La logica perversa della distruttività umana, sempre incombente - S. Quasimodo - Giorno dopo giorno



 


La raccolta di poesie Giorno dopo giorno ( appartenente alla seconda fase poetica dell'autore ) ci fa vedere un Quasimodo più maturo che parla della crudeltà umana perpetuata in eventi collettivi dagli imponenti effetti distruttivi. Egli, più che mai in queste composizioni, rimane poeta del dolore e della solitudine dell'uomo.
Dopo il fascismo,
questo tipo di poesia, sembrò un tipo di denuncia e di accusa e Quasimodo, in questa accusa, mise tutta la sua forza morale. Così il suo stile ermetico di prima diventa più esplicito, più vicino alla narrazione e questa nuova poesia, nata fra i dolori della guerra, cerca di spingere alla vita, alla lotta per portare fra gli uomini un messaggio di speranza (Ungaretti)
 

Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto-dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

Ad Auschwitz

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.

Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.

 

 Prima pagina -  Percorso tematico