Città vecchia
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che
viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un grande porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
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Trieste
(da Trieste e una donna,
1910-12)
Ho attraversata tutta la
città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove
esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio
aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e
mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria
tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
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Teatro degli Artigianelli
Falce martello e la
stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma
quanto
dolore per quel segno su
quel muro!
Esce, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell'idea
che gli animi affratella; chiude: "E
adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro".
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in
giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al
sole.
Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il cannone, e Firenze
taceva, assorta nelle sue rovine.
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L'ora nostra
Sai un'ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? È quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l'ora che intensa è l'opera,
e si vede
la gente mareggiare nelle
strade;
sulle mole quadrate delle
case
una luna sfumata, una che
appena
discerni nell'aria
serena.
È l'ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara
città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d'aspetti in sua
bella unità;
l'ora che la mia vita in
piena va
come un fiume al suo
mare;
e il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, gli artieri in cima all'alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell'atto, tutto questo andare
ha una parvenza d'immobilità.
È l'ora grande, l'ora che
accompagna
meglio la nostra
vendemmiante età.
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Umberto Saba
Il poeta Umberto Saba (1883-1957) era fortemente
legato alla sua città, Trieste. Punto d'incontro di varie civiltà (italiana,
slava, tedesca), porto di mare frequentato da gente di molti paesi, la città
si offre al suo sguardo come un mondo pieno di significato e di insegnamenti
sui valori della vita. La lirica che proponiamo appartiene alla raccolta
Trieste e una donna e risale al 1910 circa. Città vecchia è
proprio il nome del centro storico di Trieste.
Saba dichiara di voler «cantar
Trieste proprio in quanto Trieste e non solo in quanto città natale». In
realtà la descrizione della grazia scontrosa, del
fascino di questa città che in ogni parte è viva non è fatta con l'animo del
visitatore, non è una pagina di giornale di viaggio, ma vibra del commosso
affetto di chi vive in questa città, e la sente sua e trova in essa il
cantuccio a lui adatto, alla sua vita pensosa e schiva. Anzi, Trieste
diventa addirittura espressione e proiezione dello stato d'animo del poeta:
alla grazia scontrosa della città fa riscontro la vita pensosa e schiva del
poeta. Nella lirica quindi «il soggettivo e l'oggettivo si identificano con
assoluta fusione lirica» (C. Muscetta).
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