| 
    
    ● Quotidiana marginalità e nuovi soggetti 
    antiaccademici
 Manet fa posare per la 
    prima volta, davanti all’entrata di un modesto cabaret,
     Victorine-Louise 
    Meurent, che diventerà la sua modella preferita sino al 1875. La 
    quotidianità è riproposta in modo inaspettato; la donna è colta come di 
    sorpresa, mentre, con una dolce malinconia nello sguardo assorto, porta alla 
    bocca alcune ciliegie che trae da un cartoccio. Anche quest’opera di 
    Manet, come tutte le altre 
    di questi anni, verrà bocciata dalla critica, disorientata dal soggetto, nel 1863 in occasione della presentazione della
    
     Cantante di 
    strada ( 1862 )  insieme ad altre tredici tele, presso la galleria Martinet. Le 
    reazioni saranno negative e scandalizzate quasi all’unanimità e avranno 
    conseguenze negative sull’invio della tela al Salon di quello stesso anno, 
    dove  tutte 
    le opere di Manet verranno respinte.
     Manet e
     Gustave Doré presenteranno una petizione al Ministero 
    delle Belle Arti, ottenendo dall’imperatore 
    Napoleone III la creazione del 
    Salon des Refusés (dei rifiutati), con circa milleduecento opere, che, 
    seppure ritenuto una buona occasione per contrapporsi alla cultura 
    ufficiale, verrà ulteriormente esposto ai giudizi scatenati e divertiti 
    della critica.
 Il ritratto di  
    Emile Zola testimonia del felice rapporto di stima reciproca che 
    intercorre - almeno inizialmente - tra il romanziere naturalista ed il 
    pittore. Zola mostra di apprezzare la battaglia di Manet per imporre 
    alla cultura ed al pubblico del tempo una nuova figuratività, un nuovo 
    gusto per una pittura antiaccademica, come anche
    Baudelaire aveva 
    teorizzato. Egli annota nel romanzo, L'oevre, la scandalizzata 
    e infantile reazione di alcuni osservatori del  Dejeuner sur l'herbe, 
    mettendo in ridicolo la pochezza dei loro giudizi. Certo il socialista 
    Zola 
    tende a leggere l'interesse giovanile di
    Manet e degli impressionisti per i
    soggetti quotidiani  della città, come una forma indiretta di 
    impegno politico, come una corretta attenzione sociologica per i ruoli 
    sociali dimessi, che l'arte nobilita, infine come una reazione - nelle forme 
    e nei contenuti - alla cultura del Secondo Impero. Ma questa presunta
    scelta sociologica sarà smentita, almeno parzialmente, dall'evoluzione 
    della poetica pittorica di Manet.
 
 | 
  
    | 
     cst E. Manet, Cantante di strada, 1862
 
 
 | 
 
  E. Manet, Ritratto di Emile Zola, 1868
 
 
 | 
  
    | 
    ● La malinconia nella muta oscurità dei 
    volti femminili di Degas
 Il mondo degli impressionisti aveva fissato il carattere 
    sempre mutevole e cangiante della realtà urbana, privilegiando le ricche e 
    festose sensazioni del plein air date soprattutto dagli esterni. 
    Tuttavia la lenta trasformazione del vivere urbano reca con sé anche 
    tracce diverse, meno seducenti che rilevano un diverso impatto 
    psicologico della società con la modernità.
 Tra i referenti espressivi 
    che restituiscono il disagio 
    interiore dato dalla solitudine, dalla estraneità ai 
    ruoli ed alle maschere sociali assunte, dalla fissità di condizioni 
    di vita alienate....è senza dubbio interessante l'evoluzione della 
    pittura di Degas nel
    trattamento dei volti femminili. 
    Il volto delle donne di Degas diventa progressivamente una 
    macchia di colore, che vela imperscrutabilmente sentimenti e 
    personalità, fino a suggerire dimensioni psicologiche oscure e 
    addirittura condizioni di vita patologiche.
 Già la femminilità aristocratica o borghese dipinta negli anni '70 rivela 
    qualche segno della crisi: sono donne impassibili e aggraziate, 
    ma avvolte in scialli protettivi, difese da impenetrabili neri 
    abiti accollati, quelle che esprimono una muta solitudine nel 
    gruppo del 1876 La duchessa Montejasi Cicereale  e 
    le figlie Elena e Camilla.
 
