La guerra come sovvertimento
delle leggi di natura
Lev N. Tolstoj - Guerra e pace ( 1863 - 1869 )
" Come per Stendhal anche per Tolstoj guerra e
battaglie hanno la caratteristica della
non-monumentalità. Gli scontri epocali sono raccontati come parti
della vita dei protagonisti, specialmente di Pierre Bezuchov e del
principe Andrei Bolkonskij .
Innanzitutto in Guerra e pace c'è la valutazione del
narratore-giudice della storia, che dà il vero senso della lotta spirituale,
prima che militare tra francesi e russi., tra un
Napoleone, diretto discendente dello stratega sommo Cesare, il figlio
della razionalità illuminista che gioca alla guerra come a scacchi, e un
Kutuzov, che sa che la
regola guida della storia non risiede nella volontà degli uomini, bensì
nella legge intima della Natura. Sulla figura di Napoleone la
parzialità del narratore è scoperta: l'eroe dei romantici viene
costantemente gettato nelle situazioni più grottesche, come quando, dopo la
battaglia di Borodino, attende a lungo di entrare a Mosca da trionfatore e
alla fine viene informato che la città è deserta. Oppure
gli viene rinfacciato di essere un carnefice di
popoli, mentre vengono citati passi dei memoriali scritti a Sant'Elena,
in cui Napoleone rivendica il merito di aver portato al massacro meno
francesi che russi. La guerra come prevaricazione e
sovvertimento delle leggi di natura ha incarnato nell'imperatore la sua
quintessenza ed è contro questa visione della storia come
ammazzatoio, costruito perché un grande eroe prevalga, che Tolstoj combatta,
infondendo al suo romanzo una valenza etica.
Guerra e pace
è uno dei più celebri romanzi della storia letteraria . In esso
Lev Nikolaevic Tolstoj ci presenta
la vita di alcune famiglie russe tra il 1805 e il 1815,
attraverso le guerre napoleoniche che videro il famoso
condottiero prima vincitore sulle armate russe, poi inesorabilmente
sconfitto. |
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L'opera si apre con un
quadro dell'alta società di Mosca nel 1805, alla vigilia della guerra contro
Napoleone. Alla vita moscovita è contrapposta la vita in campagna, osservata dalla casa dei Bolkonskij, a Lysye Gory. Qui vivono in volontario esilio il vecchio e dispotico padre di Andrej che esercita il suo potere sulla figlia Marja, dolcissima e profondamente religiosa, e su tutti gli abitanti della casa: il vecchio cameriere Tichon, Madame Bourienne dama di compagnia di Marja, l'intendente Alpatyc, l'architetto Michail Ivanovic ammesso per capriccio alla sua tavola. La guerra arriva, turbando quel mondo. Le battaglie si susseguono. A Napoleone che prepara piani secondo la logica bellica, si oppone Kutuzov, comandante delle armate russe, che preferisce adattare la sua strategia al mutare delle circostanze, passando a volte, agli occhi dei brillanti ufficiali, per debole. Andrej arruolato si, dimentica le vicende personali cercando un significato alla tempesta che lo trascina insieme a tanti.
Pierre
rimasto a Mosca è diventato ricco alla morte del padre che lo ha nominato
suo erede universale, e il bel mondo gli ha scoperto improvvisamente
brillanti qualità. Il principe Vasilij Kuragin
con abili intrighi riesce a fargli sposare la figlia
Hélène, bellissima presuntuosa e corrotta. Scoperte le infedeltà
della moglie, Pierre si batte con il rivale Dolochov, si separa da Hélène,
crede di trovare sollievo alla profonda inquietudine nella massoneria, progettando
l'emancipazione dei servi.
