Nell'ambito
della crisi della cultura positivistica e nel pieno successo dei topoi
dannunziani spiccano le soluzioni tematiche ed espressive di Guido Gozzano,
l'esponente di maggior importanza della poesia crepuscolare, che propone una risposta nuova
alla modernità incalzante. Si possono
sintetizzare in una mappa
riaggregativa suggestioni, spunti tematici e valori speculari, che si nascondono nelle posizioni
di Futuristi e di Crepuscolari.
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Due atteggiamenti sulla modernità: ripiegamento / coinvolgimento

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La risposta di Gozzano appare complessa e non riconducibile ad un
semplice rifugio nostalgico nel passato e nelle "buone cose di
pessimo gusto" che lo contraddistinguono ( L'Amica di Nonna
Speranza ). Il suo atteggiamento ironico e in alcuni casi parodico nei
confronti di alcuni miti dannunziani ( la donna e l'amore fatale, il
superuomo esteta...), il suo distacco dalla concitazione urbana e
dal progresso esaltato dall'età giolittiana < Torino e la grande
Esposizione del 1911 > spiegano la sua incapacità
( inettitudine ) a cavalcare
gli idoli della modernità. Egli è inadatto sia storicamente che
esistenzialmente a condividere l'esaltazione
futurista per la vita, accesa dall'energia di macchine, voli,
folle plaudenti..... Inadatto è del resto Gozzano ad adottare forme espressive indirette,
intuitive ove trionfi l'analogia arrischiata e proliferante del testo
parolibero. Egli necessita di stabili riferimenti temporali e spaziali,
che lo riportano a toni descrittivi anche se demistificatori.
L'esperienza della malattia e la presenza quasi amica della
Morte gli fanno preferire stati d'animo più raccolti,
metafore più interiorizzate ( l'esilio, il
rifugio, il colloquio, la poesia...) con le relative oggettivazioni
( il giardino e la cancellata di Cornigliano ( Cocotte ), la
cucina ed il solaio di Villa Amarena, la faccia buona
e casalinga della Signorina Felicita, l'atmosfera
ovattata dell' ottocentesco salotto di Nonna Speranza, ma
anche l'isola tropicale immaginaria di Paolo e Virginia,
il silenzio di chiostro e di caserma della villa torinese di
Totò Merumeni, la città morta, Goa, la Dourada del suo
viaggio in India...) che denotano un bisogno di chiusura
in spazi privilegiati e isolati
dal tempo.
Così le sensazioni possano venir - intenzionalmente -
decantate -
tramite la parola poetica - da ogni coinvolgimento troppo intenso con
i sentimenti, con le passioni, con le progettualità di vita e la
costruzione di solidi ideali storici o culturali. Questo atteggiamento di
rinuncia,
di distanziamento,
di abbandono anche autoironico
alla memoria di un passato quietamente inoffensivo e demodé, nella sua
spenta e tranquilla purezza, inseriscono l'inettitudine gozzaniana
tra i moderni atteggiamenti della crisi del primo '900.
...Il
mio sogno è nutrito d'abbandono
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
Che potevano essere e non sono
state...Vedo la casa, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!
I colloqui, Cocotte, vv.67 - 72.
La poesia diviene lo spazio
privilegiato dell'esistenza; è l'illusione intessuta
di ironia, nel tentativo di evadere verso la ricostruzione fittizia del reale,
che ricomponga - rarefatte dalle metafore poetiche - le tappe di una vita
affiancata dalla malattia. Le tre sezioni de "I colloqui"
ricostruiscono tre tappe ideali della vita di Gozzano.
Dal vagabondaggio
sentimentale del giovenile errore amoroso, si
passa ad alcuni colloqui intrattenuti con con quella Signora
vestita di nulla < la Morte > ( Alle soglie ),
evocati paradossalmente dai rassicuranti e puri contesti del passato (
Agliè, Villa Amarena, l'isola di Paolo e Virginia ) attorno ai quali però
non riesce a delinearsi un'autentica nostalgia. Infine nella terza sezione (
Il reduce ) il poeta così si esprime: "...reduce
dall'Amore e dalla Morte, gli hanno mentito le due cose belle...così
rifletterà l'animo di chi , superato ogni guaio fisico e morale, si
rassegna alla vita sorridendo".