    In altri casi con il viso rivolto verso una finestra, 
    le donne annullate da una evidente pena per la vita si confondono con 
    drammatici sfondi che si fanno talora graffianti, nei toni accesi dei rossi 
    e dei gialli (  Donna che si toglie un guanto, 
    1892 ) o sono attraversati da lampi di biacca ( 
    La Melanconia, 1867 - 1870 ). Già nel 
    Ritratto di giovane donna in nero ( 1875 - 1878 ) 
    ritroviamo qualcosa di enigmatico tanto da fare di questi personaggi 
    femminili quasi moderne sfingi, prive di sguardi ammiccanti, di relazioni 
    esterne, dalla personalità indecifrabile. Anche le sue 
    ballerine nascondono pian piano il loro volto e divengono 
    maschere oscure. La soprano 
    Rose Caron raffigurata in Donna che si toglie 
    un guanto , personaggio molto noto nella società del tempo, 
    perde ogni eco della sua notorietà e della sua bellezza, oscurata da uno 
    sfumato che ne elimina i tratti psicologici caratterizzanti.Fino a cancellare ogni identità femminile nella sommaria 
    manipolazione della scultura in cera di Mme Salle 
    ( del 1892 poi fusa in bronzo nel 1919 ) che mostra gli effetti di 
    una vera e propria deformazione del volto ( occhi gonfi e semichiusi, 
    naso irregolare ).
 Degas vive con interesse il clima culturale del tardo positivismo, con gli 
    studi di Lombroso 
    sulle attitudini criminali legate a  tare genetiche e quelli 
    sull'isteria di Charcot.  Con 
    lo sguardo freddo del clinico indagatore osserva la malattia 
    dell'anima, la malinconia, di cui egli stesso era 
    vittima, e registra la 
    contorsione silenziosa di una donna in rosso afflosciata in una poltrona; 
    registra del resto i segni del disfacimento sui corpi e i 
    volti di ballerine e prostitute. Quell'atto 
    di sfregiare, annullare il volto 
    femminile sembra il riflesso di una concezione che fa corrispondere un 
    vizio interiore, un'aberrazione 
    dell'anima, alla deformità: le donne sono senza volto perché "perdere la 
    faccia" indica la perdita di pudore, regole, rispetto.
 Lo 
    sfregio subito dai volti di
    Degas è 
    l'inizio di un percorso segnato da un 
    parossistico accanimento sul corpo operato in modi e con intenti 
    diversi. Il contemporaneo
    Medardo Rosso, 
    nel tentativo di restituire "l'impressione" generata dalla figura 
    nell'ambiente, slabbra la resa descrittiva dei corpi, disfatti in colate di 
    cera che assorbono il volto, diluendo i lineamenti nella materia morbida e 
    assorbente.
 
 ( parzialmente elaborato da G. Mori, Degas tra antico e moderno, Art e dossier n.204, 
    Giunti 2004 )
 
 | 
  
    | 
    
 
 
  M E. Degas, Malinconia, 1867 - 1870
 | 
    
  E. Degas, Ritratto di giovane donna in nero, 
    1875 - 1878
 
 
 | 
  
    | 
    
 
 
  co E. Degas, La duchessa Montejasi Cicereale
 e le figlie Elena e Camilla, 1876
 
 | 
     gu E. Degas, Donna che si toglie un guanto, 1892
 
 | 
  
    | 
    
 
 
 
 
 
  ba E. Degas, Scena di balletto, 1907
 
 | 
    
  E. Degas, Testa di donna ( Mme Salle ) - 1892 - 
    1919 < fusione >
 
 
 | 
  
    | 
    ● In specchi opachi si spegne  
    la frenesia del vivere urbano
 Manet 
    incarna la concezione di vita che sta alla base della visione del mondo 
    degli impressionisti, quella di una società che trae 
    dalle grandi conquiste della tecnica, da uno sviluppo industriale mai visto 
    fino ad allora e dalle sue capacità creative, una fiducia illimitata nel 
    progresso, inteso non solo come progresso materiale dell'umanità, ma 
    come realizzazione di quegli ideali liberali e civili che avevano 
    costituito la fondamentale aspirazione del secolo. Una concezione tendente «
    ad accogliere incondizionatamente i dati di fatto della vita moderna, 
    a sentire con la sensibilità contemporanea, e a porsi con la natura in 
    quel gioioso, ottimistico rapporto che prende come un dono il gaio splendore 
    di questo mondo, e interpreta le forze sotterranee della natura, 
    che con la tecnica entrano in funzione nella vita contemporanea, come 
    amichevoli collaboratrici dell'umano progresso ».( 
    Haftmann ).
 