Nel romanzo,
Tolstoj condensò il suo pensiero sulla storia, fatta non dai grandi
condottieri ma dalla volontà delle masse, dal loro slancio e dalle loro
segrete convinzioni, di cui i capi sono solo interpreti più (Kutuzov) o meno
(Napoleone ) attenti. |
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Uno dei medici, col grembiale insanguinato e insanguinate le piccole mani, in una delle quali fra pollice e mignolo (per non sporcarlo) teneva il sigaro, uscí dalla tenda. Sollevando la testa, il medico si mise a guardare di qua e di là, ma piú in alto dei feriti. Evidentemente, voleva riposarsi un pochino. Passato qualche momento cosí, voltando la testa a destra e a sinistra, emise un sospiro e riabbassò gli occhi. – Subito subito – esclamò alle parole dell’assistente, che gl’indicava il principe Andrej: e ordinò che lo portassero dentro la tenda. Tra la folla dei feriti in attesa si levò un mormorio. – Si vede proprio che anche al mondo di là il primo posto è per i signori – disse una voce. Il principe Andrej fu portato dentro e deposto su un tavolo appena sgomberato, da cui un assistente stava ripulendo qualche cosa. Il principe Andrej non poté distinguere con precisione che cosa ci fosse in quella tenda. I penosi lamenti che salivano da tutte le parti, il tormentoso dolore al costato, al ventre e alla schiena, lo distraevano dall’osservare. Tutto quello che aveva veduto intorno a sé gli s’era fuso in un’unica impressione generale di nuda, insanguinata carne umana, che riempiva (avrebbe detto) tutta la bassa tenda, come qualche settimana prima in quella torrida giornata d’agosto, questa stessa carne riempiva lo stagno melmoso là sulla strada di Smolensk. Sí, era la stessa chair à canon, la vista della quale fin da allora, come se gli predicesse il momento presente, gli aveva destato un senso d’orrore. Nella tenda c’erano tre tavoli. Due erano occupati; sul terzo era stato deposto il principe Andrej. Per un certo tempo fu lasciato lí solo: e, senza volerlo, vedeva tutto quel che facevano sugli altri due tavoli. Sul piú vicino stava a sedere un tartaro, probabilmente un cosacco, a giudicare dalla divisa gettata accanto. Quattro soldati lo tenevano fermo. Un dottore con gli occhiali stava tagliando qualche cosa in quella bronzea, muscolosa schiena. – Uh, uh, uh!... – pareva grugnire il tartaro: e tutt’a un tratto, alzata all’insú la nera faccia camusa, larga di zigomi, digrignando i denti bianchi, incominciò a dibattersi, a contorcersi, a stridere, con uno strido acuto, penetrante, prolungato. All’altro tavolo, intorno al quale s’affollavano in molti, stava disteso supino, grande di statura, ben in carne, un uomo con la testa riversa all’indietro ( quei capelli ricciuti, il loro colore, la forma di quella testa, sembrarono al principe Andrej stranamente noti ). Parecchi assistenti s’erano buttati di peso sul petto dell’uomo, e lo tenevano fermo. Bianca, grande, ben in carne, una gamba gli guizzava febbrilmente, senza tregua, in rapidi, fitti sussulti. Convulsamente l’uomo rompeva in singhiozzi, che lo strozzavano. Due medici, in silenzio – uno era pallido, e tremava – stavano facendo qualche cosa intorno all’altra gamba, rosseggiante, dell’uomo. Sbrigatosi del tartaro, a cui avevano gettato sulle spalle il mantello, il dottore con gli occhiali, tergendosi le mani, s’appressò al principe Andrej. Diede un’occhiata in faccia al principe Andrej e, frettoloso, si voltò in là. – Spogliatelo! Che state a fare? – gridò rabbiosamente agli assistenti. La piú remota, la primissima infanzia risalí alla memoria del principe Andrej, mentre uno degli assistenti, in fretta, con le maniche rimboccate, gli slacciava i bottoni e gli sfilava i panni di dosso. Il medico venne a chinarsi basso sulla ferita, la palpò, e sospirò profondamente. Poi fece segno a qualcun altro. E uno straziante dolore all’interno del ventre fece perdere al principe Andrej la coscienza. Quando si riebbe, le schegge d’osso dell’anca erano state estratte, i brindelli di carne resecati, e la ferita fasciata. Gli spruzzarono in faccia un po’ d’acqua. Non appena il principe Andrej riaprí gli occhi, il medico gli si curvò sopra, in silenzio lo baciò sulle labbra, e in fretta s’allontanò. Dopo aver sopportato tante sofferenze, il principe Andrej sentiva una beatitudine, che da gran tempo non aveva provata. Tutti i migliori, i piú felici momenti che c’erano stati nella sua vita, particolarmente la piú remota infanzia, quando lo spogliavano e lo coricavano nel suo lettino, quando la njanja, al capezzale, gli cantava la ninnananna, quando lui, affondando la testa nei guanciali, si sentiva felice della coscienza stessa d’esser vivo, gli si