Professionalizzare l'insegnamento
Tratto da: Vanna Gherardi- Insegnare nella scuola primaria - La ricerca nella didattica - Carocci 2004

L'insegnante e la ricerca

Quando Gilbert De Landsheere scriveva il suo libro La formazione degli insegnanti domani 1 pensava all'insegnante di scuola primaria - di scuola dell'infanzia e di scuola elementare - dell'anno 2000, dotato di certe competenze in virtù di una formazione pensata secondo i criteri della formazione continua e che doveva avvenire a stretto contatto con la ricerca, in particolare con la ricerca sperimentale. D'altronde, egli stesso insegnante prima ed esperto poi di formazione degli insegnanti a livello mondiale, è stato fondatore del Laboratorio di Pedagogia sperimentale a Liegi che è diventato un punto di riferimento per la ricerca internazionale sull'educazione scolastica. Profondo conoscitore delle problematiche della formazione degli insegnanti, dal suo osservatorio di ricerca ne aveva mostrato il radicamento nel tessuto culturale. Il ruolo della scuola nella società è soggetto a mutamenti che si ripercuotono sulle modalità dell'insegnamento e sul ruolo degli stessi insegnanti. Impossibile pensare la loro formazione ponendo attenzione ai soli contenuti di insegnamento. Le funzioni dell'insegnante non si esauriscono nel solo campo cognitivo inerente agli apprendimenti degli allievi e all'ampliamento delle loro conoscenze. L'insegnante entra in relazione con l'extrascuola, promuove lo sviluppo sociale dell'allievo, costruisce contesti scegliendo materiali, luoghi e metodi di insegnamento, ha giornalmente a che fare con la gestione delle emozioni e delle relazioni con gli altri (colleghi, genitori, allievi ecc.).
Da queste premesse, e supportando la posizione dell'Unesco già espressa nel 1966, De Landsheere individua nei seguenti punti quelli che egli chiama "i campi della formazione" perché la condizione di lavoro degli insegnanti possa avvenire in un clima di professionalità:

1. Studi di carattere generale
2. Studi nelle scienze dell'educazione (pedagogia, psicologia, sociologia, didattica ecc.).
3. Studi nei campi in cui si eserciterà l'insegnamento
4. Tirocinio didattico.

Emerge un profilo professionale che prevede per tutti gli insegnanti, di ogni grado scolastico compresi i livelli di scuola elementare e di scuola dell'infanzia, un fondamento culturale forte sia disciplinaristico ( la pratica dell'insegnamento lo presuppone ) sia di tipo generale. È così che i fondamenti epistemici delle discipline di studio, di norma riservati agli specialisti del campo, rientrano a pieno titolo nella formazione iniziale dell'insegnante; il dominio del campo di insegnamento è presupposto della pratica dell'insegnare quando questa cessa di essere considerata un'azione di pura trasmissione di conoscenze e l'obiettivo formativo diventa quello della comprensione anziché della ripetizione mnemonica. Lo studio nel campo delle scienze dell'educazione contribuisce, poi, ad attrezzare strumentalmente l'insegnante di quelle competenze necessarie a dominare l'insieme delle operazioni richieste dall'insegnamento, a penetrare con professionalità nei processi di formazione degli allievi.

Il tirocinio didattico, poi, è visto come quel momento formativo utile a saldare la teoria con la pratica, momento necessario perché si realizzi una professionalità reale, intesa come quell'agire consapevole di chi riconosce nei comportamenti degli allievi l'origine di quei problemi educativi divenuti oggetto di studio per le diverse discipline scientifiche sull'educazione. Perché agire con professionalità significa innanzitutto saper riconoscere la natura di eventuali problemi che la pratica pone, in modo tale che l'intervento possa realizzarsi sulla base di analisi e di studi atti a orientare con competenza le decisioni dell'in­segnante. Questa competenza di base orienta professionalmente l'agire dell'insegnante e ha inoltre il pregio di porre l'insegnante a contatto diretto, costante e sistematico, con i campi di ricerca nei principali settori di studio sull'educazione; fatto che favorisce l'interscambio tra l'operatività del campo educativo con la comunità dei ricercatori.
 

