologico-marxista, Accattone rappresenta un passo indietro. 
In Una vita violenta oltreché la denuncia,  di un mondo, di un modo di vivere, di una piaga spaventosa che lacera l'Italia del "benessere",
c'era anche un'indicazione non soltanto implicita, ma esplicita di una prospettiva, nella speranza diciamo così... Uno di questi personaggi, come Accattone ad un certo punto, esplicitamente trova il modo di superare questa sua condizione, di salvarsi attraverso una esperienza politica, attraverso una scelta politica. Invece in Accattone tutto ripiomba dentro quel mondo. Pare che questo mondo non abbia aperture, non abbia prospettive di nessun genere. Quindi in un certo senso, questa immediatezza di una speranza non si intravede esplicitamente, è tutta incorporata dentro il film, nell'espressione poetica del film, e questo mi è accaduto perché possedevo meno il linguaggio cinematografico che non quello letterario "

da http://www.pasolini.net/cinema_accattone.htm
 

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