riaffacciavano alla fantasia, come se non fossero neppure cose passate, ma fossero realtà presenti. Intorno al ferito, il profilo della cui testa era parso noto al principe Andrej, si affaccendavano intanto i medici: lo andavano sollevando, cercavano di calmarlo. – Fatemi vedere... Ooooh! oh! ooooh! – risonava, spezzato dai singhiozzi, atterrito, fiaccato dal dolore, il suo lamento. Ascoltando quei lamenti, al principe Andrej veniva voglia di piangere. Fosse che moriva cosí, senza gloria; fosse che sentiva rammarico a staccarsi dalla vita; fossero quegl’irrevocabili ricordi infantili; fosse che soffriva, e che altri soffrivano, e che tanto penosamente, dinanzi a lui, si lamentava quell’uomo: certo è che a lui veniva voglia di piangere, piangere lacrime infantili, buone, quasi di gioia. Al ferito fecero vedere, nello stivalone col sangue rappreso, la gamba amputata. – Oh! ooooh! – scoppiò a singhiozzare come una donna. Il medico, che stava lí dinanzi al ferito, e ne nascondeva il viso, s’allontanò. “Dio mio! Come mai? Perché si trova qui?” disse il principe Andrej a se stesso. In quel povero uomo singhiozzante, esausto a cui avevano or ora asportato la gamba, aveva ravvisato Anatolij Kuragin. Lo sostenevano, Anatolij, per le braccia, e gli porgevano dell’acqua da un bicchiere, all’orlo del quale lui non riusciva ad applicare, tremanti e gonfie, le labbra. Anatol’ continuava a sussultare in profondi fremiti di pianto. “Sí, è lui, sí, c’è qualche legame intimo e penoso, fra quest’uomo e me...” pensava il principe Andrej, senza ancora comprendere chiaramente ciò che aveva dinanzi agli occhi. “In che consiste il legame di quest’uomo con la mia infanzia, con la mia vita?” domandava a se stesso, e non trovava risposta. E, d’improvviso, un nuovo, inatteso ricordo, da quel mondo dell’infanzia, della purezza e dell’amore, insorse alla mente del principe Andrej. Si ricordò Natas¡a come gli era apparsa la prima volta a quel ballo del 1810, cosí esile nel collo, nelle braccia, cosí pronta all’entusiasmo, cosí spaurita e felice in viso; e un senso d’amore e di tenerezza per lei ancora piú vivo e piú forte che mai avesse provato, gli si ridestò nell’animo. Si rese conto, a questo punto, di quale fosse il legame che esisteva fra lui e quest’uomo, che ora, fra le lacrime che gli riempivano gli occhi gonfi, vagamente guardava verso di lui. Di tutto il principe Andrej s’era reso conto: e un’esultanza di compassione e d’amore per quest’uomo colmò il suo cuore felice. Il principe Andrej non poté contenersi piú, e pianse lacrime di tenerezza e d’amore, sugli uomini, su se stesso, sui loro e sui propri errori.
“La compassione, l’amore per i
fratelli, per chi ci ama; l’amore per chi ci odia, l’amore per i nemici; sí,
proprio quell’amore che ha predicato Iddio sulla terra, che m’insegnava la
principessina Marija, e che io non comprendevo: ecco che cosa mi dava
rammarico a staccarmi dalla vita, ecco che cosa mi sarebbe ancora restato,
se fossi vissuto... Ma ormai, è troppo tardi. Lo so!”. |
Quando si accinge a scrivere Guerra e Pace nel 1865 il Principe Lev Nikolaevic Tolstoj ha 35 anni ed alcune bizzarre esperienze letterarie alle spalle, dall'Autobiografia al Diario di guerra. Ma questo romanzo risulterà essere uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale. Guerra e pace tenta di far luce su un enigma che si era affacciato alla coscienza dell'Europa proprio nell'Ottocento: l'enigma della storia. Tolstoj si rivolge ad avvenimenti di cinquant'anni prima. Il suo è un romanzo coscientemente storico che sceglie uno dei momenti gloriosi della storia russa recente e lo rilegge alla luce di una profonda visione delle vicende umane. Da un lato Tolstoj si rivolge ad Omero addirittura, dall'altro smonta le mitologie patriottiche e l'idea della storia come qualcosa di governabile dalla ragione o dal grande individuo. È difficile dire se Tolstoj abbia creato i suoi personaggi come illustrazione di un sentimento della vita o se quel sentimento germogli dall'essenza dei personaggi. Così come la storia è l'intreccio di individuale e collettivo, di libertà e di necessità, così in Guerra e pace la visione della storia vive nelle vite degli individui. La guerra è la situazione in cui il carattere paradossale dell'esistenza umana si manifesta pienamente. La storia vi manifesta la sua cieca violenza, ma l'individuo vi può manifestare forse la tragica vicinanza alla propria nuda essenza. Per questo in tempi di guerra e in tempi di pace l'opera di Tolstoj è molto più di un romanzo. Una sinfonia di voci, che cercano di rintracciare senso e verità nel caos della storia.
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