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Guido
Gozzano nacque ad Agliè nel 1883 e morì a Torino nel 1916 ad appena
33 anni. Studiò legge senza mai pervenire alla laurea. I suoi interessi lo portarono a frequentare i
circoli letterari torinesi, particolarmente sensibili alla letteratura del
decadentismo europeo. Fu legato sentimentalmente alla scrittrice Amalia Guglielminetti.
Malato di tisi fin da giovanissimo, alternò la vita nella città con soggiorni in località climatiche. Per ricercare climi più salubri si spinse fino in India e Ceylon. Morì a Torino nel
1916.La via del rifugio Raccolta pubblicata a Torino nel 1907,
segnò l'esordio poetico di Gozzano. L'opera costituisce un interessante esempio di
lirica post-dannunziana, nella quale il pessimismo ironico e la coscienza critica dell'autore appaiono mezzi nuovi di analisi delle convenzioni
borghesi. Componimenti come Le due strade o la più celebre Amica di nonna Speranza si caratterizzano per l'impiego del dialogo e il ricorso al parlato, che saranno caratteristici di tutta la poesia successiva di
Gozzano.
I colloqui pubblicato nel 1911, rappresenta il momento più importante della produzione poetica gozzaniana. Ripartito in tre sezioni distinte, è una sorta di
poema esistenziale che si apre con gli episodi di "Vagabondaggio
sentimentale" del giovenile errore, in cui l'autore affronta
un'ironica riflessione sull'amore. Le poesie seguenti di "Alle soglie" (tra cui, notissima,
La signorina Felicita) sembrano attraversate da una premonitrice idea di
morte, che nell'ultima sezione, intitolata significativamente "Il
reduce", si scioglierà in un'indifferente rassegnazione, raggiunta dal poeta nella resa a un'esistenza vana
che nutre solo l'esperienza della parola poetica.
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Fotografia di G.Gozzano ad
Agliè |

Wildt, La Vittoria
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Wildt, Un rosario
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Aglié, Gozzano con la madre ed un amica
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"Totò Merumeni vive fuori del mondo, nella villa barocca. con la madre
malata, lo zio demente, la prozia decrepita, con la sola compagnia del
gatto, della ghiandaia roca e della bertuccia di nome Makakita. Soltanto
in questa solitudine, che è tanto esteriore, rispetto al mondo che
vorrebbe la mercificazione della sua scienza e dei suoi studi, quanto interiore,
in quanto ha bruciato in sé ogni sentimento, si è ridotto come una
rovina
inaridita dalle fiamme, cioè nel rifiuto totale di ogni contatto
col mondo borghese è possibile la
poesia nell'aridità ..... come metafora della negazione dei rapporti
che, inevitabilmente, appaiono condizionati dall'inautenticità del mondo
borghese." ( Barberi Squarotti )
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Totò
Merùmeni
I.
Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei
balconi secentisti guarniti di verzura,
la villa sembra tolta
da certi versi miei,
sembra la villa-tipo, del Libro di
Lettura...
Pensa migliori giorni
la villa triste,
pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.
Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,
Casa Rattazzi, Casa d'Azeglio, Casa Oddone,
s'arresta un'automobile
fremendo e sobbalzando,
villosi forestieri picchiano la gorgòne.
S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente
la porta... In
quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.
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Heautontimoroumenos
( Il punitore di se stesso )
L'ambientazione
è letteraria più che reale, la villa-tipo del libro di lettura
sembra ricordare il contesto in cui si realizza la rievocazione
dell'incontro con la Signorina Felicita, la villa del
Meleto ad Agliè.
Anche in questo caso gli spazi della villa < giardino incolto, vaste
sale, bei balconi secentisti..salone spoglio > sono canonici a
definire il raffronto tra un passato felice, in cui gaie brigate e
banchetti illustri animavano questo spazio di presenze umane e
l'abbandono presente. Ora energiche presenze si delineano dall'esterno
attraverso simboli un po' volgari di automobilisti
impellicciati < un'automobile fremendo e sobbalzando, villosi
forestieri picchiano la gorgone >. La porta si chiude cautamente a
ridefinire la chiusura dello spazio antico.
Lì si consuma l'isolamento di Totò ( colui che si autopunisce in
modo grottesco), in una parodia amara delle antiche ricche relazioni
della villa:
...In
quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.
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II.
Totò ha venticinque
anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere
d'inchiostro,
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro.