 Proprio per questi motivi, nulla quanto l'ultima produzione di
    Manet può darci la 
    percezione dell'improvviso e 
    angosciante senso di dubbio che negli anni intorno al 1880 investe - dalle 
    più intime radici - una tale concezione ottimistica della vita e della 
    sociatà.
    Manet, 
    proprio nel più tragico incombere della sua mortale malattia, e quasi 
    incapace ormai di tenere in mano i pennelli, rivolse una richiesta - con una 
    lettera al sindaco di Parigi - perché il Consiglio gli concedesse, 
    attraverso una serie di composizioni da dipingersi nel rinnovato palazzo 
    municipale, di illustrare la 
    vita della città nei suoi vari aspetti : Paris-Halles, Paris-Chemins 
    de fer, Paris-Port, Paris-Souterain, Paris-Courses, Jardins, 
    ecc.; e, nel soffitto, una galleria dove far muovere tutti gli uomini di 
    ingegno « che abbiano contribuito o contribuiscano alla grandezza di 
    Parigi ».
 
     L'ultimo capolavoro di
    Manet 
    Il Bar alle Folies Bergère presentato al Salon 
    nel 1882, avrebbe potuto far parte di questo immenso affresco 
    della vita parigina : ma Manet vi aveva lavorato in condizioni quasi 
    disperate. L'atroce malattia che gli veniva paralizzando le membra lo aveva 
    obbligato, negli ultimi tempi, ad abbandonare quasi del tutto la pittura a 
    olio, e lo aveva indotto a dedicarsi, per un minimo dispendio di energia 
    fisica, ai disegni e ai pastelli del suo ultimo periodo, di una morbidezza e 
    di una grazia inarrivabili, nei quali, con acuta, sensibilità, egli sembra 
    avvertire il divario crescente fra il mondo della sua creazione e quello 
    reale. Quest'uomo che aveva detto un giorno a Zola di adorare il 
    mondo e di trovare « des voluptés secrètes dans les delicatesses 
    parfumées des soirées », si sentiva ormai sfuggire quella pienezza 
    rigogliosa di vita che egli amava, e cercava nel suo giardino di 
    Versailles, nei fiori, nelle giovani bellissime donne che lo circondavano, 
    suggestioni di vita sempre più intense, più pungenti e più irreali. 
    Il Bar alle Folies Bergère 
    fu dipinta - a prezzo di sacrifici inenarrabili - in studio e si basa 
    sui ricordi delle lunghe ore passate dall'autore, già malato, nel celebre 
    caffè-concerto. La nuova sensibilità di
    Manet
    raggiunge qui un'indicibile altezza di canto e una 
    totale pregnanza di significato, tanto da potersi interpretare 
    come documento della sensibilità 
    di un preciso momento storico ( quello che con l'inizio degli 
    anni '80 coincide con la crisi dell'impressionismo ) e non 
    solo come la tappa finale delle'evoluzione estetica del pittore.  La 
    sconcertante intensità delle immagini porta l'osservatore in una sfera 
    emotiva che va ben oltre l'oggetto rappresentato.  
    Suzon, 
    l'avvenente ragazza del bar, ha 
    qualcosa di inerte nella sua conturbante bellezza: grande e 
    voluttuosa, i suoi incantevoli occhi pervinca sono spenti, per la 
    fatica o per la noia, sotto la frangia dei capelli biondi. Ogni 
    più piccolo particolare del quadro contribuisce a creare un'atmosfera 
    evanescente dove la vita 
    della sala rimane estranea alla sensibilità della ragazza, pur 
    rispecchiandosi brulicante di forme e di movimento.  
    Le bottiglie, gli ornamenti, i fiori che circondano la 
    ragazza  e l'emozione di 
    quell'incredibile specchio posto di dietro a lei, che ripropone, 
    in un fantasmagorico moltiplicarsi di luci, lei stessa che parla con 
    un cliente, la folla dei tavolini del bar, l'animazione eccitante della 
    grande città, contribuiscano ad amplificare
    l'espressione del volto della 
    ragazza, che è quella 
    di una assenza, di un vuoto; e a fare di questa immagine, 
    intensamente naturalistica, qualcosa di irreale, di fantomatico, un sogno a 
    occhi aperti. 
    Non c'è, a questa data, nella produzione degli altri 
    pittori impressionisti, un quadro che riesca a suggerirci con altrettanta 
    forza emozionale il disfarsi 
    della aitante sicurezza di una società, ancora improntata 
    esternamente da raffinata eleganza,  disinvolta spigliatezza e  
    cultura cosmopolita, elementi che fecero di Parigi in quegli anni il vero 
    centro ecumenico del vivere civile. Ma un'analisi, anche superficiale, delle 
    opere e delle vicende dei pittori impressionisti negli anni successivi al 
    1880 non può lasciare dubbi sul 
    nuovo e diverso riflettersi nei singoli artisti di una realtà in evidente 
    processo di disgregazione. Spinti, o dall'inquietudine della 
    propria natura, o da una dolorosa percezione del male recondito che mina la 
    società, o da un bisogno invincibile di solitudine e di isolamento, gli 
    impressionisti sono d'ora in avanti portati a vivere, ciascuno a suo 
    modo, una crisi di valori che  ben presto doveva scoppiare in forme 
    aperte e lancinanti, creando il terreno sul quale si sarebbe sviluppata 
    l'arte contemporanea. 
    ( da L'arte moderna, Fratelli Fabbri editori, 
    vol.1, 1967 - 1975, pp. 1-2 )
 | 
  