«L'arte dell'insegnare deve nutrirsi di ricerca», sosteneva De Landsheere argomentando la sua convinzione in relazione al modo di affrontare i problemi educativi che nascono in situazioni scolastiche, insistendo sui reciproci benefici che ne derivano sul piano della ricerca da un lato e su quelli dell'insegnamento dall'altro. Il campo dell'educazione rifugge per sua natura da ogni forma di determinismo 2, ne si può pre­tendere di formare una volta per tutte un professionista che assolva a diverse funzioni che si riconoscono sia in quella di mediatore di saperi in evoluzione sia in quella di persona capace di sintesi applicativa rispetto alle conoscenze scientifiche. È rispetto a questa caratteristica che in più occasioni De Landsheere sottolinea il parallelismo professionale tra l'attività dell'insegnante e quella del medico: singolarità di situazioni e applicazione sintetica di innumerevoli dati di conoscenza.

L'insegnante ricercatore

Anche Stenhouse ha contribuito a costruire l'immagine professionale dell'insegnante ricorrendo all'idea forte della ricerca collegata all'esercizio delle pratiche educative. L'idea centrale è quella dell'insegnante come ricercatore, come membro della comunità scientifica che considera la classe come laboratorio per dare vita a una reale scienza dell'educazione.

Questa idea di insegnante come ricercatore è espressa da Lawrence Stenhouse in un testo in cui discute gli studi sul curricolo e sulla natura dell'insegnamento. Egli si dice convinto che trattare questi temi serva a qualificare professionalmente la pratica dell'insegnamento, che non può dipendere unicamente dal corso di studi universitario seppur migliorato ed «elevato di tono intellettuale» 3.

Sebbene il ruolo dell'insegnante come ricercatore sia proprio di altri paesi, dove si è sviluppato in rapporto alla ricerca sul curricolo scolastico - come nei paesi anglosassoni a cui per altro Stenhouse si riferisce prendendo parte all'intenso dibattito che si sviluppò negli anni attorno al 1970 — la sua proposta ha comunque contribuito a dare vita anche nel nostro paese a un dibattito tra esperti che si poneva come prospettiva lo svecchiamento di un ruolo di insegnante che pretendeva alte capacità ripetitive dagli alunni e che si limitava a controllare acquisizioni di regole e di teorie al di là di una loro comprensione di funzionalità rispetto alle richieste del fare quotidiano.

Il concetto di professionalità a cui si ricollega l'idea di insegnante ricercatore è quello definito di "professionalità estesa" in contrapposizione a quello di "professionalità ristretta". La caratteristica distintiva di professionalità estesa riferita all'insegnante riguarda la disponibilità a una verifica sistematica del proprio insegnamento. Un atteggiamento a riconsiderare criticamente le proprie decisioni come metariflessione sul proprio lavoro. Come dice Stenhouse: «In breve, la caratteristica principale della professionalità estesa è una capacità di sviluppo professionale autonomo mediante lo studio sistematico di se stessi, mediante lo studio del lavoro d'al­tri insegnanti e la verifica delle idee tramite la ricerca sulla classe» 4.

A un quarto di secolo di distanza da quei discorsi che hanno contribuito a pensare e strutturare percorsi formativi anche nel nostro paese, ha finalmente preso avvio il rinnovamento formativo di tutti gli insegnanti attraverso un corso universitario per la formazione primaria e una scuola di specializzazione post lauream per gli insegnanti della secondaria. I nuovi percorsi formativi tendono a dotare l'insegnante di quelle conoscenze specialistiche finora riservate agli specialisti delle discipline di studio e quelle competenze sui processi educativi e didattici che consentiranno agli insegnanti l'acquisizione di una consapevolezza critica e creativa rispetto alle esigenze che pongono le pratiche educative a scuola. Si è così finalmente interrotta una tradizione di non-formazione per gli insegnanti nel nostro paese che ha rallentato i tempi di democratizzazione della scuola e banalizzato importanti innovazioni sul piano didattico. 

 L'insegnante di qualità

La cultura della qualità, che sta interessando sempre più da vicino il mondo della scuola, contribuisce a porre in primo piano la questione della formazione e della riqualificazione delle competenze professionali degli insegnanti come questione urgente, in quanto ritenute risorse umane indispensabili alla realizzazione di un servizio di alta qualità.

Dall'ambito della produzione in senso classico, quella del mondo industriale, la spinta sociale alla qualità ha lentamente ma progressivamente orientato l'attenzione all'ambito dei servizi. La diffusione delle esigenze di qualità di servizio ha, per esempio, orientato le politiche di Enti lo cali nel migliorare il funzionamento di varie tipologie di servizi, da quelli per l'infanzia a quelli per gli anziani, a quelli della viabilità ecc.

