La competenza sociale dell'insegnante
Fabio Veglia




Fabio Veglia - Educazione sociale
Il training per la competenza sociale: applicazioni nella scuola - Edizioni Omega, 1988

 

Prof. Fabio Veglia

Docente di Psicologia Cognitiva e psicoterapia
Direttore della Scuola di psicoterapia cognitiva di Torino
Professore associato di Psicopatologia e sessuologia

INDICE

Introduzione

Parte Prima    EDUCARE ALLA SOCIALITA -
Capitolo 1     L'insegnamento come processo di interazione sociale
Capitolo 2     La Teaching Skills Classification
Capitolo 3     La Competenza Sociale
Capitolo 4     Il Training per la Competenza Sociale rivolto agli insegnanti
Capitolo 5     Presupposti teorici
Capitolo 6     Elementi di psicologia dell'apprendimento

Parte Seconda L'APPRENDIMENTO DELLA COMPETENZA SOCIALE
Capitolo 7     L'apprendimento dell'ansia sociale
Capitolo 8     L'assertività
Capitolo 9     Il Test per la Discriminazione tra comportamenti affermativi, non affermativi ed aggressivi
Capitolo 10   Le abilità sociali
Capitolo 11   Stress e autoregolazione

Conclusioni
Bibliografia


Introduzione

La blanda provocazione contenuta nel titolo un po' ermetico di questo libro, vuole orientare il lettore verso una duplice riflessione sui concetti di educazione e di socialità.
In primo luogo è utile pensare all'etimologia della parola, generata dal latino e-ducere, e ricordare che educare significa, innanzitutto, condurre un individuo da una situazione di incapacità al possesso di nuove abilità attraverso un percorso organizzato di apprendimento.
In secondo luogo è bene sapere che il comportamento sociale dell'essere umano è in gran parte appreso. Ciò significa che, al di là delle componenti genetiche che regolano le nostre azioni, ogni tentativo di comunicare in modo complesso ed articolato parte da uno stato iniziale di incapacità.  Se superiamo una visione  ingenua e spontaneistica dei processi di socializzazione emerge con chiarezza la necessità di portar fuori l'individuo dalle sue disabilità sociali iniziali attraverso un
progetto educativo.
L'educazione alla socialità è dunque oggetto di insegnamento e trova nella scuola uno dei settino elettivi.
Avrei potuto affermare che l''educazione sociale è una materia di insegnamento come lo sono l'educazione civica, fisica, artistica, ma preferisco pensare a questo processo, fondamentale in un percorso educativo, come ad un progetto libero dalle pastoie della burocrazia e dalla gabbia dorata del pubblico riconoscimento. Ritengo invece che l'educazione alla socialità debba divenire una parte integrante di ogni processo di insegnamento ed essere dunque materia  di ogni materia. Come cercherò di dimostrare nel corso di questo lavoro, ogni tentativo di insegnamento  è necessariamente mediato da un processo di comunicazione che trova la sua espressione in qualche forma di comportamento sociale. Essere educati ed educare alla socialità sono dunque anche strumenti per insegnare ogni materia.

L'idea di scrivere questo libro è  nata riflettendo sull'esperienza raccolta durante numerosi corsi di aggiornamento che ho condotto con dei gruppi di insegnanti sul tema della competenza sociale. Sono emerse alcune considerazioni di base che mi hanno spinto a raccogliere in modo organizzato ed in forma scritta ciò che, in un clima costruttivo ed emozionalmente carico di coinvolgimento, si è sempre meglio delineato attraverso il lavoro trasversale con i diversi gruppi.

Tali considerazioni di base possono essere così descritte:

a) numerosi insegnanti possiedono una formazione organizzata rispetto ai contenuti dell'insegnamento ma si sono costruiti in modo assolutamente empirico le competenze per trasmettere tali contenuti;

b)    b) tutti gli insegnanti si confrontano quotidianamente con problemi di comportamento sociale degli studenti ma il loro curriculum formativo non prevede l'apprendimento di alcuna strategia di gestione §delle dinamiche relazionali;

c)    c) lo psicologo scolastico non deve fornire diagnosi "tautologiche";

d)    d) lo psicologo scolastico deve fornire consulenza per la conduzione di una analisi operazionale dei problemi, traducibile in strategie di intervento;

e)    e) le singole consulenze e i corsi di formazione o aggiornamento non devono fornire "ricette" per la soluzione dei "casi" ma, piuttosto, trasferire agli insegnanti degli strumenti di pensiero che consentano loro di analizzare ed elaborare in modo autonomo programmi differenziati per realtà complesse.