    | 
     FB E. Manet, Le bar aux Folies-Bergère, 1882
 
 | 
  
    | 
    Anche nei due interni raffigurati nelle opere di
    Caillebotte ( 
    In un caffè, 1880 ) e di
    Toulouse-Lautrec 
    ( M. Boileau Au Cafe 
    Hart, 1890 ) l'impianto strutturale sfrutta abilmente lo 
    spazio di fondo per ricreare l'atmosfera in cui si cala la 
    rappresentazione dei due personaggi. Il grande specchio si presta 
    molto bene alla tecnica di rappresentazione quasi fotografica della realtà, 
    impiegata da Cailelbotte,
    per duplicare, in un gioco di immagine riflesse, di ombre, di 
    abiti indolentemente appesi alle pareti, la sensazione di estraneità
    dell'avventore, poco decoroso nella sua postura, al  clima 
    sonnolento di un caffé parigino, dove pare sospesa ogni tensione 
    vitale. 
 Più animata l'atmosfera che si respira dietro al tavolo di 
    M. Boileau Au Cafe 
    Hart,  tra lo splendere delle luci e l'animato conversare 
    di ricchi borghesi disposti ai tavoli. In questo caso a evidenziare la 
    dolorosa contraddizione che connota la condizione del personaggio 
    centrale è la tecnica graffiante di
    Lautrec - 
    di tipo litografico, molto lontana dal naturalismo e quasi espressionistica 
    nei suoi effetti. Si supera in tal modo la possibile stereotipia  
    del soggetto ( il solitario ed attempato avventore ) in 
    un'interpretazione che coglie la forza incalzante e dolorosa della 
    realtà direttamente osservata, fino a farne un emblema tragi-comico 
    dell'evanescenza del vivere umano.
 
 | 
  
    | 
     caf G. Caillebotte, In un caffè, 1880
 
 | 
     Henri de Toulouse-Lautrec, M. Boileau Au Cafe 
    Hart, 1890
 
 | 
  
    | 
    ● Le solitudini dell'alcolismo
 Così Philippe 
    Ariès ci informa nel capitolo "Il gusto dell'alcol, una nuova 
    realtà" sull'abuso di bevande alcoliche, vero vizio sociale, che 
    ha assunto nell'Ottocento forme diverse , tutte legate comunque al degrado 
    dell'esistenza e dei rapporti sociali.
 
 | 
  
    | 
    "Ubriacarsi può costituire un piacere; ma il più delle volte si tratta di
    un gesto rivelatore di una difficoltà a vivere. È significativo che 
    con il XIX secolo si assista alla nascita dell'alcolismo e alla 
    comparsa della figura del 
    bevitore solitario. Una nuova calamità attorno alla quale si 
    accendono violente polemiche. Con ampiezza di argomenti, i membri delle 
    classi dominanti, valendosi dell'appoggio della medicina, pongono in 
    relazione la propensione all'alcol con l'immoralità della classe operaia. 
    Per sconfiggere la nuova pestilenza che getta il disordine nella famiglia, 
    contravviene al ferreo principio del risparmio, favorisce il calo 
    demografico, accelera la degenerazione della razza, rinfocola la discordia 
    sociale, attenta alla dignità patria, è opportuno in primo luogo operare 
    una moralizzazione del proletariato. Si organizza una campagna 
    antialcolica, a partire dal 1873 vengono create delle leghe che fanno 
    affidamento sulla scuola, la caserma, la città-giardino, l'inquadramento dei 
    divertimenti operai, e, soprattutto, sull'azione moralizzatrice della 
    donna. Più sotterraneamente questa campagna prende di mira 
    l'alcolismo mondano. 
    L'assenzio, in particolare, desta preoccupazione. 
    Lesivo alle cellule cerebrali, fattore di 
    epilessia, rischia di saccheggiare, al pari della sifilide sua alleata, il 
    patrimonio genetico delle classi dominanti. L'uomo rispettabile che beve 
    smodatamente fra le luci del caffè offre, inoltre, uno spettacolo degradante 
    che non deve assolutamente divenire consueto.
 
