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Il popolo della città. Presenze ed istanze: Daumier e Degas

di
H.Daumier, La difficoltà, 1850 - 1853

 




H.Daumier, Mendicanti, 1860 ca.
 

● La comédhie humaine di Daumier: una visione deformata e quasi spettrale del popolo e della
   folla parigini

Honoré Daumier, impegnato nella lotta politica contro la monarchia borghese di Luigi Filippo e poi contro il Secondo Impero di Napoleone III con una serie di caricature pubblicate sui principali giornali del tempo, accanto ad una nutrita serie di litografie, giunge alla pittura negli anni '60 dell'Ottocento. Pone in essa lo stesso impegno politico e fa della sua arte uno strumento di lotta e di rappresentazione della squallida realtà delle classi popolari coinvolte nella povera realtà della  Parigi del Secondo Impero. Lo stile pittorico di Daumier rivela la sua origine di disegnatore: satirico egli si esprime attraverso una linea rapida e balenante che non rappresenta la realtà come si presenta, ma la deforma in funzione espressiva. Il suo è un realismo espressionista che vuole far balzare agli occhi indirettamente un messaggio sociale, accentuando alcuni tratti significativi di quotidiane relazioni umane. Con pochi tratti indica i piani della modellazione, le principali divisioni delle figure, che poi, mediante larghe zone di luce e di ombra proietta, fa girare nello spazio .La sua opera anticipa la nascita del post-impressionismo di Van Gogh e di Rouault e la pittura espressionistica di Munch, Ensor, Baudelaire ammira il suo impegno morale e la sua aspra polemica sociale, perché Daumier crea un'arte che ha per oggetto la società e riesce a far nascere il bello perfino dalle peggiori brutture.

Sul tema del viaggio in treno presente in Vagone di terza classe ( 1863 - 1865 )  l’artista ha eseguito più tele, pur avendo sempre un solo obiettivo: cogliere i tratti quasi sfigurati della eterogenea folla di persone che si sposta nei vagoni più economici dei treni. Ad una prima fila, vista di fronte, ne segue una seconda di persone colte di spalle, e quindi una terza sullo sfondo. Predomina un’atmosfera scura e cupa, nota dominante del quadro. Solo due finestrini del vagone, sulla sinistra, fanno entrare un po’ di luce, facendo apparire un piccolo sprazzo di cielo livido. Questa luce fa intravedere le figure in un chiarore molto tagliente e freddo, rendendole quasi spettrali.

La comunicazione operata dal linguaggio pittorico in effetti si trasforma in sollecitazione visiva: della rappresentazione Daumier conserva solo quel tanto che può agire a livello di stimolo a suscitare nello spettatore una reazione morale.
E' quanto accade appunto ne La rivolta ( 1860 ). Il quadro ritrae la sollevazione popolare del 1848.
Nel monocromo ad olio Noi vogliamo Barabba ( 1850 ) viene raffigurata la famosa scena dei Vangeli, dove Cristo, giudicato dal popolo colpevole posto di Barabba, con l'assenso di Ponzio Pilato, assurge a simbolo moderno di tutte le vittime di ingiustizie. A giudicare non è però il popolo eroico della città, immersa nella fatica e nel dolore, come in molte altre opere. Qui si tratta di folla, che cede al potere.

