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    Forse vero non è; ma un giorno è fama,
 Che fur gli uomini eguali; e ignoti nomi
 Fur Plebe, e Nobiltade. Al cibo, al bere,
 All'accoppiarsi d'ambo i sessi, al sonno
 Un istinto medesmo, un'egual forza
 Sospingeva gli umani: e niun consiglio
 Niuna scelta d'obbietti o lochi o tempi
 Era lor conceduta. A un rivo stesso,
 A un medesimo frutto, a una stess'ombra
 Convenivano insieme i primi padri
 Del tuo sangue, o Signore, e i primi padri
 De la plebe spregiata. I medesm'antri
 Il medesimo suolo offrieno loro
 Il riposo, e l'albergo; e a le lor membra
 I medesmi animai le irsute vesti.
 Sol'una cura a tutti era comune
 Di sfuggire il dolore, e 
    ignota cosa
 Era il desire agli uman petti ancora.
 
 | L'uguaglianza originaria degli uomini implica l'assenza di distinzioni di classe, sulla base di una comune capacità di provare sensazioni .
 Gli uomini sono sospinti dall'istinto, una sorta di primordiale pulsione, a soddisfare i bisogni elementari; non dirigono la loro attenzione a specificare gli oggetti dei loro piaceri. Le antiche società usavano la natura per rispondere ad elementari esigenze di sopravvivenza. La fuga dal dolore era l'unico obiettivo. Sconosciuto era il desiderio e con esso la realizzazione di qualsiasi forma di piacere. Dei due principi del Sensismo solo il primo risultava operante. Esso si manifestava come un'esigenza insopprimibile, una sorta di principio di autoconservazione. La fuga del dolore è istintiva, non frutto di una scelta come la ricerca del piacere.  | 
  
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    L'uniforme degli uomini sembianza
 Spiacque a' Celesti: e a variar la Terra
 Fu spedito il Piacer. 
    Quale già i numi
 D'Ilio sui campi, tal l'amico Genio,
 Lieve lieve per l'aere labendo
 S'avvicina a la Terra; e questa ride
 Di riso ancor non conosciuto. Ei move,
 E l'aura estiva del cadente rivo,
 E dei clivi odorosi a lui blandisce
 Le vaghe membra, e lentamente sdrucciola
 Sul tondeggiar dei muscoli gentile.
 Gli s'aggiran d'intorno i
    Vezzi e i
    Giochi,
 E come ambrosia, le lusinghe scorrongli
 Da le fraghe del labbro: e da le luci
 Socchiuse, languidette, umide fuori
 Di tremulo fulgore escon scintille
 Ond'arde l'aere che scendendo ei varca.
 
 | Gli Dei non amavano questa indistinzione della natura umana
 ( e implicitamente l'equipararsi di tutte le classi sociali ).
 Il Piacere , sotto forma divina, giunge tra gli uomini a definire importanti distinzioni.
 Sfiorando appena l'aria che attraversa, si presenta agli uomini con un sorriso attraente, ancor sconosciuto.
 
 Il suo corpo sembra armonizzarsi con la natura, che lo accoglie, mentre l'aria scivola profumata sul suo corpo armonico e delicato.
 Lusinghe e calda eccitazione sembrano segnare il suo volto ( le labbra e gli occhi esprimono il dolce abbandono che suggerisce la sua presenza ).
 
 Sguardi languidi, complici, indefiniti creano un'atmosfera luminosa che sembra riscaldare l'aria di tremuli bagliori..
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    Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra,
 Sua prim'orma stamparsi; e tosto un 
    lento
 Fremere soavissimo si sparse
 Di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte
 Di natura le viscere commosse:
 Come nell'arsa state il tuono s'ode
 Che di lontano mormorando viene;
 E col profondo suon di monte in monte
 Sorge; e la valle, e la foresta intorno
 Mugon del fragoroso alto rimbombo,
 Finché poi cade la feconda pioggia
 Che gli uomini e le fere e i fiori e l'erbe
 Ravviva riconforta allegra e abbella.
 
