avanti indietro mappa prima

Il vedutismo veneziano di Antonio Canaletto e Francesco Guardi

● L'illuminismo e l'autonomia del panorama urbano

Il Vedutismo
è un genere pittorico fiorito nella seconda metà del Seicento in Olanda e presto diffuso in Italia, dove conobbe particolare sviluppo nel XVIII secolo; esso dà vita a raffigurazioni degli scorci architettonici e scene di vita di città dal glorioso passato storico come Venezia e Roma.
Accanto alla scena di genere o ambientale e al ritratto, l'altra tipica specializzazione settecentesca, particolarmente diffusa a Venezia, è appunto la veduta.

Non è la prima volta che la pittura italiana tratta, oltre ai temi tradizionali, quello della veduta naturale. Fin dall'epoca del tardo medioevo a tale genere appartengono i paesaggi senesi di Ambrogio Lorenzetti, dove, tuttavia, più che di panorami, si può parlare di cartografie colte sinteticamente. Nel Seicento troviamo paesaggi idealizzati, classicheggianti ed eroici.

Il senso della natura ( come luogo in cui l'uomo vive ) e della città ( come ambiente sociale ) è piuttosto insito nella concezione rinascimentale, fiorentina in generale e veneziana in particolare. Basti ricordare le ambientazioni cittadine di Gentile Bellini e  del Carpaccio; quelle naturalistiche di Giovanni Bellini  e del Giorgione, cui potremmo aggiungere quelle di Tiziano e di Sebastiano del Piombo. In questi casi tuttavia, la città e la natura, sebbene assumano nel quadro un ruolo non secondario, servono come scenari per il fatto narrato dal pittore.


Soltanto nel Settecento
la «veduta», indipendentemente dalla presenza attiva dell'uomo, diventa protagonista.
Il contesto culturale che determina il nuovo indirizzo è l'ideologia illuminista, che cerca di capire attraverso i lumi della ragione le logiche organizzative, sociali ed economiche della società in cui siamo inseriti.
 

● Caratteristiche della veduta. Il contributo tecnico della camera ottica

La veduta è un documento oggettivo di luoghi o eventi storici, richiesto sia dalla committenza locale, sia dai visitatori stranieri, particolarmente in città come Roma, che esercita una straordinaria attrazione per la vita presente e per le vestigia del passato, e Venezia per lo straordinario fascino della sua bellezza e per il fasto delle sue cerimonie. Sono visitatori illuminati che, dallo studio accurato delle più importanti città italiane, traggono nutrimento culturale e ai quali i quadri, che rappresentano i vari aspetti di vita sociale di cui sono stati testimoni, servono a ricordare le loro stesse osservazioni. Come caso esemplare si può citare Goethe, che, ormai sulla fine del secolo, durante il suo viaggio in Italia, disegnava lui stesso alcuni panorami.

Le immagini degli scorci urbani sono anche richieste da chi, non potendo affrontare un lungo viaggio, desiderava ugualmente conoscere, almeno attraverso la rappresentazione pittorica, luoghi tanto famosi.
Si tratta di vedute per lo più scrupolosissime. Anzi, per ottenere maggiore verità di quanta non possa restituirla l'occhio umano, ci si serviva di uno speciale apparecchio, la «camera ottica», uno strumento ( conosciuto fin dai tempi più antichi ) che, come avviene nella camera oscura, facendo passare all'interno, mediante un piccolo foro, i raggi della luce, permetteva di proiettare l'immagine della realtà sulla superficie opposta, dove appariva capovolta e sfocata; raddrizzata e resa nitida con lenti e specchi, essa, riflessa su uno schermo di carta oleata o su un vetro smerigliato, veniva ricalcata dall'operatore. Ne è ammiratore entusiasta, fra gli altri, Francesco Algarotti


 
 

co

Camera ottica (da Jombert, Méthode pour apprendre le dessin, 1755).