In questo libro affronto l'argomento dei comportamenti sociali sotto il profilo psicologico e pedagogico. Evidentemente tali discipline non possono esaurire la trattazione di tale materia.  Sovente, quindi, faccio riferimento ad altre scienze "umane" e "fisiche" segnalandone le aree di interfaccia con l'analisi psicologica senza però spingermi in altri terreni di indagine. E’ questa una scelta in favore della chiarezza metodologica e della definizione delle mie competenze.  Una scelta quindi con limiti precisi, fatta da chi preferisce rinunciare a spiegare tutto a qualunque costo per poter percorrere invece, con passione ed umiltà, il cammino della conoscenza.

E’ frequente il riferimento, comunque sempre implicito, all'etica e all'estetica.  Richiamo in molti casi la necessità di porre le nostre scelte pedagogiche al vaglio dei criteri di bene e di bello, cui facciamo riferimento ma non entro volutamente nel merito di tali valutazioni.  Posseggo fortunatamente anch'io un’etica e un senso estetico della vita, che forse un lettore smaliziato potrà riconoscere tra le righe. Preferisco però fermare il mio discorso su un terreno più comune ai fenomeni "osservabili" pur se di ordine cognitivo.  Quando ciò non è possibile dichiaro apertamente che ciò che affermo deriva dal mio personale sistema di valori. Non credo, per esempio, ad una scienza libera da un sistema etico di riferimento e, se si tratta di una scienza che studia il comportamento umano, non la ritengo nemmeno possibile. Credo invece ad una scienza "onesta con se stessa" e sarei lieto se ciò che scrivo venisse letto in accordo con queste premesse. Ho assistito, nel corso della mia esperienza professionale, ad innumerevoli, piccoli, involontari ed anche gentili imbrogli operati da noi psicologi spacciando per scienza le nostre private convinzioni sul significato dell'esistenza. Per questo, ogni volta che mi accingo a trasmettere le mie conoscenze in forma pubblica, preferisco infastidire chi mi dedica la sua attenzione con queste necessarie premesse.

Per operare all'interno delle discipline psico-pedagogiche è però necessario fare ancora qualche scelta. E’ noto, infatti, che l'approccio allo studio della mente può partire da presupposti epistemiologici estremamente variati. Nella storia della psicologia, questo fatto ha generato il costituirsi di diverse "scuole" che sovente si sono poste in netto contrasto tra loro anche su questioni fondamentali. E’ probabile che questa apparente confusione delle lingue derivi dalla eccezionale complessità della materia affrontata e dai dati di conoscenza di cui disponiamo che sono ancora estremamente ridotti e parziali. E’ necessario allora individuare, attraverso una scelta "personale", un approccio teorico ed una metodologia di riferimento. La soluzione  dell'ecclettismo è purtroppo quasi sempre destinata ad abortire e penalizza comunque in modo considerevole la verificabilità delle scelte operative.

E' però possibile utilizzare un atteggiamento aperto che, all'interno di una metodologia ben definita, rimanga disponibile alla graduale costruzione di modelli più complessi. Ho trovato, dopo un percorso partito da lontano, una risposta per me soddisfacente negli orientamenti psicologici che fanno riferimento alle teorie dell'apprendimento.
La conoscenza dei processi dell'apprendimento non consente, a mio parere di spiegare totalmente la natura umana, ma presenta il notevole vantaggio di aprire una via d'accesso alla possibilità di generare dei cambiamenti in tale natura.  Se poi questa strada viene seguita con coerenza, ci si rende presto conto che le nostre conoscenze ci orientano essenzialmente sul 'come generare un cambiamento' piuttosto che sul 'significato dell'esistenza'.  Se ad alcun-i questa considerazione può apparire come un grave limite del nostro orientamento, io ritengo invece che sia una garanzia e fornisca all'utente del servizio psicologico una maggiore possibilità di controllo sul lavoro svolto


Lo studio dei processi di apprendimento è il campo di indagine in cui sono cresciute due importanti scuole psicologiche: il comportamentismo ed il cognitivismo.
Ognuno di noi si costruisce un'idea del mondo esterno e degli altri partendo da una serie di osservazioni sulla realtà e sul comportamento dei suoi simili. In seguito poi, è portato ad elaborare in modo più personale, secondo i ,propri schemi di pensiero, le informazioni raccolte, iniziando così ad organizzare le sue strutture cognitive.
Entrambi i processi possono verificarsi senza che noi ne siamo consapevoli, grazie ai preziosi automatismi di cui è corredato il cervello.  Ma che cosa determinerà le nostre azioni successive?

