Anna SALERNI  La disciplina a scuola  - Carocci, 2005

 
     


       
Ha ancora senso parlare di disciplina a scuola? Che cosa intendono gli insegnanti con tale termine? Quali strategie e interventi è utile suggerire per ottenerla? Hanno valore per gli insegnanti le sanzioni disciplinari? Queste alcune delle domande a cui si cerca di rispondere nel volume. Il testo vuole offrire una riflessione su un tema tornato di grande attualità: la condotta degli studenti a scuola. Si tratta, infatti, di un argomento molto dibattuto su cui vi sono, accanto a punti di vista fortemente condivisi, opinioni nettamente contrastanti tra gli insegnanti. Attraverso l´analisi della normativa in materia, del dibattito e delle ricerche sul tema, della rassegna di alcuni modelli educativi suggeriti da insigni studiosi del pensiero pedagogico e dei dati raccolti in una ricerca che ha coinvolto insegnanti della scuola secondaria superiore, il libro offre ampi spunti di analisi con l´obiettivo non di proporre facili ricette, ma di individuare azioni che possano essere condivise dai diversi protagonisti del processo formativo.

  • Indice

Prefazione, di Pietro Lucisano/ Introduzione/ Ringraziamenti/ 1.La condotta degli studenti/Un dibattito sempre acceso/Chi vuole il sette in condotta?/ Etimologia e significati dei termini: condotta e disciplina/La condotta nella scuola italiana: che cosa prevede la normativa/La condotta nel pensiero educativo/La condotta come risultato educativo/Il buon educatore, le regole e la disciplina/ 2.Che cosa pensano gli insegnanti della condotta/ Una ricerca sulle opinioni dei docenti/ Il modello di ricerca/Lo strumento di rilevazione/I fattori che per gli insegnanti definiscono e influenzano la condotta/ 3.Conclusioni e riflessioni/Opinioni divergenti e opinioni comuni sulla disciplina/ Le strategie possibili per la "buona condotta" / Appendici/A.I. Il questionario insegnanti/ A.2. La metodologia di analisi dei dati / Bibliografia.

  • Estratto

Il lavoro di Anna Salerni rappresenta un contributo alla discussione di un problema di grande rilievo. Infatti, forse mai come in questo momento, la scuola vive una grande difficoltà nel proporsi in modo autorevole agli studenti e gli studenti vivono un grande disagio perché, non trovando una guida autorevole, reagiscono in modo scomposto. Certo, il problema non è solo della scuola. La scuola è specchio di una società in cui è evidente una crisi di credibilità delle istituzioni, in cui sono carenti i riferimenti etici che regolano i comportamenti degli individui in relazione a quelli della collettività, in cui, anche dal punto di vista della rappresentazione, coloro che impersonano le istituzioni per mettersi in mostra cercano il ridicolo, trascinando in questo ridicolo, che li rende molto popolari, anche l’immagine delle istituzioni che rappresentano. La scuola in tale contesto vive in laboratorio i sintomi di disgregazione sociale di questa fase di .ne impero; la mancanza di disciplina, e in particolare di interiorizzazione dei valori che alla disciplina sono connessi, non solo in termini etici ma anche in termini pratici, ha effetti devastanti sull’efficacia del lavoro educativo.