Si tratta di un apparecchio a operatore interno, nel quale il disegnatore infilava la testa sotto una cortina di panni scuri per scorgere e ricalcare direttamente l'immagine nei suoi tratti fondamentali, annotando le zone di luce, di ombra e le tonalità del colore fondamentali, completando poi in studio la realizzazione. E questo, probabilmente, lo strumento di cui parlano con entusiasmo molti scrittori dell'epoca come Francesco Algarotti

( da P. Adorno, L'arte italiana, D'Anna, 1998,Vol.III/I, p.103 )

 


Gli esiti delle rilevazioni della camera ottica sono comunque appunti, schizzi, successivamente rielaborati e dipinti in studio: scaraboti, ossia scarabocchi, li definiva il Canaletto, il quale aggiungeva in essi anche notazioni riguardanti il colore o le eventuali distorsioni causate dalla camera.
La «camera ottica» non è certo delegata ad annullare la personalità dell'artista. Essa è uno strumento necessario, nella concezione illuminista, per riscoprire l'oggettività razionale della prospettiva, dopo che il virtuosismo scenografico barocco con le sue scenografie illusionistiche aveva impedito un esame ordinato della realtà ambientale. Il razionalismo settecentesco, ristudiando da capo le leggi prospettiche, ne verifica la validità con l'uso della macchina e offre una qualche certezza sulle modalità percettive dell'occhio umano, capaci di dar vita allo spazio figurativo prospettico, pur senza escludere alcune deformazioni dovute alle aberrazioni ottiche.

 

● L'ambiente veneziano. La produzione di Carlevarijs e di Canaletto

La consuetudine del grand tour potenzia del resto tutta la produzione e il mercato delle vedute, dipinte e incise.  Tra le tappe d'obbligo dei viaggiatori stranieri c'è anche Napoli, sia per le bellezze del golfo e del paesaggio, sia per gli scavi delle vicine Ercolano e Pompei. Artisti stranieri e italiani scelgono Napoli e i suoi dintorni per i loro dipinti, dando il via a una scuola e a un genere che avrà larga fortuna e sviluppo nel secolo successivo.

A Venezia si ha tuttavia l'espressione più nota del vedutismo italiano, anche per la larga fortuna ottenuta all'estero.Oltre al Canaletto e a Luca Carlevarijs, altri ricercati vedutisti furono Bernardo Belletto, Michele Maneschi e Francesco Guardi. L'ambiente veneziano si caratterizzò per una pittura attenta ai particolari minuti e reali desunti dal modello vanvittelliano già sul finire del Seicento.  Dall'incontro con van Wittel, avvenuto a Roma alla fine del XVII secolo, uscì ad esempio modificata la pittura del veneziano Luca Carlevarijs e nacque nel 1703 il suo famoso album di incisioni . Anche per il giovane Canaletto fu importante la conoscenza, avvenuta a Roma, del vedutismo vanvitelliano.

 

lc
Luca Carlevarijs, Partenza del Bucintoro dal bacino di San Marco, 1710
 


Osservando attentamente molti dipinti dei vedutisti veneziani, pur riconoscendo immediatamente i palazzi, i campielli, le chiese, i canali, le Scuole di Venezia, si è spesso colpiti da una strana sensazione: quella di non aver mai visto quegli edifici e quegli scorci della città raffigurati nelle opere. O meglio, di non averli mai visti in quel modo. In realtà quegli ambienti
non sono osservati dal punto di vista o con gli accorgimenti previsti dalla rappresentazione pittorica. Ad esempio non abbiamo mai potuto abbracciare con lo sguardo centottanta gradi del bacino di San Marco, né osservare l'intera facciata delle Procuratie Nuove, contemporaneamente alla chiesa di San Marco e all'ala napoleonica.

Giovanni Antonio Canal, meglio conosciuto come il Canaletto, è il più famoso pittor di vedute del Settecento. Nei suoi dipinti non si avverte il disfacimento inarrestabile di Venezia e tutto assume una dimensione fantastica irreale nella conquista della prospettiva atmosferica. Lo stile di Canaletto che si svolge nell'ambito del vedutismo veneto, iniziato nel sec. XVII da pittori stranieri e già portato a grandi risultati dalla pittura di Marco Ricci e Carlevarijs.

Esso in una prima fase realizza alcune serie di capricci sul modello di quelli creati dal Ricci, spesso utilizzati come bozze di scenografie teatrali, in un'attività che lo vede affiancato al padre Bernardo. Questa produzione si arresta attorno al 1720.

 L'autentico vedutismo del Canaletto si esprime attraverso una documentazione precisa dell'ambiente, colto nelle infinite sfumature della luce distese sui cieli e sulle acque.  Se le prime opere del 1723 -24 conservano ancora in parte i toni bruni e scuri, tipici delle scenografie di Marco Ricci ( Il Rio dei Mendicanti, 1724 - 1725 ), a partire dalla seconda metà degli anni Venti trionfa una nuova luminosità atmosferica , che connoterà il suo vedutismo, consentendogli di affermarsi sul Carlevarjis ormai meno ricercato dai committenti stranieri. A questa fase appartiene senz'altro il gruppo di vedute datate 1729 - 1738.
 