" Bisogna dunque presentare la folla come qualcosa di amorfo, di sfatto, di impersonale. La deformazione delle figure non è determinata da particolari condizioni di spazio o di luce, né dal desiderio di caratterizzare caricaturalmente volti e gesti: è una deformazione più morale che fisica, che vuol dare il senso e il disgusto della mollezza, della manovrabilità della folla. Si guardi il tipo col bambino in braccio: ha un viso appena umano, con tratti grossolani e sommari, come fosse una maschera di cartapesta. (...)  Con la destra indica Cristo al bambino, esortandolo .a chiedere, anche lui, la morte dell'innocente; ma è soltanto un segno informe, non una mano che fa un gesto, ma un gesto della mano senza la mano. Il bambino è la nota più chiara del quadro, quella che colpisce subito l'occhio. Infatti è una «chiave» del quadro: la folla è incosciente, debole, incapace come quel mostriciattolo che tra un istante chiederà anche lui, istericamente, la grazia per il bandito e la morte per il santo. Ora si confronti il gesto dell'uomo della folla con quello di Pilato, l'uomo del potere, che ugualmente addita Cristo, ma non per chiedere, per imporre la sua scelta. Si noterà come proprio e soltanto la qualità del segno, teso in un caso e molle nell'altro, definisca il significato diverso dei due gesti. Non diversamente alcune figure, nella folla, sono suggerite soltanto dall'impreciso vuoto contorno della testa: non persone, ma indistinte presenze nel gregge. Le macchie chiare e scure non sono contenute nei contorni, non corrispondono a effètti di luce ed ombra: danno il senso di un'atmosfera opaca e stagnante, in cui i segni spessi dei contorni si muovono senz'ordine e direzione, come serpi nel fango. Daumier, insomma, non rappresenta il fatto, ne esprime visivamente il significato morale: l'incolpevole, stupida malvagità della folla ubbidiente alla malvagità torva dei potenti".

( G.C. Argan, L'arte moderna, Sansoni, 1977 )


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H. Daumier, Treno di terza classe, 1863 - 1865
 


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H. Daumier, La rivolta, 1860
 


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H.Daumier,  Noi vogliamo Barabba ( Ecce homo), monocromo, 1850

 


H.Daumier, Saltimbanchi nomadi, 1847 - 1850
 

● La scomparsa della vecchia Parigi

George Haussmann un uomo politico francese, entrato nella carriera amministrativa sotto la monarchia di luglio; avvicinatosi durante la Repubblica alle posizioni di Luigi Napoleone Bonaparte, fu nominato prefetto nel 1849. Favorevole al  Secondo impero di Napoleone III, divenne prefetto della Senna (1853-1869 ). Circondatosi di architetti e ingegneri, predispose lunghi e intensi lavori di abbellimento e di risanamento di Parigi ( dalla creazione dei giardini al tracciato dei grandi boulevard rettilinei, funzionali tra l'altro anche alla repressione di eventuali sommosse, dalle fogne agli acquedotti ), che rafforzarono l'immagine del regime e trasformarono il volto della capitale. Abbattuti i vecchi quartieri proletari del centro, focolai rivoluzionari fin dal 1789, i ceti popolari furono costretti a trasferirsi in periferia, mentre al nuovo ordine urbanistico fece da contraltare un efficiente controllo poliziesco.

Baudelaire
, volgendo le spalle al mondo della natura ( che non popola stabilmente il suo immaginario poetico ) si volge verso la città, ma la vede mutilata e contraffatta delle ristrutturazioni del prefetto Haussmann. che la fanno diventare una città nuova e a tratti irriconoscibile. Un numero considerevole di composizioni dei Fiori del male ha come tema Parigi: la raccolta presenta l'intera sezione Tableaux parisiens  imperniata sul difficile rapporto tra la città e il poeta.

L'arte figurativa propone sullo stesso tema - con accenti meno simbolici - la litografia satirica di Daumier Guarda la nostra camera nuziale!,( 1853 ). In essa l'autore affronta il tema delle reazioni umane al vasto e repentino mutamento fisico subito da Parigi durante il Secondo Impero per l'opera del barone Haussmann. L'opera sembra riconfermare la frase di Baudelaire in uno dei Tableaux parisiens: "...Le vieux Paris n'est plus ...",  aggiungendo malinconicamente:" La forma di una città cambia più rapidamente del cuore di un essere umano ".

 

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H. Daumier, Guarda la nostra camerra nuziale, 1853
 




E. Manet, Operai che riparano rue de Berne, 1877 - 1878

● I gesti della fatica e del bisogno

Con l'avvento della rivoluzione industriale e con l'evolversi dei moderni agglomerati urbani il contrasto fra i valori incarnati rispettivamente dalla città e dalla campagna si fece più acuto.
" La città fu vista come il cuore delle tenebre contemporanee, come un inferno laico che assommava in sé la tentazione, l'insidia e il castigo, come un luogo eccitante, ricco di possibilità per gli ambiziosi e di pericoli per i deboli, distruttore del costume tradizionale, creatore di novità e di anonimità, fonte dei dilaganti mali moderni dell'anomia, dell'alienazione e del tedio: una giungla di pietra, mattoni e fumo, piena di avidi predatori e di vittime rassegnate, brutalmente insensibile sia ai valori comunitari, sia al sentimento individuale." ( L.Nochlin )
 