La necessità di controllare la qualità ha contribuito a spostare il fulcro dell'attenzione dal prodotto all'insieme delle operazioni da cui origina quel prodotto. Si è passati così da una concezione di qualità di prodotto a quella di processo. Si è fatto quindi chiarezza sul fatto che il miglioramento dei benefici di un servizio passa necessariamente attraverso il controllo della serie di processi attuati per realizzarlo.

Sia per un'organizzazione pubblica che per quella privata si tratta di dotarsi di un sistema di qualità e di certificarlo. Questo è già possibile in tutti i paesi dell'Unione Europea in base a un accordo a livello internazio­nale (il Multilateral Agreement del 1995), e nel frattempo sono nate nuove professioni legate al problema di una certificazione della qualità delle procedure, come per esempio il "certificatore"; sta cambiando il vocabolario burocratico (modello ISO 9000, SA 8000), si impone infine una crescente attenzione alla "formazione" a tutti i livelli del personale le cui incapacità sono ritenute le note critiche di impedimento di un servizio di qualità.

Sul piano dell'organizzazione scolastica, la "Carta dei servizi" è un esempio concreto di tendenza verso l'adozione di un sistema di qualità. La Carta dei servizi della scuola e il relativo schema generale di riferi­mento 5 introducono, per esempio, all'applicazione di concetti e di strumenti di qualità come l'individuazione degli indicatori di qualità del servizio che permettono un controllo esterno e nel contempo servono a pubblicizzare la qualità del servizio proposto.
Da questa premessa segue la necessità di cambiare il punto di vista sull'insegnamento e sul concetto di professionalità docente. L'insegnamento oggi richiede un'organizzazione che non sia unicamente centrata sugli obiettivi curricolari e richiede un insegnante di qualità capace di imprimere dinamismo alle situazioni di apprendimento, creando situazioni favorevoli in classe e nell'ambiente esterno per produrre i cambia­menti voluti negli allievi.

Il suo ruolo sarà quello di "facilitatore" e le sue competenze sono incluse in un concetto globale di qualità che va oltre l'individuazione di capacità comportamentali, singole e isolate, che pur emergono ma come espressione di atteggiamenti. Il concetto di insegnante di qualità emerge da una combinazione di quel tipo di competenze di base già individuate da De Landsheere, relative alla padronanza dei contenuti di insegnamento e alle competenze didattiche, a cui vanno aggiunte con più forza altre competenze, quelle gestionali e cooperative, quelle metacognitive, e quelle empatiche. Non è che De Landsheere ignorasse questo tipo di competenze, ma le considerava interne alle caratteristiche di personalità, come qualità personali dell'insegnante, qualità necessarie sia alla costruzione della personalità dell'allievo sia al mantenimento del proprio equilibrio psichico che rischia di essere compromesso da una interazione costante e continuata nel tempo con allievi singoli e in gruppo e con adulti ( colleghi, genitori, dirigenti ).

 
Risulta limitante considerare la formazione di abilità ( gli skills ) psicologiche che intervengono nell'azione dell'insegnare come staccate e individuabili in precisi comportamenti. Un profilo di insegnante di qualità punta sull'azione sinergica del "sapere", del "saper fare" e del "saper essere" secondo una dinamica di compenetrazione e di sintesi di queste componenti in quanto le abilità nell'azione devono poter emer­gere in qualsiasi momento.
Oggi si richiede un insegnante capace di creare condizioni favorevoli all'apprendimento attraverso un saper fare motivante, capace di empatia, che insegua la benevolenza degli studenti; un insegnante che susciti simpatia e che soprattutto sappia ascoltare l'allievo comunicandogli il gusto dell'imparare, creando così quell'atmosfera di benessere che è il clima ideale per un ambiente di apprendimento.

Rispetto alle competenze metacognitive che intervengono nell'azione risulta utile riferirsi alla distinzione che fa Cornoldi quando definisce l'" atteggiamento metacognitivo" come «un nucleo critico di una generale abilità metacognitiva»6.
Sarebbe questo atteggiamento metacognitvo a disporre l'insegnante alla riflessione sulla propria attività e a riconoscere il contributo dato al conseguimento dell'obiettivo voluto, come il successo negli apprendimenti degli allievi. E quel tipo di "sensibilità metacognitiva" che può emergere nel corso di qualsiasi momento dell'attività scolastica e che sta alla base del meccanismo di controllo nel corso di una attività.