 |   Quando il Piacere segnò la Terra con la sua presenza, si impose un nuovo dolcissimo sentire, si diffuse tra gli uomini, prepotente, un'emozione che turbò il corpo stesso profondamente.   Così come il tuono che, sorgendo da lontano e spingendosi poi nella valle e nella foresta, fa presentire con il suo rimbombo, la feconda pioggia, che rigenera e rende luminosa la Terra ....  | 
  
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    Oh beati tra gli altri, oh cari al cielo
 Viventi a cui con miglior man Titano
 Formò gli organi illustri, e meglio tese,
 E di fluido agilissimo inondolli!
 Voi l'ignoto solletico sentiste
 Del celeste motore. In voi ben tosto
 Le voglie fermentàr, nacque il desio.
 Voi primieri scopriste il buono, il meglio;
 E con foga dolcissima correste
 A possederli. Allor quel de' due sessi,
 Che necessario in prima era soltanto,
 D'amabile, e di bello il nome ottenne.
 Al giudizio di Paride voi deste
 Il primo esempio: tra feminei volti
 A distinguer s'apprese; e voi sentiste
 Primamente le grazie. A voi tra mille
 Sapor fur noti i più soavi: allora
 Fu il vin preposto all'onda; e il vin 
    s'elesse
 Figlio de' tralci più riarsi, e posti
 A più fervido sol, ne' più sublimi
 Colli dove più zolfo il suolo impingua.
 Così l'Uom si divise: e fu il Signore
 Dai Volgari distinto a cui nel seno
 Troppo languìr l'ebeti fibre, inette
 A rimbalzar sotto i soavi colpi
 De la nova cagione onde fur tocche:
 E quasi bovi, al suol curvati ancora
 Dinanzi al pungol del bisogno andàro;
 E tra la servitute, e la viltade,
 E 'l travaglio, e l'inopia a viver nati,
 Ebber nome di Plebe.
 
 |   La Nobiltà nasce come classe privilegiata da questa volontà degli Dei di donare ad alcuni uomini la facoltà di provare sensazioni ed emozioni di superiore qualità. Questi esseri sono adattati  nei loro corpi a provare una tensione particolare, a sentirsi attraversati da una mobilissima e fluida sensibilità. Sensibilità di origine divina appunto!E' la nascita del Desiderio
      e con esso la scoperta di bisogni e piaceri più alti . In questo momento nasce anche la ricerca del Piacere e degli  oggetti più adatti a soddisfarlo.
 L'amore si accompagna alla scelta della bellezza femminile e i rapporti tra i due sessi non si riducono più al solo soddisfacimento di un bisogno. Il gusto si raffinò, fino ad apprezzare i vini prodotti da vitigni ben esposti al sole, nei quali si potesse percepire il forte sapore dei succhi migliori. L'acqua che semplicemente abbevera fu trascurata. L'umanità si divise e il Nobile si distinse dal popolano, che si mostrò inadatto a cogliere la suggestione dei raffinati piaceri. Il suo corpo apparve debole, insensibile ai più ricercati stimoli. Quasi animali da lavoro, gli uomini comuni, privi di tali prerogative, ancora vincolati dai bisogni   primari, andarono ad ingrossare le file della servitù, fatta vile, costretta dalla povertà al duro lavoro. Questa umanità esclusa dagli Dei dai privilegi dei nuovi piaceri, assunse il nome di Plebe.  | 
  
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 Or tu Signore
 Che feltrato per mille invitte reni
 Sangue racchiudi, poichè in altra etade
 Arte, forza, o fortuna i padri tuoi
 Grandi rendette, poichè il tempo alfine
 Lor divisi tesori in te raccolse,
 Del tuo senso gioisci, a te dai numi
 Concessa parte: e l'umil vulgo intanto
 Dell'industria donato, ora ministri
 A te i piaceri tuoi nato a recarli
 Su la mensa real, non a gioirne.
 |   E tu, o nobile signore, che porti sangue non plebeo, che fin dalle antiche generazioni fosti reso illustre dalla Fortuna o dalle grandi opere degli antenati, beneficiario dei loro tesori, rallegrati di questi tuoi sensi raffinati, poiché furono gli Dei a concederteli. L'umile volgo,  destinato alla fatica del lavoro, ora procuri a te quei piaceri, per cui sei nato. La Plebe ha questo unico compito, in quanto è inadatta a fruire dei piaceri più alti.   | 
  
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