Non ricco, giunta l'ora di "vender parolette"
(il suo Petrarca!...) e farsi baratto o gazzettiere,
Totò
scelse l'esilio.
E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.
Non è cattivo.
Manda
soccorso di danaro
al povero, all'amico un cesto di primizie;
non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro
pel tema, l'emigrante per le commendatizie.
Gelido, consapevole di
sé e dei suoi torti,
non è cattivo. È il buono
che derideva il Nietzsche
"...in verità derido l'inetto che si dice
buono, perché non ha l'ugne abbastanza forti..."
Dopo lo studio grave,
scende in giardino, gioca
coi suoi dolci compagni sull'erba che l'invita;
i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita...
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La parodia continua e questa volta
l'obiettivo è il dannunzianesimo con il suo mito del superuomo,
modellato sulla filosofia di Nietzsche.
Totò si dice vero figlio del tempo
nostro: lettore attento e profondo, curioso delle nuove filosofie,
si atteggia a superuomo, lontano dalla morale, chiaroveggente interprete del
nuovo pensiero: ma già si intravede il tono demistificatorio !
In realtà la sua vita è un esilio volontario. Lontano dalle
occupazioni sociali di carattere intellettuale
< giunta l'ora di "vender parolette"
(il suo Petrarca!...) e farsi baratto o gazzettiere,..>
ha abdicato ai rapporti e
ne conserva solo pochi. occasionali,
che testimoniano il cedimento
ai buoni, semplici sentimenti: è solidale, disponibile..la sua è una
bontà istintiva che si alimenta nell' inettitudine.
< Non è cattivo. Manda
soccorso di danaro
al povero, all'amico un cesto di primizie;
non è cattivo. E' il buono che derideva Nietzsche >
Qualche animale un po' buffo lo affianca nel suo giardino a testimoniare
la rinuncia ai rapporti di vita.
< i suoi compagni sono:
una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita...>
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III.
La
Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l'Amore
che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovinetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino...
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Il
grande amore, fascino e speranza dell'età giovanile, ha mancato le sue
promesse. < L'eco delle donne fatali - di dannunziana memoria - riaccende
la parodia del topos culturale dell'amore come sentimento unico,
sofferto e passionale >.
Quasi si compiace Totò nel richiamare tutta la prosaica bassezza di un
rapporto occasionale; ma il tono è ironico, letterario, smitizzante....con
una inflessione di triste ironia.
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IV.
Totò
non può sentire. Un lento
male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l'analisi e il sofisma
fecero di quest'uomo
ciò che le fiamme fanno d'un edificio al vento.
Ma come le ruine che già seppero il fuoco
esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,
quell'anima riarsa
esprime a poco a poco
una fiorita d'esili versi
consolatori...
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Ed
ora l'introspezione, pur sempre accompagnata dall'ironia. L'esilio nella
villa, la lettura, la solitudine, la riflessione... hanno inaridito la vita
di Totò. Egli non sa più provare sensazioni e sentimenti vitali.
Solo la poesia può rinascere come consolazione ad un reduce
dall'amore e dalla morte.
Una poesia nutrita di distacco e disincanto che rivive con leggerezza
la privata vicenda esistenziale, ma si sottrae a compiti più alti,
pubblici, artistici ed intellettuali.
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V.
Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende,
quasi è felice.
Alterna l'indagine e la rima.
Chiuso in se stesso, medita, s'accresce, esplora, intende
la vita dello Spirito che non intese prima.
Perché la voce è
poca, e l'arte prediletta
immensa, perché il Tempo - mentre ch'io parlo! - va,
Totò opra in disparte,
sorride, e meglio aspetta.
E
vive. Un giorno è nato.
Un giorno morirà.
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Totò è' quasi appagato La sua vita si sdoppia tra la riflessione
e la poesia. La chiusura del suo rifugio lo aiuta ad esplorare le
ragioni del vivere, a precisarsi, a comprendersi, forse anche a realizzarsi.
Ma il tutto in disparte, mentre la vita trascorre ed il tempo si snoda
inesorabile.
Anche la poesia non realizza però; affianca semplicemente la
vita: guidogozzano è una cosa destinata a vivere ed a morire -
ineluttabilmente - tra le altre cose. La
stessa attività poetica è del tutto demistificata nell'attesa che si
realizzi il destino di morte.
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