Alcuni studiosi ( comportamentisti ) tendono ad attribuire più importanza ai segnali in arrivo  ( stimoli) e preferiscono utilizzare una sperimentazione più rigorosa dal punto di vista della verificabilità, ponendo come unico oggetto di studio proprio i comportamenti o i fenomeni osservabili

Altri invece considerano più importanti, agli effetti delle nostre reazioni al mondo esterno, le modalità attraverso le quali analizziamo ed elaboriamo (schemi cognitivi) i dati in arrivo ed accettano con notevole rigore, qualche compromesso rispetto alla necessitai  di lavorare su fenomeni osservabili.

E’ però necessario, a questo punto, distinguere tra esigenze della ricerca scientifica e applicazione delle conoscenze nella pratica clinica.  Se alcune antinomie epistemologiche tra le due scuole sembrano per il momento irriducibili, è anche vero che chi opera sul campo della modificazione di situazioni problematiche trova estremamente limitante il dover rinunciare ad intervenire o sul comportamento o sugli schemi di pensiero.

Attualmente molti psicologi tendono ad accettare il limite di una relativa perdita di 'scientificità' per favorire il difficile matrimonio tra due scuole per molti versi affini, con l'obiettivo di amplificare la portata dell'intervento operando con un modello teorico di riferimento più vicino  alla complessità della natura umana.
Queste considerazioni hanno gradualmente portato al delinearsi dell’approccio cognitivo-comportamentale. E’un matrimonio contrastato che ancora non ha il consenso definitivo dei 'padri' della scienza, ma è un'unione molto appassionante che si è già rivelata feconda. Ed è questo l'orientamento che seguo nella mia vita professionale e che ho utilizzato scrivendo questo libro.
La scelta che ho compiuto mi fa sentire molto vicino agli insegnanti. Nella nostra comune professione, infatti, cerchiamo, pur se con competenze diverse, di insegnare qualcosa a qualcuno, organizzando il nostro comportamento in modo che per lui sia più facile e più probabile imparare.
Possiamo decidere di insegnare agli altri cose molto diverse come per esempio la matematica o un buon modo di interagire con il prossimo, degli ideali o un metodo per gestire meglio lo stress, il buon uso del linguaggio scritto e parlato o il modo più efficace per superare un handicap. In ogni caso però dobbiamo essere dei buoni conoscitori dei processi di apprendimento.
Quando, in qualsiasi campo applicativo, opero in qualità di psicologo secondo l’orientamento cognitivo-comportamentale, io non curo malattie perché questo lo fa il medico, cerco di non limitarmi a consolare perché dovrebbero farlo gli amici, non giudico perché già in troppi se ne preoccupano. Insegno soltanto, con la maggior semplicità possibile, ciò che conosco. Proprio come voi lettori. Alcuni poi diranno che li ho guariti altri che ho risolto loro dei problemi.  Credo quindi che la conoscenza, accompagnata da un po’ di
esercizio, sia una preziosa medicina. Ma chi fa l'insegnante, in questo ha sempre creduto.
La prima parte di questo lavoro, raccoglie le principali riflessioni emerse dal confronto tra le mie conoscenze e la realtà scolastica e propone alcuni presupposti teorici utili per organizzare l'intervento di educare alla socialità in modo personalizzato e situazionale.
La seconda parte, invece, fornisce alcuni spunti iniziali sui contenuti ai quali si potrebbe articolare l'insegnamento della competenza sociale.
I capitoli della seconda parte sono dunque introduttivi al metodo e orientativi rispetto ai campi di intervento. E’ mio desiderio sviluppare, in un lavoro successivo, la trattazione delle indicazioni metodologiche.
 

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