    Il movimento operaio, a partire dal 1890,
    rilancia la campagna orchestrata dai notabili; sulle basi tuttavia 
    di una totalmente diversa analisi del male, le cui cause sono ora 
    individuate nella miseria del proletariato. Il che non incide sulla 
    vivacità dell'impegno contro l'alcolismo. In questi ambienti, la droga 
    sempre più diffusa è accusata di far da freno alla organizzazione dei 
    lavoratori; la si vede come il nuovo oppio del popolo. Nel momento in cui si 
    allenta la presa della religione, subentra l'alcol come elemento di 
    confusione della coscienza, che blocca lo sviluppo della lotta di 
    classe. Anche qui, alla donna è affidato un ruolo moralizzatore. L'operaia 
    ha il compito di convertire il marito alla temperanza. 
    ( da Ph. Ariès, G. Duby, La vita privata, L'Ottocento, Laterza, 1988, 
    pp. 461-462 
    )
 | 
  
    | 
    C'è una certa continuità nel ritrarre pittoricamente il
    tema del solitario consumatore di assenzio, o comunque di alcoolici ( 
    vino, birra ), con referenti di significato abbastanza 
    costanti facilmente percepibili. A prescindere dagli atteggiamenti e dai 
    contesti che possono differenziare oggettivamente le situazioni ( la 
    strada per Il bevitore di assenzio di Manet , il bar per i 
    soggetti di Degas e
    Van Gogh,
    il chiuso di una stanza per le opere di
    Toulouse-Lautrec 
    ) le rappresentazioni contengono un dato convergente.Il bere conduce, più o meno volontariamente, alla perdita di contatti e 
    di sensibilità per la realtà esterna, rinchiudendo il singolo nel suo 
    microcosmo, dove stenta ad elaborarsi un rilancio della volontà, 
    dove domina la fissità di sguardi nel vuoto, testimonianza di 
    sconfitte esistenziali e spesso di degrado sociale.
 
 Quando Manet dipinge 
    nel 1858 Il Bevitore di assenzio,  
    pensa a Charles Baudelaire. 
    Ha conosciuto il poeta dal comandante Lejosne, uomo di cultura che riunisce 
    nel suo salotto le menti illuminate dell'epoca. E sicuramente sotto il suo 
    influsso che egli non si accontenta unicamente di proclamare la verità 
    del soggetto preso dal vivo e descritto nel proprio ambiente, la 
    strada. Vi introduce, anche altre dimensioni:
    la degradazione, il vizio, la 
    miseria. L'infelice e disgraziato alcoolista che dipinge è 
    l'opposto di ciò che la pittura accademica individua come modello. Il suo 
    uomo, con cappello a cilindro e ampio mantello, non sta appoggiato sull'anca 
    come i modelli professionisti del suo studio; anzi, le sue gambe sono 
    messe in modo bizzarro e infondono una sensazione di malessere. In 
    effetti, l'accentuato realismo della scena, sottolineato dall'aspetto 
    miserevole della figura addossata al muro e dalle tonalità scure, è 
    contraddetto dall'assenza di partecipazione emotiva, anche per il 
    rifiuto di aggiungere particolari connotanti la scena. Infatti l'evocazione 
    minuziosa del dettaglio avrebbe invitato ad una ricostruzione coinvolgente e 
    troppo emotiva della situazione ritratta.
 
 Degas realizza
    L'assenzio nel 1876 
    L'opera appartiene al momento saliente 
    dell'impressionismo: due anni dopo la prima mostra presso il fotografo
    Nadar. Benché si 
    tratti di un quadro impressionista è lontanissimo dai motivi festosi e dalle 
    gamme di colore squillanti impiegati da altri artisti del periodo. Lo spazio 
    di Degas, benché sia uno spazio concreto, ed esistenziale, non è naturale, 
    ma uno spazio psicologico e sociale.
    La realtà urbana ( il 
    quadro è ambientato sulla ferrasse del Café Nouvelle-Athènes, in 
    Piace Pigalle, dove si riunivano i pittori impressionisti ) viene
    riproposta senza "metterla 
    in posa", 
    senza cioè una 
    mediazione pittorica, che tenti di interpretarla, ma cogliendola piuttosto
    di nascosto con l'occhio di un osservatore disincantato ma attento. 
    Nell'angolo del locale siedono immobili di fronte alle loro bevande un uomo 
    ed una donna ( per Degas hanno posato due amici: l'attrice Ellen Andrée 
    e il pittore Marcel Desboutin )  indifferenti l'uno 
    all'altra, assorti nei propri pensieri, abbrutiti dalla vita e dall' 
    alcool. La scena ha una sua consueta verosomiglianza: lei è una povera 
    prostituta dalle vesti falsamente lussuose, lui un clochard, dedito al 
    vizio.
 Il dramma nasce dall' assenza di ogni atteggiamento teatralmente 
    drammatico, dall'emarginazione dei protagonisti, dal loro 
    decentramento scenico. E' una tranche de vie,  
    secondo l'indirizzo della narrativa naturalistica francese del secondo 
    Ottocento. L'occhio dello spettatore si posa fuggevolmente su un angolo 
    del caffè, dove casualmente si sta consumando il dramma umano di due 
    sconosciuti. A rafforzare l'idea di casualità dell'inquadratura 
    contribuisce l'impianto prospettico a zig-zag, la linea del tavolino in 
    primo piano, condotta in diagonale a sinistra, ripresa e continuata dal 
    giornale arrotolato intorno al bastone e sospeso fra i due tavoli è 
    bruscamente tagliata da quella degli altri tavolini, fino a perdersi oltre 
    il limite destro dove continua lo spazio. Cosicché sentiamo che
    questo angolo non è che un 
    frammento qualsiasi della vita di tutta la grande città.
 
