| Testo | Traccia tematica | 
  
    | 
    Giovin Signore, o a te scenda per lungo
 di magnanimi lombi ordine il sangue
 purissimo celeste, o in te del sangue
 emendino il difetto i compri onori
 e le adunate in terra o in mar 
    ricchezze
 dal genitor frugale in pochi lustri,
 me precettor d’amabil rito ascolta.
 
            Come 
    ingannar questi nojosi e lentigiorni di vita, cui sì lungo tedio
 e fastidio insoffribile accompagna
 or io t’insegnerò. Quali al 
    mattino,
 quai dopo il mezzodì, quali la sera
 esser debban tue cure apprenderai,
 se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti resta
 pur di tender gli orecchi a’ versi miei.
 
           ( ....)
 | 
      Il giovane nobile può vantare antiche e famose origini 
    oppure può avere un titolo di recente acquisito col danaro della famiglia 
    improvvisamente arricchita.
 La nobiltà non è più 
    identificabile con la purezza del sangue.
 
      Il poeta si presenta, emblematicamente ed in tono 
    satirico, come educatore del Giovin Signore per rendere sempre più 
    raffinata la sua pratica quotidiana dell'ozio e del vivere inutile, nella 
    tentata fuga dall'insopportabile noia che accompagna le sue giornate | 
  
    | 
      Sorge 
    il mattino in compagnìa dell’alba
 innanzi al sol che di poi grande appare
 su l’estremo orizzonte a render lieti
 gli animali e le piante e i campi e l’onde.
 Allora il buon villan sorge 
    dal caro
 letto cui la fedel sposa, e i 
    minori
 suoi figlioletti intepidìr la notte;
 poi sul collo recando i sacri 
    arnesi
 che prima ritrovâr Cerere, e Pale,
 va col bue lento innanzi al campo, e scuote
 lungo il picciol sentier da’ curvi rami
 il rugiadoso umor che, quasi gemma,
 i nascenti del sol raggi rifrange.
 Allora sorge il fabbro, e la sonante
 officina riapre, e all’opre torna
 l’altro dì non perfette, o se di chiave
 ardua e
    ferrati ingegni all’inquieto
 ricco l’arche assecura, o se d’argento
 e d’oro incider vuol giojelli 
    e vasi
 per ornamento a nuove spose o 
    a mense.
 
 | 
      Il risveglio all'alba del contadino che si reca al 
    lavoro. L'idealizzazione della sua vita, legata ai valori della terra e 
    contrassegnata dall'unità familiare. La natura sembra rispondere ridente 
    nella sua bellezza alla purezza morale di questo stile di vita.
 
      L'operosità del fabbro, che si scontra con l'insicurezza 
    ansiosa del ricco, tenace custode delle sue ricchezze. | 
  
    | 
            Ma che? tu inorridisci, e mostri in 
    capo,qual istrice pungente, irti i capegli
 al suon di mie parole? 
    Ah non è 
    questo,
 signore, il tuo mattin. Tu col cadente
 sol non sedesti a parca mensa, e al lume
 dell’incerto crepuscolo non gisti
 jeri a corcarti in male agiate piume,
 come dannato è a far l’umile 
    vulgo.
 
 | 
      La satira verso lo stile di vita del giovin signore inizia dalla descrizione 
    del suo risveglio in tarda mattinata. Emerge il contrasto netto tra 
    l'impiego della giornata da parte del lavoratore operoso e dell'ozioso 
    nobiluomo.
 
      La notte è il campo d'azione del libertino, mentre questa 
    serve per il riposo di chi ha faticato durante il giorno. Povera è la mensa 
    ed il giaciglio del contadino; soffice e confortevole il letto del nobile.
 | 
  
    | 
      
    A voi 
    celeste prole, a voi concilio
 di Semidei terreni altro concesse
 Giove benigno: e con altr’arti e leggi
 per novo calle a me convien guidarvi.
 
 | 
      Gli Dei sembrano aver concesso
      una sorte diversa alla nobiltà ed 
    anche il poeta deve impiegare verso di essa un tono diverso per 
    ammaestrarla.
 | 
  
    | 
      Tu tra le veglie, e le canore scene,
 e il patetico gioco oltre più assai
 producesti la notte; e stanco alfine
 in aureo cocchio, col fragor di calde
 precipitose rote, e il calpestìo
 di volanti corsier, lunge agitasti
 il queto aere notturno, e le tenèbre
 con fiaccole superbe intorno apristi,
 siccome allor che il siculo terreno
 dall’uno all’altro mar rimbombar feo
 Pluto col carro a cui splendeano innanzi
 le tede de le Furie anguicrinite.
 
