Giannozzo Manetti, Dignità ed eccellenza dell'uomo ( De dignitate et excellentia hominis )
Il valore del corpo contro l'ascetismo medioevale


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ueste pagine sono tratte dall'opera De dignitate et excellentia hominis, in cui Manetti vuole confutare quanto trova scritto in famosi autori «in lode della morte e sulla miseria della vita umana». Obiettivo principale della confutazione è la rivalutazione del valore del corpo umano, come base della sensibilità e di tutte le funzioni superiori di cui l'uomo è contrassegnato rispetto agli altri esseri del creato. Il papa Innocenzo III, autore nel XII secolo De contemptu mundi, invece esprime una visione della realtà ascetica, tesa alla valorizzazione della sola dimensione spirituale dell'uomo ( la sua anima ), considerando il corpo un inutile peso, che stacca irrimediabilmente dalla dimensione più profonda, che è quella religiosa.
 



Donatello, David, 1440
 

Ma avendo il già ricordato Innocenzo composto un particolare trattato, intitolato alla miseria della vita umana, in cui cominciando dall'origine prima ed arrivando all'ultima fine ha riunito molti argomenti, noi ne abbiamo scelti quelli che ci sono sembrati più degli altri degni di menzione e più convenienti al nostro proposito di una piena confutazione. Egli, dunque, dopo avere parlato della vile putredine onde l'embrione è concepito, soggiunge che tutti, quando si nasce, quando ancora non si è viziati a causa dell'età, maschi e femmine, si piange e si geme con queruli4 lamenti per esprimere la verace miseria della nostra natura. [...]

Posti dunque in qualche modo questi e simili argomenti, che gli sembravano le migliori e più solide basi del suo futuro edificio, largamente e diffusamente procede valendosi della nudità, dei pidocchi, degli sputi, dell'orina, dello sterco, della brevità della vita, della vecchiaia, dei vari travagli e dolori dei mortali, dei diversi affanni, della morte incombente, dei molti generi di tormenti, dei molti consimili malanni del corpo umano.

Ora se noi, con la grazia di Dio, riusciremo a confutare come desideriamo, secondo la nostra capacità, tutte queste affermazioni, porremo convenientemente termine al nostro discorso, dopo avere sul fine dell'opera nostra ammonito accuratamente e diligentemente noi stessi e gli eventuali lettori a riconoscere come doni del Signore onnipotente le ottime e felici condizioni dell'umana natura, largamente e diffusamente dichiarate nei tre libri precedenti, onde possiamo vivere in questo mondo sempre lieti ed alacri bene operando, e godere poi eternamente della divina Trinità, da cui ci son venute tutte quelle doti. Desiderando quindi sommamente di confutare a fondo tutti gli argomenti riportati, seguiremo nel rispondere il medesimo ordine in cui li abbiamo riferiti; cominciando perciò dal corpo, non esitiamo a rispondere nel modo seguente a quanto si dice della sua debolezza e dei suoi incomodi.

[ Tutti i malanni di cui l'uomo soffre non derivano affatto da Dio e dalla natura, ma dal peccato commesso dall'uomo stesso, il peccato originale di Adamo ].
 

... ( Gli uomini ) a tale e tanta soggezione furono condannati che, da qualunque causa derivi, appare naturale e risale fino al principio della creazione, dal momento che non v'è dubbio che quella legge della morte e di tutti gli altri malanni incombe su tutti i corpi umani fin dalla nascita e per ogni tempo.
 

Orbene, anche se noi concedessimo questo e altro, tuttavia, se non fossimo troppo queruli e troppo ingrati e ostinati e delicati, dovremmo riconoscere e dichiarare che in questa nostra vita quotidiana possediamo molti più piaceri che non molestie. Non c'è infatti atto umano, ed è mirabile cosa, sol che ne consideriamo con cura e attenzione la natura, dal quale l'uomo non tragga almeno un piacere non trascurabile: cosi attraverso i vari sensi esterni, come il vedere, l'udire, l'odorare, il gustare, il toccare, l'uomo gode sempre piaceri così grandi e forti, che taluni paiono a volte superflui ed eccessivi e soverchi.
Sarebbe infatti difficile a dirsi, o meglio impossibile, quali godimenti l'uomo ottenga dalla visione chiara ed aperta dei bei corpi, dall'audizione di suoni e sinfonie e armonie varie, dal profumo dei fiori e di simili cose odorate, dal gustare cibi dolci e soavi, e infine dal toccare cose estremamente molli.