 | 
  
    | 
  E. Manet, Il bevitore d'assenzio, 1858 - 1859
 
 | 
    
  as E. Degas, L'assenzio, 1876
 
 | 
  
    | 
    Le opere di
    Van Gogh e di
    Toulouse-Lautrec 
    nascono in un contesto artistico segnato dal postimpressionismo e 
    puntano in modo diverso a 
    caratterizzare la psicologia dei personaggi, colti in momenti di 
    profonda solitudine. 
    
    Van Gogh 
    a Parigi  diventa un assiduo frequentatore di 
    locali, cabaret e ristoranti popolari: seduto a un tavolo di “café” lo 
    ritrae Toulose-Lautrec 
    nel 1887. All’inizio di quell’anno frequenta assiduamente “Le 
    Tambourin”, sul Boulevard de Clichy, dove mangia gratis; il locale 
    era gestito da un’ex modella di Degas, l’italiana Agostina Segatori
    con 
    cui van Gogh ha una breve relazione. In quel periodo Vincent decora le 
    pareti del locale con dipinti suoi e stampe giapponesi che si procura nella 
    bottega di Samuel Bing in rue de Provence. 
    Così si esprime a proposito del genere del ritratto
    "Ciò che mi appassiona più di 
    tutto nel mio mestiere è il ritratto, il ritratto moderno. Lo 
    cerco attraverso il colore, e non sono certamente il solo a cercarlo in 
    questa strada […] vorrei fare dei ritratti che alla gente di un 
    secolo più tardi sembrino come delle apparizioni. Quindi non cerco più 
    niente attraverso la rassomiglianza fotografica, ma attraverso la nostra 
    espressione dei sentimenti, usando come mezzo di espressione e di 
    esaltazione del carattere la tecnica e il gusto moderno del colore […]". 
    Qui la figura delicata di 
    Agostina Segatori evoca, attraverso l’uso del colore e del 
    disegno finemente tracciato, lo stile delle xilografie giapponesi, 
    che tanto affascinavano Van Gogh, il quale, ad Anversa, tra il 1885 e il 
    1886, e poi a Parigi, aveva iniziato a collezionarle, organizzando 
    addirittura delle esposizioni nei caffè. Sullo sfondo del dipinto, sulla 
    parte destra, se ne intravedono alcune appese ad una parete del caffè Le 
    Tambourin.
 Lo sguardo della donna, che siede solitaria 
    davanti ad un boccale di birra, appare più profondo e consapevole 
    rispetto a quelli vuoti e persi della bevitrice di assenzio 
    di Degas o della triste 
    figura femminile di Toulouse 
    Lautrec ( 
    I postumi di una sbornia 
    ); personaggi questi  incapaci di evocare realtà altre rispetto alla 
    nuda contingenza del presente.
 I postumi di una sbornia 
    è un'opera emblematica di una condizione sociale e 
    morale degradata. La donna proletaria che cerca
    scampo nella bottiglia a una 
    squallida esistenza quotidiana (soggetto tra i più rappresentati 
    e rappresentativi della pittura francese a partire dagli anni Settanta 
    dell'Ottocento) diventa il simbolo di un'intera classe minacciata dal 
    pericolo dell'alienazione sotto il peso dei ritmi serrati e delle 
    condizioni lavorative disumane imposte dalla nascente civiltà industriale. A 
    posare per il disegno di Lautrec fu la sua amante di allora,
    Suzanne Valadon, poi 
    nota come pittrice di talento e madre di
    Maurice Utrillo.
 
 | 
  
    | 
     V. Van Gogh, Agostina Segatori al Café du 
    Tambourin, 1887
 
 | 
  sbor Henri de Toulouse-Lautrec. I postumi di una 
    sbornia , 1887-1889
 
 | 
  
    | 
    Henri de Toulouse-Lautrec , A La Mie (1891)
 