Le immagini offerte dalla città moderna ebbero un ruolo importante nelle opere di quasi tutti gli scrittori dell'Ottocento, dai più grandi fino ai minori. Balzac, Dickens, Baudelaire e Zola, Eugène Sue e i fratelli Goncourt; tutti videro nella città il naturale scenario o addirittura la fonte d'ispirazione di molte delle loro creazioni. Nell'Éducafion sentimentale di Flaubert e nell'opera di Zola i brevi idilli bucolici vissuti dai rispettivi protagonisti rappresentano un'efficace trovata per dare maggior risalto allo squallido pathos dell'ambiente urbano da cui abitualmente sono circondati.

"Tra gli artisti figurativi, fu forse Daumier a indagare più compiutamente le dimensioni umane della vita di città creando una cornédie humaine paragonabile a quella di Balzac o al ciclo dei Rougon-Macquart di Zola per ricchezza, varietà e capacità di penetrare le nuove realtà dell'esistenza individuale e sociale nelle metropoli contemporanee. Identificando, come molti realisti, la verità con la catalogaziene esauriente del reale, Daumier toccò tutti gli aspetti della vita urbana, tutte le classi e le occupazioni, tutti i tipi; ma al tempo stesso inquadrò questi tipi - fossero essi attori girovaghi, miseri proletari o avvocati e politicanti venali - nel più vasto mondo della vita parigina. Soprattutto, egli concentrò il suo acuto spirito d'osservazione sulla gran massa amorfa del ceto medio urbano, in tutte le sue varietà: dal piccolo bottegaio e dal rentier male in arnese all'avvocato enfatico e al raffinato amatore d'arte, dal mondo del teatro, dei boulevard, dei Salons e dei mercanti d'arte a quello dei macellai e delle lavandaie. " ( L.Nochlin )

La stagione dell'impressionismo si mostrò interessata alla fotografia, cimentandosi in prima persona con l'arte dello scatto. Degas, che prediligeva l'impiego del disegno alla sperimentazione del colore, si servì forse più degli altri della nuova tecnica come punto di partenza per la composizione pittorica e conservò nel suo studio un gran numero di fotografie: foto di lavandaie, stiratrici, utilizzate per quadri e pastelli, che affrontano il soggetto tra il 1876 e il 1885. Si tratta di frammenti di vita contemporanea e di una pittura che rivela gesti professionali ed atteggiamenti liberi. La novità degli impressionisti consiste nel fatto di scegliere soggetti tratti dalla vita della città, cogliendoli in modo nuovo, ma senza mettere in risalto il messaggio polemico dello sfruttamento sociale. Nel 1846 Baudelaire aveva affermato che la vita parigina era "ricca di soggetti poetici e meravigliosi";  e negli anni '60 Manet e Degas rappresentarono nei loro quadri questa nuova realtà urbana.
 


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H. Daumier, Lavandaia, 1863
 

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E. Degas, La stiratrice, 1869


E. Degas, La stiratrice, 1875

 

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E. Degas, Le stiratrici, 1882


E. Degas, Donna che stira, 1882



Henri de Toulouse-Lautrec, Lavandaia, 1886
 

G. Caillebotte, I piallatori di parqué, 1875

Rifiutata nel 1875 dalla giuria del Salone ufficiale, l'opera fu presentata all'Esposizione impressionista del 1876, diede immediatamente grande notorietà all'autore. Il motivo fu senza dubbio la composizione molto "fotografica" della scena: linee sfuggenti, deformazione dello spazio, inquadratura sbilanciata, illuminazione in controluce. Il parquet sembra inclinato e le braccia smisurate in rapporto al torso. Il soggetto suscitò polemiche: così come Degas raffigura delle stiratrici, Caillebotte esalta con la sua rappresentazione degli operai al lavoro.
 


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G. Caillebotte, I piallatori di parqué, 1875
 


G. Caillebotte, Operai, 1876
 

 

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