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Cavour imprenditore. Progresso e liberismo


Adam Smith (1723-1790) famoso economista inglese del '700, difensore delle teorie  liberiste




David Ricardo ( 1772 -  1823),  è - con Adam Smith - il massimo esponente della scuola classica dell'economia.
 




Th. Robert Malthus ( 1766-1834 ). La causa principale della miseria è dovuta al fatto che la popolazione tende ad aumentare più rapidamente dei mezzi di sussistenza.

Le teorie liberiste

Cavour ebbe pratica di testi di economia e di resoconti di riviste economiche fin dai 18 anni. A Ginevra frequentò lezioni di Scerbouliez, a Parigi di Pellegrino Rossi e di Michel Chevalier, a Londra prese contatto con William Nassau senior: tutti famosi esponenti del pensiero economico ottocentesco. Cavour, compatibilmente con gli impegni politici, dopo il 1850 rafforzò la sua cultura economica ed i suoi scritti di "economia applicata" si legano concettualmente a molti degli assunti dei suoi discorsi parlamentari. Le sue posizioni, di tipo liberista. L'orientamento dominante della dottrina economica del tempo era quello del liberoscambismo o liberismo, fieramente in lotta contro le protezioni doganali, i monopoli, i divieti ed i vincoli statalistici. Dalla libertà degli scambi gli economisti si attendevano decisivi incrementi del commercio e degli affari, riduzione generale dei prezzi dei generi alimentari e delle materie prime, dei salari, dei costi di produzione, accompagnati da generali ampliamenti delle possibilità di consumo e da una espansione delle produzioni più convenienti  a ciascun paese con vantaggi nella specializzazione dell'offerta.

Il successo delle teorie liberiste è in stretta relazione con l'ampiezza degli orizzonti di mercato ed alla agevole comunicabilità fra questi, con la riduzione dei costi di trasporto. Tali economisti sostenevano due cose:
-  la prima era che la concorrenza aperta costituiva un forte stimolo a sollecitare l'innovazione;
- la seconda sosteneva che la libertà degli scambi avrebbe creato un'ottimale divisione internazionale del lavoro, perché ciascun paese avrebbe potuto massimizzare le produzioni che gli riusciva più conveniente effettuare, data la composizione ed i costi dei fattori disponibili.

Tali teorie tuttavia spesso erano accolte come trasgressive da un ambiente ostile come quello piemontese. Venivano infatti intese come espressione concrete di una ideologia del progresso e della civilisation, che non si accontentava della propaganda di utopie ma intendeva tradursi in pratiche iniziative, affiancate da un'azione politica conseguente. I protezionisti ripetevano vecchie teorie mercantiliste  ( la ricchezza di una nazione si realizzerebbe esportando molto e importando poco: si esprimerebbe cioè negli avanzi di bilancia commerciale saldati in oro ), oppure cominciavano a considerare l'industrializzazione come un imperativo da realizzare a tutti i costi. Temevano che la divisione del lavoro potesse produrre un vantaggio per i paesi ad economia industriale a danno dei paesi a prevalente economia agricola.

I liberisti negavano questa affermazione, sottolineando il carattere industriale della stessa agricoltura moderna che poteva darsi organizzazione e capacità tecniche innovative analoghe a quelle delle industrie manifatturiere: Cavour ad esempio credeva che, acquisendo conoscenze e competenze avanzate avrebbe potuto rendere elastiche e modificabili le stesse specializzazioni agrarie, evitando "condanne fatali a produzioni meramente primarie".

 Le posizioni di Cavour

Cavour non ebbe mai dubbi che le teorie liberiste fossero le più convenienti per quella parte del territorio italiano che cominciava a dare segni di moderna accelerazione della crescita: l'area del futuro triangolo industriale. Egli agirà infatti  nella prospettiva di integrare il settore agricolo con quello industriale , con quello finanziario e dei commerci, anticipando in tal senso più moderne sinergie economiche evidenti in Italia a partire dalla seconda metà dell'Ottocento.

Egli riteneva ad esempio che il ribasso dei prezzi cerealicoli, subito dopo il 1830, dovuto all'arrivo in Europa dei grani ucraini attraverso i Dardanelli, aveva in realtà provocato un generale miglioramento dell'agricoltura anche in Italia, inducendo un mutamento in senso ottimale delle destinazioni colturali, stimolando cioè il passaggio a produzioni più complesse e più redditizie, come l'allevamento o la gelsobachicoltura, altre colture legnose e colture industriali, oltre ad incentivare avvicendamenti, adatti ad accrescere la produttività dei terreni e gli stessi rendimenti di questi in cereali.

Una delle prime posizioni del liberismo cavouriano fu un parere reso al ministro inglese in Piemonte, nel 1842, sui vantaggi anche per la regione sabauda della libertà di commercio dei cereali. Tornò sull'argomento due anni dopo richiamando l'importanza della abolizione dei dazi sul commercio dei cereali, anticipando la decisione del premier inglese Robert Peel del 1846 ( revoca delle Corn Laws ).