Anche Donald Schön, parlando del professionista riflessivo 7, riconosce nel meccanismo della "riflessività in azione" il nucleo fondante di quel tipo di professionalità che richiede un costante controllo nel corso dell'attività, in quanto consente di assumere un atteggiamento di distac­co critico rispetto agli eventi in corso. E quel tipo di distacco che per­mette all'insegnante di vedersi in azione e acquisire consapevolezza del proprio lavoro. Per prendere coscienza occorre uscire fuori dal paleo scenico, per usare una terminologia proposta da Goffman 8; ciò serve ad analisi più obiettive, e ad evitare di perdere il dominio, nell'intreccio di relazioni, del controllo delle situazioni, pericoloso sintomo di crisi professionale o di "burn-out", come si definisce oggi la situazione di chi esce dallo stato di professionalità.

Appare ovvio che si parla per essere capiti, ma quanti insegnanti attuano quel meccanismo di controllo di comprensione del messaggio? Esempio: «Mi ha capito?». «Cosa può aver capito diversamente?». «Qual è il suo livello di comprensione?». Perché esistono molte variabili che influenzano la comprensibilità nel messaggio dell'interlocutore. Non ultimo il fatto che l'insegnante si trovi di fronte a un gruppo eterogeneo di allievi. La competenza metacognitiva entra in gioco quando l'insegnante cerca di collegare quello che insegna ai processi mentali che si verificano negli allievi; o quando li aiuta a riflettere su cosa li ha indotti in errore e insegna l'uso di qualche strategia, magari suggerendo modalità da lui stesso sperimentate. Assume, nella sostanza, la sensibilità del ricer­catore che non si limita all'evidenza dei fatti, non si accontenta di qualche risultato, ma vuole capire il perché in quel "caso" si è verificato quel tipo di risultato. Le risposte frettolose, anche se sostenute da valide interpretazioni, inibiscono la riflessione e non consentono di rileggere l'esperienza quando invece ciò che importa è "capire il caso".

Nel tracciare il profilo dell'insegnante di qualità, da più parti si insiste sull'importanza dei fatti emozionali.
L’ empatia, per esempio, viene considerata una qualità professionale apprezzabile che consente nelle relazioni interpersonali di entrare in sintonia coll'altro e di modulare il proprio intervento all'insegna della disponibilità e dell'ascolto. È da considerare inoltre che la capacità di prendere in considerazione il pun­to di vista dell'altro, quale condizione empatica di condivisione affettiva, è tra i presupposti sociali della cooperazione.

Ma ciò che è importante sottolineare a proposito della formazione dell'insegnante è il fatto che questi fattori emozionali non sfuggono alla sfera cognitiva, bensì essi sono apprendibili secondo le diverse forme che gli studi dei rispettivi campi hanno dimostrato. Quindi, non più di doti personali si tratta, bensì di qualità professionali apprendibili ed esercitabili9.

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1. Cfr. G. De Landsheere, La formazione degli insegnanti domani. Armando, Ro­ma 1978.

2. L'estrema variabilità delle situazioni educative fa di queste delle situazioni uniche, realtà che portò Mialaret a definire l'educazione come «una funzione a "n" variabi­li». Cfr. G. Mialaret, La formazione degli insegnanti. Armando, Roma 1979, p. 30. L'autore, trattando della complessità dei fatti educativi, individua una serie di fattori che contri­buiscono a determinarli, senza pretese di esaustività, e che vanno dalle condizioni gene­rali dell'istituzione educativa nella società alle condizioni locali in cui opera una istitu­zione educativa, alle condizioni relative al rapporto educativo.

3. Cfr. L. Stenhouse, Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo. Armando, Roma 1977.

4. Ivi, p. 177.

5. La Carta dei servizi della scuola, emanata dal Consiglio dei ministri il 7 giugno 1995, è adottata da tutte le istituzioni scolastiche per la disciplina delle procedure su cui al termine di ciascun anno scolastico il consiglio di istituto è chiamato a redigere una re­lazione sulla attività formativa della scuola.

6 Cfr. C. Cornoldi, Metacognignizione e apprendimento, il Mulino, Bologna 1995, p. 47. 7.

7 D. A. Schön, II professionista riflessivo. Dedalo, Bari 1993

8. Erving Goffman è una delle figure più stimolanti della sociologia contempora­nea che ha proposto l'originale tesi della vita sociale come teatro. In particolare cfr. La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1969.

9. Si veda in proposito la rassegna di studi e ricerche sull'empatia, questa significa­tiva caratteristica umana, presentata da S. Benino, A. Lo Coco, F. Tani nel volume Em­patia. I processi di condivisione delle emozioni. Giunti, Firenze 1998.

 

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