1
Canaletto, Il Rio dei Mendicanti, 1724 - 1725
 

 



Canaletto, Piazza San Marco con Torre dell’Orologio, 1729-30


 







2
Canaletto, Riva degli Schiavoni, 1730
 

 


Canaletto, Il laboratorio dei tagliapietra, 1730
 

 

Buc
Canaletto, Il ritorno del Bucintoro al molo nel giorno dell’Ascensione, 1734

 

Nel 1745, a causa della guerra di successione austriaca, il Canaletto, per non perdere i contatti con la ricca clientela inglese, si recò a Londra dove conobbe un'altra fase di intensa produzione ( Veduta di Londra attraverso un'arcata di Westminster, 1747 ). Alcuni suoi amatori rimasero tuttavia delusi delle sue nuove opere. Verso i sessant'anni tornò definitivamente a Venezia, i tempi erano cambiati ed il vedutismo era  in declino.  La conferma di questo avvenne quando, nel cercare l'ammissione all'Accademia delle Belle Arti, le autorità lo respinsero per ben due volte,  fino all'ammissione del 1765 con un quadro, che rinnegava le grandi conquiste di prospettiva atmosferica per un ritorno ai capricci. Morì, il 20 aprile del 1768.

 

Lon
Canaletto, Veduta di Londra attraverso un'arcata di Westminster, 1747

 


● I Guardi

Un altro aspetto del vedutismo veneziano ci è offerto dai Guardi: Francesco e il figlio Giacomo. Alcune opere di Francesco Guardi si riferiscono ad avvenimenti solenni legati alla città di Venezia, come le dodici tele dipinte del 1766 relative alle cerimonie svoltesi in occasione dell'elezione del doge Alvise IV Mocenigo nel 1763, nelle quali le feste sono descritte con un tono favoloso. Come pure i quattro dipinti a ricordo della visita di papa Pio VI a Venezia, avvenuta nel 1782.
 

pa
Francesco Guardi, Papa Pio VI benedice il popolo nella piazza Santi Giovanni e Paolo, 1782
 

F. Guardi, Bucintoro, 1766
 

F. Guardi, Festa della Sensa in piazza S.Marco, 1775
 
fe
Francesco Guardi, Cocerto di dame presso la Casa dei filarmonici, 1782
 

Da Francesco Guardi  Venezia venne rappresentata comunque in tutti suoi aspetti, non solo in quelli che potevano considerarsi celebrativi di una storia e di un retaggio di gloria. Essa divenne città magica e subì una trasfigurazione suggestiva: gli aspetti poetici della vita della città vengono colti grazie all' intensa frequentazione dei suoi ambienti ( Guardi non si allontanò mai da Venezia ).  Egli ama riprodurre soprattutto ciò che è in movimento, la particolarità dell'attimo di vita che viene fermato sulla tela: le persone spesso appaiono  trasportate dall'istinto  si riversano  lungo i canali, nelle calli, nei campi e sulle piazze inondati della fluttuante atmosfera che li avvolge. La particolare sua immaginazione lo rende capace di svelare dimensioni nuove della città: la Venezia discosta, fuori mano, la Venezia minore, riproposta anche nelle circostanze più tragiche
 

rmer
Francesco Guardi, Rio dei mendicanti, 1770-1780

Francesco Guardi, Rio dei mendicanti, 1785


F.Guardi, Vista del campo e della chiesa di San Francesco della Vigna


g
Francesco Guardi, La gondola, 1782 ca.
 



F. Guardi, Il bacino di San Marco con San Giorgio e la Giudecca, 1780

 


F. Guardi, Canal Grande presso il ponte di Rialto, 1780
 

Nel 1789 un incendio aveva distrutto il quartiere di Santa Marcuola, e il pittore, accorso, assistette alla distruzione inesorabile delle case una vicina all'altra e dipinse L'incendio di Santa Marcuola (1789) con la folla in primo piano che fa quasi da barriera alle fiamme. L'ultimo suo dipinto fu la Regata sul Canal Grande (1791), realizzato in onore di principi stranieri. Appartengono alla sua attività pittorica anche i Capricci e nature morte con fiori.

in
F. Guardi, L'incendio di Santa Marcuola (1789)
avanti indietro mappa prima