    Analoga scena di squallore proletario, reso più 
    evidente da una fattura volutamente dozzinale cui concorrono la pennellata 
    sciatta e la pessima qualità del supporto cartaceo Contrariamente 
    all'impressione di immediatezza e spontaneità esecutiva che ne trae lo 
    spettatore, l'opera è nata da un attento lavoro preparatorio e nel solco 
    tracciato da precisi modelli. Lo dimostrano sia l'esistenza di una 
    fotografia che ritrae la medesima scena del dipinto, scattata su richiesta 
    dello stesso Lautrec 
    che intendeva servirsene come punto di partenza e termini di confronto per 
    il suo lavoro, sia l'innegabile influenza di opere come 
    L'assenzio di Edgar 
    Degas, del 1876, o come 
    I bevitori di assenzio 
    di Jean-Francois Raffaélli, 
    del 1881. Il nome del locale che dà il titolo al dipinto è anche un 
    gioco di parole basato sull'identica pronuncia di "A La Mie" 
    (Alla Mollica) e "a l'amie" (all'amica).
 | 
  
    | 
    
 
 
 
  alM Henri de Toulouse-Lautrec, A La Mie, 1891
 | 
     Jean-Francois Raffaelli, I bevitori di assenzio, 
    1881
 | 
  
    | 
    
    ● Disarmonia esistenziale nei luoghi di 
    intrattenimento
 Il segno ed il colore dell'arte di 
    Toulouse Lautrec possiedono un carattere 
    di incisiva espressività, capace di evidenziare la personalità 
    dei personaggi ritratti, che vengono sintetizzati in "tipi", protagonisti 
    indiscussi del mondo dei locali di Montmartre. Prevalgono, nella produzione 
    dell'autore, la caricatura, lo schizzo, il dinamismo delle scene di massa,
    una rappresentazione a 
    volte disarmonica della realtà, del tutto affrancata dalle regole della pittura 
    tradizionale, a tratti persino violenta, un'esplosione di segni e colori, 
    volti a denunciare la decadenza ed il degrado 
    più che l'effervescenza del divertimento.
 Le opere di
    Toulouse Lautrec  sono 
    caratterizzate da una 
    nota amaramente ironica e da
    una fredda 
    negatività esistenziale, che emerge paradossalmente dalle
     
    fisionomie distratte o sfigurate dalla noia dei frequentatori dei locali
    notturni di Parigi. L'autore è del tutto lontano dalla 
    partecipazione emotiva a questi drammi ed è piuttosto lo spettatore ad essere 
    partecipe della tensione delle opere, rimanendone coinvolto 
    psicologicamente.
 
 | 
  
    | 
  MG H. Toulouse Lautrec, Moulin de la Galette, 188
 | 
  Henri de Toulouse-Lautrec. Moulin Rouge, 1892 - 
    1893
 | 
  
    | 
    
    ● La progressiva de-rappresentazione della 
    dimensione urbana del vivere
 
 Per concludere il discorso sull'importanza che 
    l'ambiente urbano parigino ha avuto per l'impressionismo e la sua 
    visione della vita, dobbiamo ora analizzare più da vicino il momento 
    di cesura ( attorno al 1880 ) che segna una crisi 
    irreversibile di tutto quel mondo, con l'abbandono progressivo delle 
    certezze teoriche maturate negli anni '60, espresso dai felici sodalizi di 
    Monet e Renoir impegnati ad Argenteuil. L'abbandono di precise certezze ( 
    il valore del plein air, la visione festosa e disincantata del vivere nelle 
    periferie parigine, le sensazioni calde di luce e calore... ) si legge nell'isolamento 
    di molti protagonisti di quella felice stagione artistica, ma 
    soprattutto dal maturare di nuovi linguaggi, che progressivamente 
    spogliano il realismo ed il naturalismo della sua pregnanza rappresentativa.
 L'ottava mostra degli impressionisti del 1886 è dominata da 
    La grande jatte di
    Seurat,
    che segnerà la definitiva dissoluzione del gruppo, ormai 
    scavalcato dal nuovo orientamento del puntinismo di
    Seurat e
    Signac, 
    difforme dall'ideale di arte fenomenica degli impressionisti.
 