E che diremo degli altri sensi interni? Non possiamo dichiarare a sufficienza con parole quale diletto rechi seco quel senso che i filosofi chiamano comune nel determinare le differenze delle cose sensibili; o qual piacere ci dia la varia immaginazione delle diverse sostanze e accidenti, o il giudicare, il ricordare, e infine l'intendere, quando prendiamo a immaginare, comporre, giudicare, ricordare ed intendere le cose già apprese mediante qualche senso particolare.

Perciò se gli uomini nella vita gustassero quei piaceri e quei diletti, piuttosto che tormentarsi per le molestie e gli affanni, dovrebbero rallegrarsi e consolarsi invece di piangere e di lamentarsi, soprattutto poi avendo la natura fornito con larghezza copiosa numerosi rimedi del freddo, del caldo, della fatica, dei dolori, delle malattie; rimedi che sono come sicuri antidoti di quei malanni, e non aspri, o molesti, o amari, come spesso suole accadere con i farmachi, ma piuttosto molli, grati, dolci, piacevoli. A quel modo infatti che quando mangiamo e beviamo, mirabilmente godiamo nel soddisfare la fame e la sete, così ugualmente ci allietiamo nel riscaldarci, nel rinfrescarci, nel riposarci [...].

In tal modo tutte le opinioni e le sentenze sulla fragilità, il freddo, il caldo, la fatica, la fame, la sete, i cattivi odori, i cattivi sapori, visioni, contatti, mancanze, veglie, sogni, cibi, bevande, e simili malanni umani; tutte, insomma, tali argomentazioni appariranno frivole, vane, inconsistenti a quanti considereranno con un po' più di diligenza e di accuratezza la natura delle cose. [...]

..... Se il corpo del primo uomo fu fatto dal fango della terra, e invece i corpi degli altri esseri, così animati come inanimati, (...) appaiono per loro natura più nobili della terra, senza dubbio questa fabbrica umana, sia pur di materia terrestre, doveva apparire di tanto più nobile ed eccellente di fronte a tutte le altre, di quanto superava e i venti e i pianeti e le stelle, le quali cose, ancorché fatte d'aria e di fuoco, risultano tuttavia insensibili ed inanimate; e di gran lunga eccelleva anche sui pesci e gli uccelli, fatti d'aria, e sui bruti animali, che erano, come l'uomo, usciti animati dalla terra.

Questo animale razionale, provvido e sagace, aveva appunto un corpo molto più nobile delle bestie, con cui pure sembrava convenire rispetto alla materia, poiché era ben più atto a operare, a parlare e ad intendere, funzioni di cui quelle invece erano prive. E così pure poteva ugualmente considerarsi più egregio non solo dei venti e delle stelle, cose del tutto prive di senso, ma anche dei pesci e degli uccelli, che sono animati.

Il corpo umano infatti, pur non avendo comune la materia con nessuno di quegli esseri, tuttavia, per le ragioni medesime addotte sopra a proposito degli animali terrestri, risulta superiore, e la stessa superiorità deve ammettersi anche a proposito degli animali dell'aria e dell'acqua, essendo stato fatto per propria natura in modo che, senza il peccato, non sarebbe mai perito; cosa che non si conviene a nessun altro corpo. Perciò l'elemento terrestre deve essere considerato di tanto più ammirevole e nobile degli altri, di quanto, pur essendo per natura più ignobile e vile di essi, vediamo invece che nel corpo dell'uomo fu su quelli sublimato ed esaltato.

 

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