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Spazi metafisici di Giorgio De Chirico

  • Il non senso della vita nella rivisitazione mentale degli spazi urbani

Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte”. Quest'affermazione di De Chirico riassume una concezione dell'arte moderna fortemente innovatrice, di cui egli per primo in Italia fu portatore. Egli infranse la concezione estetica dell'arte figurativa, ricercando nuove forme espressive non necessariamente collegate alla congruità degli elementi della rappresentazione. La pittura metafisica in effetti assembla gli oggetti, li decontestualizza, li immerge in atmosfere e visioni mentali imprevedibili, quasi oniriche. Oltrepassando la soglia della pura visibilità ed attingendo all'enigmatica insensatezza delle correlazioni percettive, opera per associazioni stranianti ed emblematiche.

«Per avere pensieri originali, straordinari, forse immortali è sufficiente estraniarsi dal mondo e dalle cose per certi momenti, in modo così totale che gli oggetti e i processi più ordinari appaiano assolutamente nuovi ed ignoti, sicché in tal modo si dischiude la loro vera essenza. Quel che si richiede qui non è qualcosa di difficile; ma non è assolutamente in nostro potere ed è appunto il dominio del genio». ( Schopenhauer )
 


G.De Chirico, La torre rossa (La Tour Rouge), 1913


G. De Chirico, La torre rossa ( 1913 )


Si tratta di una rievocazione del geometrico lirismo delle "piazze d'Italia". La malinconica luce crepuscolare accentua la sensazione di sospensione e di straniamento dell'intero scenario. La torre è simbolo dell'infinito che si erge accanto alle testimonianze del tempo ( le case ed il monumento. Quest'ultimo richiama le frequentazioni torinesi di De Chirico ).

"L'arte non ha nulla da raccontare, da imitare, da dichiarare. Soltanto spiazzando continuamente le nostre aspettative e le nostre certezze, essa vuole insinuare un dubbio, il più grande dei dubbi: se la vita fosse solo un'immensa menzogna, l'ombra di un sogno fuggente ?"
( G. De Chirico )

 

Dino Campana "Canti orfici" (1913) La notte

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa sulla pianura sterminata nell'agosto torrido... Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee, sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva.... ad un tratto dal mezzo dell'acqua morta un canto.....
La torre, la torre barbara. Era là nel suo balenio enorme, rossa, impenetrabile, arida: rimpiccioliva la piazzetta deserta, schiacciava le casupole desolate dalle finestre: in un angolo una fontana di marmo del cinquecento taceva inaridita."
 

G. De Chirico, Mistero e malinconia di una strada, 1914.

Nella prospettiva difforme dei porticati ad archi la sagoma della bimba che gioca pare schiacciata dal luogo, privo di manifestazioni di vita nell'ora meridiana, immerso in un'atmosfera innaturale. Minacciosa si profila del resto un'altra lunga ombra, che sembra fuoruscire dagli spazi oscuri di destra, mentre a sinistra si staglia un'area ampiamente luminosa, abbacinante che abbraccia la lunga costruzione biancastra. Assenze e presenze larvali ed enigmatiche si fronteggiano.

Il motivo delle architetture con archi è frequente in questi anni, a ricordo delle strutture edilizie urbane di Torino e Firenze, città alle quali il pittore riconosce un carattere "metafisico" per le loro ordinate geometrie spaziali.
Le arcate sembrano essere molto adatte a nascondere presenze misteriose, forse divine, che non amano palesarsi. Gli spazi sono tutti contrassegnati da ampie aperture ( i porticati, il carro ), ma nello stesso tempo appaiono chiusi ed impenetrabili alla vista.
Forti contrasti di luce ed oscurità
rendono ancor più  enigmatica l'assenza di presenze umane, quasi esse fossero catturate e costrette nell'angustia di varchi inaccessibili.

 


G. De Chirico, Mistero e malinconia di una strada 1914
 

  • La piazza e il momento enigmatico della visione

Enigma di un pomeriggio d'autunno del 1910  nacque da una visione che De Chirico ebbe in un limpido pomeriggio d'autunno,  in piazza S. Croce a Firenze.

«... in un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue opere strette al proprio corpo ed il capo coronato dall'alloro pensosamente reclinato... Il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all'occhio della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata». Il momento della rivelazione coincide con il momento dell'attesa, della sospensione mentale, cercata attraverso il superamento della realtà fenomenica.

Anche in Enigma di un giorno, 1914 si rintracciano alcuni degli elementi strutturali che caratterizzano la visione fiorentina. Si tratta di elementi che popolano la scena urbana, ma che non appaiono verosimilmente congruenti gli uni con gli altri. I soliti alti porticati, che si restringono via via in ardua fuga prospettica < in una prospettiva psicologica e non geometrica, temporale più che spaziale >, fino a toccare un confine unificante e periferico. Qui si stagliano le torri-ciminiere,  rossi baluardi umani, ambiziose e vane proiezioni verso l'infinito. Sullo sfondo un cielo freddo, vuoto, siderale,  esso stesso testimone ed osservatore dell'assenza. In lontananza due esigue sagome umane, parvenze larvali della storia e del tempo, mentre al centro campeggia la statua declamante, reificazione della parola pietrificata, inutile oggettivazione ed emblema di una memoria storica fittizia, che identifica una nuova assenza di significato nell'esistenza.
La statua è una delle tante immagini "permanenti" nella città metafisica, che non implica mai una sincronica convergenza temporale di attori e di scenari, dove invece ogni elemento della composizione può essere considerato emblema a sé stante, inserito in un simbolismo chiuso a codici esterni.
 


De Chirico, enigma di un pomeriggio d'autunno, 1910


De Chirico, Enigma di un giorno, 1914

 

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