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       Afrodite è la dea dell’amore e della fertilità, identificata a Roma con Venere. È madre di Cupido e le sono ancelle le Grazie. Suoi attributi sono le colombe o i cigni, la conchiglia, i delfini, la cintola magica che rende seducente chi la indossa, la torcia che desta amore, il cuore fiammeggiante, la rosa, il mirto sempreverde come l’amore. Altro attributo convenzionale può essere lo specchio. Il mito narra della sua nascita dalla spuma creata dagli organi sessuali di Urano tagliati e gettati in mare da Crono. Appena uscita dall’acqua, fu trasportata dagli Zefiri fino alla costa di Cipro, ma secondo altre fonti approdò prima a Citera o a Pafo. Sulla riva fu accolta dalle Ore (le Stagioni) che la vestirono, la agghindarono e la condussero presso gli immortali. 
      
      Un’altra versione del mito la 
      vuole invece figlia di Zeus e Dione. Platone immaginò 
      l’esistenza di due Veneri, una nata da Urano, il cielo, e 
      detta perciò Venere urania, dea dell’amore 
      puro; l’altra nata da Dione detta Venere pandemia, 
      cioè popolare, dea dell’amore volgare. 
      Dal punto di vista iconografico Venere può essere rappresentata come 
      anadiomene, cioè che sorge dalle acque, 
      che giunge alla riva di Cipro, giacente o dormiente, in trionfo, o 
      associata ad altri soggetti mitologici.   | 
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      ● 
      
      L'interpretazione spiritualizzata di 
      Venere compare nel Neoplatonismo di Marsilio Ficino, nella pittura 
      di Sandro Botticelli e nella poesia di Angelo Poliziano, tre personaggi 
      centrali dell'arte e della cultura dell'ambiente della Firenze medicea
      ai tempi di Lorenzo il Magnifico.  | 
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          Nelle 
          arti figurative, il tema 
          amoroso si esprime come centralità della figura di 
          Venere, 
          dea dell’amore. Il tema 
          mitologico ovidiano tuttavia nasconde anche un’allegoria 
          neoplatonica fondata sul concetto dell’Amore come forza 
          motrice della natura. Venere nuda, simbolo di purezza divina, 
          in piedi su una conchiglia, scaldata dal soffio fecondatore di 
          Zefiro, approda a una spiaggia dove una delle Ore, simbolo 
          dei bei giorni di primavera, è in atto di gettarle sulle spalle un 
          manto ricamato.   | 
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      Secondo l’interpretazione più 
      diffusa, protagonista della scena è Venere. Perno dell’intera 
      composizione la dea sta nel centro del suo giardino ricco di piante 
      ed erbe di ogni specie, che la mitologia classica situava nell’isola di 
      Cipro. Essa è attorniata dalle divinità del suo entourage: 
      Cupido bendato, le tre Grazie che danzano in circolo tenendosi 
      per mano e Mercurio. Nella parte opposta del grande pannello si 
      svolge l'incontro tra Zefiro, il vento che spira in primavera, e la 
      ninfa Clori che, terrorizzata, fugge. Accanto alla Primavera, 
      ecco infine Flora, raffigurata qui nell’atto di spargere boccioli 
      di rose. L’intera composizione, in ogni suo particolare, è dunque 
      dedicata all’esaltazione della primavera, stagione in cui la Natura 
      esprime al massimo i suoi poteri di fertilità celebrata da Ovidio, da 
      Orazio e da Lucrezio. Trasferita sul piano della filosofia 
      neoplatonica l’allegoria poteva ancora una volta essere letta in altra 
      chiave al centro della quale la Venere-Humanitas, sintesi di spirito e 
      materia, tramite fra l’uomo e Dio, spartisce il mondo della materia a 
      destra da quello dello spirito sinistra.  | 
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       ● L'immaginario poetico semplifica in certo qual modo la figura di Venere, che viene a rappresentare simbolicamente la morbidezza dell'abbandono, in cui si trova il corpo femminile dormiente, mentre la passione amorosa va vissuta in tutta la sua intensità. La sede naturale del regno di Venere è l'isola di Cipro con la sua ricca vegetazione e la sua eterna Primavera. 
      
      
       
      Ma fatta Amor 
      la sua bella vendetta,  | 
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       La verginella è simile alla rosa, 
          
          ch’in bel giardin su la nativa spina 
         
        
          
          mentre sola e sicura si riposa, 
         
        
          
          né gregge né pastor se le avicina; 
         
        
          
          l’aura soave e l’alba rugiadosa, 
         
        
          
          l’acqua, la terra al suo favor s’inchina: 
          
         
        
          
          gioveni vaghi e donne inamorate
          
         
        
          
          amano averne e seni e tempie ornate. 
         
        
          ( 
          Orlando furioso, I, 42, vv. 1, 5-8. ) 
      
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       La tematica amorosa è il secondo aspetto centrale nel Furioso. L’amore di Orlando e di altri paladini per Angelica muove le vicende del poema, ma in esso si descrivono le passioni di numerosi altri personaggi, tra cui quelle di Ruggiero e Bradamante, da cui avrà origine la dinastia estense. Agli occhi dei cavalieri, Angelica appare fanciulla bella, gentile, pura. Nella sua descrizione si utilizzano le tradizionali immagini della lirica petrarchesca 
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        Si esalta la 
        bellezza del suo corpo
         
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       Spesso la dea è immersa in una natura primaverile, o distesa su un letto 
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       Altre opere mostrano la dea in compagnia di Amore, o di un amante 
 
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