La contraddizione che vive la società, che da un lato promuove lassismo rispetto alle regole che vengono palesemente infrante da chi dovrebbe rispettarle e dall’altro reagisce con grande intolleranza contro le trasgressioni dei membri più deboli, si ripercuote ovviamente anche nella scuola. La stessa idea che il successo nella società reale non dipenda dalle competenze, ma dalla capacità di sfruttare con astuzia e "in barba alle leggi" posizioni di favore e di forza, non favorisce lo sforzo connesso ai processi di apprendimento. Così, mentre i ragazzi assistono alle prestazioni di un rappresentante dello Stato che fa le corna a un collega durante una foto istituzionale, alla costruzione di eroi mediatici per il merito di parlare sgrammaticato, dire sciocchezze, litigare o esprimersi con gesti e parole triviali nella Casa del Grande Fratello, fanno fatica a capire il senso di una proposta educativa rigorosa e impegnativa. Dalle pagine dei quotidiani i commentatori si strappano le vesti, chiedono maggior rigore e accusano la scuola e gli insegnanti di essere essi stessi artefici colpevoli della situazione. In questo teatrino, in cui tutti saremmo bravissimi a educare i .gli degli altri, salvo stendere un velo pietoso sui risultati che abbiamo ottenuto come genitori, molti cedono al rimpianto di come funzionavano le cose in passato, "ai tempi miei". La mia impressione è che gli insegnanti, nonostante le grandi difficoltà che si trovano a governare, mantengano un livello maggiore di consapevolezza della complessità del problema che abbiamo di fronte e, dunque, è di grande interesse cercare di approfondire quali siano le loro percezioni del fenomeno, le spiegazioni che elaborano, gli atteggiamenti che li guidano nell’affrontarlo.

Se consideriamo, con Anna Salerni, l’etimo del termine "disciplina" possiamo trovare nel suo significato un punto di partenza solido e, al tempo stesso, una indicazione del percorso da seguire. Infatti, la parola disciplina in latino contiene assieme i significati di imparare, apprendere, dunque si riferisce a un processo e, al tempo stesso, indica ciò che si è imparato, la scienza, il sapere e, infine, indica il modo di comportarsi che consente di apprendere conoscenze e modalità di azione pratica e sociale. Il concetto di disciplina sembra dunque poter essere ricompreso nel concetto più ampio di esperienza.

La separazione della scienza, considerata come prodotto, dal processo nel quale essa viene costruita, la riduce a una sterile precettistica. Allo stesso modo la separazione della disciplina dal contesto nel quale se ne comprende il significato e la necessità la rendono un "Galateo" per animali ammaestrati. È inutile memorizzare formule matematiche o date assunte in modo apodittico senza una comprensione profonda di ciò a cui si riferiscono. Così come è inutile imporre regole di comportamento formali alle quali non corrisponde una reale interiorizzazione e che vengono assunte e rispettate solo per timore di punizioni. Anna Salerni riprende con correttezza il pensiero di Dewey: è nel fare dell’esperienza, nell’interazione con l’ambiente e con gli altri individui che scopriamo che il raggiungimento dei nostri obiettivi richiede disciplina: sapere, saper fare e saper comportarsi. Nei processi reali la buona condotta è necessitata. È buona condotta non toccare un oggetto incandescente, è buona condotta camminare in fila su una cengia, è buona condotta passare la palla ai compagni, è buona condotta valorizzare gli apporti di tutti i membri di un gruppo per raggiungere un obiettivo a cui si tiene. Si tratta di considerazioni che si trovano ampiamente sviluppate in tutta la riflessione in campo educativo e che in qualche modo si ricollegano all’attivismo pedagogico dalla metà dell’Ottocento.

La difficoltà della scuola a promuovere la disciplina del sapersi comportare deriva, nella maggior parte dei casi, dall’assenza della disciplina come processo di apprendimento e dalla scienza (la disciplina come prodotto) come obiettivo. Il rischio di considerare l’aspetto del comportamento isolato dal complesso dell’esperienza porta sia agli esiti autoritari a cui ho accennato, sia agli esiti che raccoglierei sotto l’etichetta di lassismo agnostico. È frequente, infatti, che l’analisi separata dei problemi di comportamento porti alla ricerca di soluzioni sul piano psicologico, sociologico, educativo, con la tentazione forte di trasformare la classe da gruppo a prevalente caratterizzazione secondaria, centrato sul compito, a gruppo a prevalente caratterizzazione primaria, centrato sulle persone e sui loro bisogni intimi. In questa prospettiva si rischia di abbandonare l’obiettivo della scienza e di trasformare la classe in una sorta di asilo in cui tutto è compreso e perdonato in assenza di momenti concreti di verifica; in cui alla disciplina intesa nel senso dell’apprendere è sostituita la ricerca di uno star bene virtuale.

