Cavour
fu interessato ed attratto dalle idee
originali e ambiziose che dalla Francia e dall'Inghilterra provenivano in campo agronomico,
ma le giudicò spesso di difficile realizzazione nelle campagne piemontesi
per
via della limitatezza dei mezzi a disposizione e per la sua difficoltà di
affrontare eventuali rischi di mercato.
Ma « nello stato attuale della scienza agraria »,
e cioè in mancanza di una nuova teoria agronomica rispondente alle
particolari esigenze dell'agricoltura padana, « non havvi un solo dei
principi essenziali sui quali riposa il nostro sistema di coltivazione che
possa essere radicalmente modificato senza gravi inconvenienti..."
Saranno possibili « alcuni perfezionamenti di dettaglio »: ma
anche nell'adozione di essi converrà procedere con ogni prudenza. Cavour
era convinto che i miglioramenti nascono lentamente, solo
dalla concreta e particolare esperienza del paese, garantita da secoli di
prove e di vicende agricole. Era questa, a suo giudizio, la via
migliore e anzi la sola che fosse aperta a chi volesse davvero far
progredire l'agricoltura in un paese come il Piemonte.
La sua estesa cultura
agronomica si era ampliata grazie alle letture di periodici agricoli e ai suoi numerosi
viaggi in Inghilterra e in Francia, acquisendo sempre più conoscenze
riguardo alla coltivazione del riso, al punto da pubblicare articoli in
merito e da occuparsi anche dell’allevamento del baco da seta.
Il conte cercava di
applicare ciò che aveva appreso nei suoi viaggi all’estero, dalle nuove
rotazioni alle pratiche di fertilizzazione dei terreni, nonostante
il tutto fosse di
difficile applicazione per la grande varietà dei prodotti agricoli del
Piemonte, che si differenziavano notevolmente da quelli delle altre nazioni
europee.
La stagione del Cavour grande
innovatone agricolo si aprirà verso il 1845, quando egli
sarà tra i primi a
impiegare su larga scala il guano e a sperimentare i concimi chimici,
conquistando in tal modo un posto di rilievo tra i promotori della 'seconda rivoluzione agricola, tesa all'incremento
della capacità produttiva del suolo attraverso un massiccio impiego di
fertilizzanti acquistati all'esterno dell'azienda. I buoni risultati
lo indurranno a considerare la possibilità di mutare le
rotazioni tradizionali persino in quel settore della grande azienda
irrigua in cui egli aveva raccolto i maggiori successi.
Proprio nel quadro delle strutture tradizionali si realizzeranno del
resto,
nel corso del secolo XIX, i graduali progressi dell'agricoltura padana
delle zone asciutte, attraverso la
diffusione delle piante legnose, dal gelso alla vite, con conseguenze di
grande rilievo per il generale processo di sviluppo economico del paese.
Nelle zone irrigue le strutture agricole avevano raggiunto forme assai avanzate, realizzando per via
autonoma quell'integrazione
dell'agricoltura e dell'allevamento su cui si imperniava anche la
classica rivoluzione agricola dell'Europa occidentale. Il Vercellese si era
posto, come s'è visto, piuttosto tardi su questa via: ma l'assorbimento dei
metodi e delle tecniche già realizzate altrove, e specialmente in Lomellina,
consentirà progressi assai rilevanti durante i decenni centrali dell'800.
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