 | 
      Il ritorno a casa del nobile dopo la notte trascorsa a 
    teatro, tra le passioni amorose o nel gioco d'azzardo. Il suo cocchio 
    rumoroso attraversa la città immersa nel silenzio.
 Iperbolico il paragone con il carro di Plutone, dio degli Inferi, che rapì 
    Proserpina, figlia di Cerere
 | 
  
    | 
      Così tornasti a la magion; ma quivi
 a novi studj ti attendea la mensa
 cui ricoprien pruriginosi cibi
 e licor lieti di francesi colli,
 o d’ispani, o di toschi, o l’ongarese
 bottiglia a cui di verde edera 
    Bacco
 concedette corona; e disse: siedi
 de le mense reina. Alfine il   
    Sonno
 ti sprimacciò le morbide coltrici
 di propria mano, ove, te accolto, il fido
 servo calò le seriche cortine:
 e a te soavemente i lumi chiuse
 il gallo che li suole aprire altrui.
 
 | 
      L'ultima sosta del nobile a consumare stuzzicanti cibi ed 
    a sorseggiare vini raffinati. Poi il sonno ristoratore, a tarda ora, aiutato 
    dal servo fedele che rende ancor più confortevole la stanza da letto.
 La luce del mattino trova ancora addormentato il giovin signore.
 | 
  
    | 
      
    Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi
 non sciolga da’ papaveri tenaci
 Morfeo prima, che già grande il giorno
 tenti di penetrar fra gli spiragli
 de le dorate imposte, e la parete
 pingano a stento in alcun lato i raggi
 del sol ch’eccelso a te pende sul capo.
 Or qui principio le leggiadre cure
 denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
 sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
 te ad alte imprese ammaestrar cantando.
 
 | 
      E' un suo diritto il risveglio tardivo e lento. la luce 
    del sole deve entrare solo gradualmente dalle imposte per non ferirgli gli 
    occhi ancora assonnati.
 
      Qui inizia la poesia didascalica di Parini, che finge di 
    voler fornire - proprio a questo punto - i suoi primi insegnamenti al 
    nobile. E' dopo il risveglio che dovrà essere pianificata a dovere l'intera 
    giornata per non essere vittima della noia. | 
  
    | 
      Già i valletti gentili udîr lo squillo
 del vicino metal cui da lontano
 scosse tua man col propagato moto;
 e accorser pronti a spalancar gli opposti
 schermi a la luce, e rigidi osservâro,
 che con tua pena non osasse 
    Febo
 entrar diretto a saettarti i lumi.
 Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia
 alli origlieri i quai lenti gradando
 all’omero ti fan molle sostegno.
 Poi coll’indice destro, lieve lieve
 sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
 quel che riman de la cimmeria nebbia;
 e de’ labbri formando un picciol arco,
 dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
 Oh! se te in sì gentile atto mirasse
 il duro capitan qualor tra l’armi,
 sgangherando le labbra, innalza 
    un grido
 lacerator di ben costrutti orecchi,
 onde a le squadre varj moti impone;
 se te mirasse allor, certo vergogna
 avria di sé più che Minerva il giorno
 che, di flauto sonando, al fonte scorse
 il turpe aspetto de le 
    guance enfiate.
 
 | 
      Lentamente risuona la campanella che richiama i servi: 
    essi accorrono prontamente e si danno da fare per evitare un risveglio 
    troppo brusco al loro padrone. Il sole non deve bruscamente trapelare dalle 
    finestre; i cuscini devono sorreggere opportunamente il suo corpo appena 
    levato dal letto. Uno sbadiglio leggero segna il volto del nobile, gradevole 
    gesto che non si confonde certo con il rude grido del capitano in battaglia.
 Nuova iperbole a sfondo satirico: perfino Minerva avrebbe ritegno ad 
    osservare le sue guance rigonfie nell'atto di suonare il flauto, a paragone 
    della delicatezza dello sbadiglio del giovin signore.
 | 
  
    | 
      Ma già il ben pettinato entrar di novo
 tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede
 quale oggi più de le bevande usate
 sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
 indiche merci son tazze e bevande;
 scegli qual più desii. S’oggi ti giova
 porger dolci allo stomaco fomenti,
 sì che con legge il natural calore
 v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
 scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo
 ti dà il guatimalese e il caribbèo
 c’ha di barbare penne avvolto il crine:
 ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,
 o troppo intorno a le vezzose membra
 adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
 la nettarea bevanda ove abbronzato
 fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo
 giunto, e da Moca che di mille navi
 popolata mai sempre insuperbisce.
 
 | 
      Iniziano le prime cure del mattino. Il nobile è 
    pettinato, riceve la prima colazione, sceglie la bevanda più adatta: 
    cioccolato o caffé a seconda del suo stato fisico e del suo stato d'animo. 
    Il duro lavoro di barbari popoli ha procurato questi lontani prodotti 
    alla classe nobiliare.
 
      Serpeggia qui il solito satirico contrasto tra la fatica 
    della plebe che è necessaria per mantenere il privilegiato e raffinato stile 
    di vita dei ceti più alti. |