 Il concetto di 
    de-rappresentazione è stato impiegato per la pittura di
    Cezanne da due 
    filosofi, Maurice Merleau-Ponty 
    e Jean-François Lyotard,  
    che analizzano il rapporto tra arte e psicanalisi in questo artista. Con il 
    termine de-rappresentazione si indica una  rivoluzione formale 
    nel modo di dipingere, negando ad esempio le leggi della prospettiva 
    geometrica - legate ad una razionalizzazione del pensiero posto a 
    disciplinare, con leggi matematiche la percezione visiva - per una 
    prospettiva vissuta nei rigori volumetrici,  nelle proprietà plastiche 
    intrinseche di linee, superfici e tonalità di colore. Una ricerca 
    pittorica intesa  dunque a sottrarsi ad una delle categorie dominanti 
    del pensiero occidentale: quella della rappresentazione del reale per 
    una tensione esasperata alla realizzazione dell'irrealtà che sta sotto, 
    più forte e prepotente del reale.
 L'ultimo Monet  - 
    che conclude la sua produzione con il ciclo delle ninfee - si affianca a
    Cezanne in questa
    fuga dalla città come terreno 
    della rappresentazione,  per immergersi in esperienze di 
    studio delle forme nella purezza della natura, destinato a fondare i 
    presupposti dell'arte moderna.
 
 Si può intuire in Rue Mosnier imbandierata il lento superamento 
    - sul piano tematico - delle festanti 
    e dinamiche atmosfere di Rue Montorgueil, 
     presente in alcuni famosi quadri di
    Manet del 1878. Qui 
    la presenza della folla è come svanita nel nulla: solo 
    qualche carrozza, l'avanzare faticoso di un mutilato, la scia dei vessilli 
    svolazzanti, l'ombra che sommerge il fondo della strada. Si percepisce in 
    questo quadro un'assenza ed un vuoto d'animazione, che la ricerca 
    formale sugli effetti della luce, che si stempera sui muri delle case, non 
    fa che acuire.
 
    Cezanne,
     nato ad Aix-en-Provence e parigino solo per la 
    frequentazione dell'ambiente culturale della capitale, porta avanti le sue
    ricerche sul paesaggio con una esigenza sempre più viva di 
    razionalizzazione, imponendo ordine e stabilità ai piani visivi, 
    sbarazzandosi ben presto del rassicurante studio tonale del plein air,
    coltivato negli anni '60 e '70 sotto la guida di
    Pissarro.
    In  La casa di Zola a Médan ( 1880 ) si 
    riconosce già la pennellata direzionale, che colloca i segni su linee 
    parallele, esprimendo le sensazioni visive attraverso chiazze di luce 
    colorata. Esse hanno il compito di produrre una più completa 
    definizione spaziale del complesso abitativo immerso nel verde della 
    vegetazione, rispecchiata nella luce delle acque.
 Ancora più simmetrica è la scomposizione spaziale di 
     L'Estacque a villa d'If
     ( 1884 ), dove sono rintracciabili tre piani prospettici
    chiaramente isolabili, scanditi con un preciso criterio: colline 
    boscose e case in primo piano, il mare restrostante, la 
    montagna al di sopra della quale è il cielo. E' definitivamente 
    superato lo spazio aperto, mobile ed indistinto degli impressionisti.
 I paesaggi di Cezanne 
    - tutti rivolti all'approfondimento dell'intima essenza della natura, 
    che assume stabilità e durata solo nel respiro assicuratele dall'arte,
    segnano un netta discontinuità. Si esaurisce per la prima 
    volta quel legame intenso, che aveva unito gli impressionisti ai soggetti 
    urbani ed a quelli della banlieu parigina, dove la presenza umana faceva 
    percepire la continuità di un'atmosfera di vita, comunque rappresentabile 
    efficacemente abbandonandosi alla pura sensazione atmosferica. Ora lo 
    sguardo si distanzia, producendo geometriche astrazioni degli spazi: 
    la pittura abbandona dunque la rappresentazione.
 
    Infine, quando la figura umana riappare in un contesto 
    di relazioni ( Due giocatori di carte, 
    1893 - 1896  ) Cezanne 
    , sempre attento ai valori formali e spaziali, più che non alla psicologia 
    dei personaggi, ci lascia intuire un momento di limpida e totale 
    concentrazione, icone enigmatiche immerse nella solenne riflessione del 
    gioco, che è la forma più semplice della razionalità contadina e 
    non una manifestazione della psicologia dell'uomo di città. Il quadro è 
    infatti ambientato nella sua tenuta di Jas de Bouffan presso Aix -en-Provence 
    e negli interni delle fattorie circostanti, dove alcuni contadini hanno 
    posato per la realizzazione del quadro, presente in almeno cinque versioni.
 | 
  
    | 
    
     rM E. Manet, Rue Mosnier imbandierata, 1878
 
 | 
     P. Cezanne, La casa di Zola a Médan, 1880
 
 | 
  
    | 
     Est P. Cezanne, L'Estacque a villa d'If, 1884
 
 | 
    
 
 
 
 
  P. Cezanne, Due giocatori di carte, 1893 - 1896
   |