In questa prospettiva la responsabilità individuale cade di fronte alle infinite giustificazioni personali, familiari, sociali. Il concreto dell’esperienza farebbe giustizia immediata di queste ragioni tutte vere e tutte insufficienti. Chi non cammina in fila in un sentiero di alta montagna cade. Contro questa tendenza si è spesso scagliato Benedetto Vertecchi richiamando l’attenzione sullo scopo della scuola, che è quello di favorire processi di apprendimento, consolidare conoscenze e stili di comportamento e non quello di promuovere uno star bene fine a se stesso e sostanzialmente vuoto se non incarnato in interazioni reali che richiedono capacità di costruire desideri e vagliare percorsi. Dunque, si tratta di fondare la disciplina sulla disciplina. Dando rilievo a ciò che si studia e al modo in cui si studia. In questo percorso può essere utile riportare l’attenzione al perché si studia.

Tommaso Campanella parlando Delle virtù e dei vizi in particolare affronta il tema della "studiosità" in questi termini:
«alcuni vogliono conoscere per conoscere e questi sono viziosi; altri conoscere per essere conosciuti e questi sono ambiziosi; altri per far guadagno e questi sono avari; altri infine per diventar migliori e questi sono studiosi».

In questa situazione aprire una discussione concreta e pacata del "problema disciplina" a partire dalla percezione degli insegnanti mi appare di grande utilità. È nell’approfondimento dei problemi concreti e nella ricerca collegiale di soluzioni che è possibile identificare percorsi più efficaci e costruire una scienza dell’educazione. Le nuove responsabilità legate all’autonomia, possono favorire la ricerca di percorsi più efficaci. Rimane il fatto che un discorso solo sulla scuola che non affronti i nodi del contesto sociale, economico e culturale in cui la scuola si trova a operare rischia di avere il fiato corto: sapersi comportare a scuola è sempre il risultato dell’esperienza di come ci si comporta in società e rimane vero quanto rispose Senofilo Pitagorico interrogato su quale fosse il miglior modo di educare un figlio: «Facendolo diventare cittadino di uno Stato ben governato».

PIETRO LUCISANO

1. In Diogene Laerzio, Vite dei Filoso., Libro VIII, p. 16.

  • Introduzione

Questo libro trae spunto dai risultati di una ricerca relativa alla percezione che gli insegnanti hanno della disciplina degli studenti a scuola. Il tema della disciplina rappresenta una questione centrale e sempre dibattuta in campo educativo e trova anche un gran numero di riferimenti nella narrativa di tutti i tempi. Se è vero che gli obiettivi primari nel lavoro degli insegnanti, in particolare di quelli della scuola secondaria, riguardano la trasmissione di contenuti e di atteggiamenti, la costruzione di competenze e di capacità critiche, è altrettanto vero che esiste una distanza notevole tra queste finalità e la vita reale nella classe e nella scuola. Sempre più i vincoli strutturali e il clima culturale complessivo pesano, infatti, sull’attività degli insegnanti. Nella realtà, quindi, i buoni propositi rimangono spesso sulla soglia di un’aula composta da alunni in gran parte disattenti, disinteressati, troppo vivaci, non disposti a considerare il rilievo di ciò che viene loro insegnato e a riconoscere il ruolo e l’autorevolezza di chi insegna. Mantenere la disciplina, riuscire a tenere l’ordine in classe, far rispettare le principali regole di comportamento in gruppo diventa perciò una delle principali preoccupazioni degli insegnanti, una precondizione per poter lavorare, e, dunque, un obiettivo il cui raggiungimento contribuisce, peraltro, in modo rilevante al successo dell’attività didattica e formativa. L’idea di fondo di questo testo è quella che la disciplina debba essere intesa come l’effetto di un determinato intervento educativo e non come un mezzo. Intervento che mira a far sentire gli studenti come parte di un gruppo, in modo che possano più facilmente e spontaneamente acquisire comportamenti disciplinari collettivamente accettabili e condivisibili. Nella mia attività di ricerca ho sempre dedicato particolare attenzione ai problemi della convivenza civile e democratica e ai temi dell’uguaglianza delle opportunità negli studi, con un interesse specifico alle relazioni interpersonali a scuola, tra insegnanti, tra insegnanti e allievi e tra allievi. Le riflessioni maturate nel corso di questi anni mi hanno spinto a considerare, in particolare, i fattori di contesto e di processo che possono determinare i successi o gli insuccessi scolastici. Tali fattori si legano fortemente al tipo di comportamento in classe degli allievi e degli insegnanti e all’attenzione che questi ultimi dedicano alla disciplina, quando questa è intesa non come il pedissequo rispetto e osservanza di determinate norme, ma come condivisione di regole di comportamento comune e acquisizione spontanea di atteggiamenti socialmente accettati.

