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I capricci e la finzione della scenografia urbana: Venezia "civitas metaphisica"

La metā del Settecento č senza dubbio un periodo importante per la progressiva autonomia dello scenario urbano nell'immaginario artistico. L'illuminismo con la sua sete di razionalitā inaugurerā il genere del vedutismo, all'interno del quale il paesaggio urbano costituirā soggetto autonomo di rappresentazione quasi documentaria e non pių semplice sfondo per ambientare altri generi pittorici di carattere storico, celebrativo o antiquario. Naturalmente l'evoluzione non avviene tutta d'un tratto ed č preceduta dalla larga produzione di capricci, che fungeranno spesso anche da fondali scenografici per opere teatrali. Esaminando l'evoluzione di questo genere scopriremo anche le origini del vedutismo settecentesco.

Capricci e rovine

Č necessario distinguere fra quadri di rovine, nei quali l'artista raffigurava resti di monumenti antichi come testimonianza di una civiltā passata, e il capriccio con rovine, dove il rudere assumeva un valore simbolico di caducitā, legato al ricordo nostalgico di un tempo irrecuperabile.
Giovanni Paolo Pannini,
insieme alle vedute ( Veduta dal foro romano dal Campidoglio, 1749 ) compose per la committenza aristocratica anche capricci, accostando senza alcun nesso storico o topografico, se non quello della rievocazione di un glorioso passato, celebri monumenti dell'antichitā.

Al capriccio scenografico si dedicarono con particolare fortuna artisti come Giovanni Ghisolfi o Marco Ricci; nei loro dipinti i resti di antichi edifici, le statue e i frammenti si legano a paesaggi di pura fantasia con effetto pittoresco.

 

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Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), Veduta dal foro romano dal Campidoglio, 1749
 


Giovanni Paolo Pannini (1691-1765)  Figure tra un capriccio di rovine
 

Giovanni Ghisolfi ( 1632-1683 ), Figure tra le rovine classiche


Marco Ricci ( 1676 - 1730 ), Capriccio con rovine romane, 1720 ca.

 


Marco Ricci ( 1676 - 1730 ), Capriccio architettonico con tempio

 


Il capriccio, di impiego spesso scenografico, si precisa nella pittura veneziana del XVIII secolo come un genere caratterizzato dalla raffigurazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, spesso combinate con elementi tratti liberamente dalla realtā. Nel Capriccio con rovine classiche ( 1723 )
 Canaletto accosta, per esempio, la piramide di Caio Cestio a Roma (al centro del dipinto) alla cinquecentesca Basilica vicentina del Palladio (sullo sfondo, a sinistra). Oltre a Marco Ricci e a Canaletto, tra gli artisti che nella Venezia del Settecento praticarono il genere del capriccio si possono menzionare Francesco Guardi e Michele Marieschi
 

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Canaletto, Capriccio con rovine classiche, 1723
 

Altre volte il capriccio viene composto con edifėci moderni estratti da diversi contesti urbani: č il caso di alcune singolari composizioni del Canaletto, come il celebre Capriccio palladiano ( 1742 - 1744 ) che raccoglie in un'impossibile veduta veneziana alcune famose costruzioni del Palladio. Il Canaletto e, con particolare intensitā poetica, Francesco Guardi si dedicarono a un'altra versione del capriccio: quella, giā inaugurata da Marco Ricci, del paesaggio di fantasia arricchito da elementi rustici e pittoreschi

Per questo strano modo di pensare il panorama urbano si č usata anche l'espressione di "civitas metaphisica" in quanto la riunione di parti eteronome nel complesso architettonico della cittā, la priva dei suoi fondamentali elementi identificativi di tipo topografico e sposta la rappresentazione dal piano dell'oggettivitā documentaria a quello del progetto mentale, dando vita ad una cittā virtuale ( quasi meta-fisica ) visivamente ripensata e ricostruita, scompattando e riassemblando a piacimento la realtā, facendo coesistere fantasia e realtā.
 

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Canaletto, Capriccio con progetto di ponte ed edifici palladiani, 1742 - 1744
 


Canaletto, Capriccio con progetto di ponte palladiano a Rialto, 1742 - 1744
 


Canaletto, Capriccio con colonnato, 1765
 

"... Si dicono capricci le idee che [... ] si manifestano lontane dal modo ordinario" ( Cesare Ripa, 1583  ). Guardi lascia trasparire nella realizzazione di questo genere un sentimento solo in lui č documentato con tale seduzione: la decadenza di Venezia. I suoi "Capricci" visualizzano qualcosa che va al di lā di un pittoresco e stupefacente "theatrum mortis" spensierato. Non alternano facoltativamente architetture fantastiche a scenografie: sono "capricci lagunari". Compendiano il carattere vetusto di Venezia, la malinconia della caducitā, del marcio e del fatiscente, il senso della corrosione, il morso del tempo e delle intemperie, il lutto e la solitudine, il silenzio morto e il vuoto della laguna, fino a reificare questo complesso di sensazioni in visioni oniriche appagate, ma vibranti di pulsazioni demoniache.

(Eduard Hüttinger, articolo per la mostra Guardi:Vedute Capricci Feste - http://www.cini.it/fondazione/07.manifestazioni/mostre/57guardi2/intro.html)

 


Francesco  Guardi, Veduta della cittā, 1770-1780ca.
 


Francesco Guardi, Capriccio architettonico, 1770-1780ca.
 


Francesco Guardi, Arco di trionfo sulla laguna, 1770 ca.
 




Francesco Guardi, Atrio e prospettive ( disegno )

 




Francesco Guardi, Capriccio

 


Francesco Guardi, Capriccio, 1770 ca.

Nei disegni del figlio di Francesco, Giacomo Guardi (1764-1835), e nei pochi dipinti a lui attribuibili, l"altra Venezia", ormai saccheggiata e degradata a cittā di provincia, diviene definitivamente un luogo "svuotato" e irreale, quinta spettrale.

(Eduard Hüttinger, articolo per la mostra Guardi:Vedute Capricci Feste - http://www.cini.it/fondazione/07.manifestazioni/mostre/57guardi2/intro.html)
 


Giacomo Guardi, Arco in Rovina e Casolari in Riva alla Laguna
 


Giacomo Guardi, Capriccio

 


Giacomo Guardi, S. Giorgio maggiore
 



Giacomo Guardi, Veduta della Piazza San Marco
 

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