Altra grande disputa italiana tra protezionisti e liberoscambisti aveva riguardato divieti, vincoli, imposizioni sulle esportazioni delle sete gregge. Vietando o ostacolando tale esportazione, se ne teneva basso il prezzo, favorendo la loro lavorazione all'interno, nella torcitura, cioè nella produzione intermedia del filo pronto per la tessitura. L'abolizione dei vincoli, e il conseguente ribasso sui mercati esteri della sete gregge, ne aveva favorito l'uso e con esso l'impiego nell'industria tessile, con conseguente incremento della domanda mondiale non solo delle sete gregge ma anche dei prodotti filati, fra cui quelli piemontesi.



Una filanda lombarda per la produzione del filo di seta - da http://www.scoprilecco.it/industrie/filande.jpg


L'interesse di Cavour per la nascita di un nuovo sistema bancario
 

Tra gli affari e la politica, sta la partecipazione di Cavour alla creazione dei primi moderni istituti di credito a Genova e a Torino, destinati di lì a qualche anno a confluire nella Banca Nazionale degli Stati Sardi, che più tardi divenne, com'è noto, la Banca d'Italia.  A formare nuove disponibilità monetarie doveva contribuire una bilancia dei pagamenti che, nonostante il deficit denunciato dai valori ufficiali della bilancia commerciale, era probabilmente attiva.  Disponibilità rilevanti di oro monetato provenivano soprattutto dalla Lombardia, la cui bilancia commerciale nei confronti del Piemonte era costantemente sfavorevole, in relazione specialmente ai larghi approvvigionamenti che vi giungevano attraverso il porto di Genova.  Abbondava dunque il risparmio alla ricerca di impieghi, come è dimostrato dall'ascesa dei corsi dei titoli pubblici.

Il grosso del credito commerciale restava tuttavia nelle mani delle banche private
, quasi sempre a carattere strettamente familiare e spesso interessate anche in affari di commercio, le quali, accanto ad operazioni su titoli del debito pubblico, praticavano un ristretto credito di esercizio, scontando cambiali, concedendo anticipazioni su depositi di merci, soprattutto seriche, ed effettuando altre operazioni a breve termine.  Esse accettavano anche depositi a custodia, emettendo perciò moneta bancaria nella forma di titoli negoziabili e a scadenza: ma appunto tale caratteristica differenziava la circolazione originata da queste banche dai biglietti al portatore emessi da un moderno istituto di emissione
, convertibili a vista senza aggravio di sconto e formalità di girate; e l'azione ne risultava dunque assai meno conforme alle cresciute esigenze del commercio e della vita economica in generale

Il problema era specialmente sentito a Genova che, alle crescenti esigenze del grande commercio d'oltremare, univa le tradizioni ancora recenti di un grande centro finanziario e bancario a livello europeo.  E appunto gli amici e corrispondenti genovesi del Cavour, i banchieri De La Rüe, già nella primavera del 1836 avevano sottoposto al governo il progetto di una nuova banca, alla quale offrivano di partecipare per 600 mila franchi.  Il progetto, di cui anche Cavour aveva caldeggiato l'accettazione, era naufragato contro le difficoltà incontrate nelle sfere di governo, nelle quali si era persuasi che « les actions de la banque projétée ont été accaparées par un petit nombre de capitalistes, pour la plupart étrangers, ce qui rendrait son établissement peu populaire parmi le commerce de Génes ». 

Erano preoccupazioni radicate nel paternalismo del regime assoluto, e con esse Cavour dovrà fare i conti più volte negli anni successivi. Tuttavia, l'iniziativa riuscì finalmente ad avere successo quando, verso la fine del 1843, venne ripresa da un gruppo di finanzieri liguri con a capo, ancora una volta, il duca di Galliera, che contemporaneamente sollecitava la concessione della linea ferroviaria da Genova alla frontiera lombarda e ad Alessandria.


A modello del nuovo istituto venne scelta la banca fondata nel 1835 a Marsiglia, di cui si adottarono quasi alla lettera gli statuti.  Essa riceveva depositi in conto corrente senza interessi, effettuava anticipazioni su depositi di metalli preziosi o di cedole di Stato, e soprattutto era autorizzata ad emettere biglietti convertibili a vista per un ammontare pari al triplo delle sue riserve. 1.400 azioni erano riservate al soci fondatori, e per il resto 1.050 vennero distribuite dal ministero fra altri banchieri, fabbricanti e negozianti  nel distretto di Genova, 949 in quello di Torino, 321 nel Nizzardo e 280 in Savoia.  Ne risultò un saldo predominio genovese nell'istituto, ancora rafforzato dalle norme che regolavano la partecipazione all'assemblea degli azionisti.  Ancora prima che la Banca iniziasse la sua attività si scatenò tuttavia una attivissima speculazione sui suoi titoli,

        Fonti bibliografiche:

Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, Laterza 1969 – vol. 2/1 e 2/2- Agricoltura e affari,
Storia d’ Italia , Einaudi (vol. 3) – Dal primo Settecento all’ unità. La politica economica del Piemonte costituzionale: tributi, finanze, ferrovie
Luciano Cafagna, Cavour, Il Mulino 1999, pag. 120-128.

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