Tra le competenze richieste ai docenti rientrano perciò anche quelle di tipo relazionale, cioè quelle competenze che permettono di gestire la classe e di creare un clima di lavoro positivo e motivante in grado di facilitare le diverse attività scolastiche e gli stessi processi di apprendimento. Obiettivo di questo testo, pertanto, è quello di riflettere sugli stili disciplinari degli insegnanti, anche attraverso i dati raccolti con una ricerca sul campo, per cercare di suggerire interventi e comportamenti che possano aiutare ad affrontare il problema della condotta degli studenti. Il libro è strutturato in tre parti. Nella prima, dopo aver presentato il dibattito contemporaneo sul problema della disciplina a scuola e sottolineato l’attualità del tema, definisco il significato dei termini "condotta" e "disciplina", generalmente usati in modo interscambiabile e con una valenza prevalentemente negativa, per poi passare all’analisi della normativa in materia e del modo in cui il tema è stato affrontato da studiosi di problemi educativi in differenti momenti storici e in diversi contesti istituzionali e formativi. L’analisi della letteratura pedagogica, a cui ho dedicato un ampio capitolo, è stata in particolare effettuata concentrando l’attenzione su alcuni autori che, a partire dall’età moderna, con diversi approcci, da quelli più direttivi a quelli più libertari, hanno sostenuto l’idea dell’educazione all’autocontrollo e all’autodisciplina dell’allievo. L’esame della letteratura in campo educativo e delle ricerche sul campo mi hanno permesso di definire un modello su cui impostare l’indagine empirica per rilevare le opinioni degli insegnanti sul tema della disciplina e di costruire il Questionario sulla percezione della condotta (QPC) che è stato somministrato a docenti di scuola secondaria superiore.

La seconda parte del testo riguarda l’analisi e il commento dei dati raccolti in tale ricerca. In questa parte riporto anche alcuni brani tratti da opere letterarie esemplificative di scene quotidiane di vita scolastica che hanno per oggetto il tema della disciplina a scuola, viste da scrittori di diversa provenienza storica e geografica. La scelta di riportare queste "scene" ha in particolare la funzione di aiutare il lettore a comprendere e spiegare ancor meglio il punto di vista degli insegnanti, considerando sia il modo in cui essi affrontano i problemi della disciplina sia il modo in cui gli studenti vivono i provvedimenti disciplinari. Nell’ultima parte del testo, riprendo in modo più generale i dati della ricerca sulle opinioni degli insegnanti, relazionandoli con quelli di indagini affini in campo educativo, per suggerire alcuni approcci che sarebbe utile adottare per affrontare il problema della disciplina a scuola. Chiude il libro un’Appendice in cui presento, oltre allo strumento di rilevazione, la metodologia di lavoro seguita per l’analisi e il trattamento dei dati utilizzando un linguaggio il più possibile comprensibile e chiaro anche per i non addetti ai lavori. Il Questionario sulla percezione della condotta è riportato integralmente in Appendice proprio per essere messo a disposizione degli insegnanti, pronto per l’uso. L’obiettivo è infatti quello di consentire ai docenti, individualmente o collegialmente, di riflettere in modo concreto sulla questione della condotta e dare loro l’opportunità di confrontare le proprie opinioni con quelle dei loro colleghi che sono stati coinvolti nella ricerca. Questo libro non è comunque diretto soltanto agli insegnanti, ma anche a tutte quelle figure che in qualche modo contribuiscono alla formazione della condotta di un individuo, prima ancora che di uno studente.
 

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